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lunedì 26 settembre 2011

BATTUTA DI CACCIA



Era tutto pronto. I fucili, caricati con proiettili di grosso calibro, le giubbe, gli stivali, i cani e tutto il resto. Insomma, tutto ciò che poteva servire in una battuta di caccia della quale non si poteva prevedere la durata, e ancor meno l’esito finale. Tra noi erano presenti cacciatori esperti e anche individui che in tutta la loro esistenza non avevano mai imbracciato un’arma. Di questi ultimi avevamo un po’ di timore, poiché temevamo la loro inesperienza, che avrebbe potuto causare incidenti, ma non avevamo potuto dire loro di no, nel momento in cui si erano offerti di aiutarci. Si può dire, in un certo senso, che l’intera popolazione avesse contribuito a quella battuta di caccia. D’altra parte, nessun cittadino responsabile aveva potuto esimersi dal rispondere all’accorato appello del nostro amato presidente che, come avevano fatto nello stesso momento pure tutti gli altri capi di stato, ci aveva pregato di fare qualcosa, pur di abbattere, in qualsiasi modo ma al più presto quella bestia immonda, quell’essere che ci avrebbe condotto in breve tempo alla rovina.
Le altre nazioni avevano reagito in maniera diversa dalla nostra. Loro speravano di risolvere il problema affidandosi alle politiche economiche. Poveri illusi! Ormai, non restava altro da fare che affidarsi alle armi. Il loro abbaglio probabilmente era dovuto al fatto che si trovavano ad affrontare bestie di taglia più piccola. Comunque, a nostro avviso, non avevano alcuna speranza. Noi, invece, avevamo subito optato per l’uso della forza. Eravamo convinti dei nostri mezzi, e avevamo la certezza che avremmo risolto per sempre quella delicata faccenda.
Il presidente, da parte sua, non era parso del tutto entusiasta riguardo la nostra risoluzione. Tuttavia, da uomo saggio qual era, aveva ormai imparato a conoscere bene i propri concittadini e, dopo un attimo di sconcerto iniziale, sottolineato da ripetuti scuotimenti di capo, si era piegato alla volontà del suo popolo, rassegnato e sconsolato.
I primi giorni non accadde nulla. Tutt’altro che scoraggiati dall’iniziale insuccesso, avevamo proseguito con ancora maggiore determinazione. Alla fine eravamo stati premiati. Fummo anche fortunati se, in una circostanza come questa, si può parlare di fortuna.
E fu proprio la mia squadra ad avvistare per prima il mostro. Dapprima, dal momento che ne ero il comandante, ne fui molto orgoglioso. L’entusiasmo, però, fu di breve durata. Appena ci rendemmo conto di chi, o meglio di cosa avevamo di fronte, l’eccitazione svanì rapidamente. Ci rendemmo subito conto che con le nostra ridicole armi non avremmo potuto combattere la bestia in alcun modo. La sproporzione di forze in campo fu subito palese, umiliante. Il mostro era solo, e noi eravamo in tanti e bene armati, ma comprendemmo all’istante, appena lo avvistammo, che eravamo perduti.
Era enorme, e molto più terrificante di come l’avevamo immaginato. Immenso. Non fu un combattimento, fu una vera e propria strage. In un baleno, ci travolse e ci spazzò via. Non riuscimmo a opporre la benché minima resistenza. Annientò noi e annientò l’intero nostro paese.
Fu doloroso ammetterlo, ma lo avevamo sottovalutato. Avevamo sminuito e disprezzato la sua enorme forza distruttrice e fummo puniti duramente, e lo fummo in maniera totale e definitiva.
Forse avrei dovuto dare retta all’avvertimento di un famoso ed esperto cacciatore che, nonostante i miei appelli e la mia insistenza, si era rifiutato di prendere parte alla battuta di caccia. Con il senno di poi, in effetti, anche lui non avrebbe potuto fare nulla per avversare il terribile essere.
“Il debito pubblico è una brutta bestia” aveva detto. “Bisogna combatterlo quando è ancora piccolo. Se lo si lascia crescere, non c’è più niente da fare.”
Adesso, ma soltanto adesso, quando ormai è troppo tardi per qualsiasi cosa, mi rendo conto che l’anziano cacciatore aveva ragione.

  

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