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lunedì 4 luglio 2011

L'ABITO GRIGIO



Anche se era trascorso tanto tempo, si ricordava ancora bene il vecchio sarto che lo aveva tagliato e cucito. Un ometto smilzo, completamente calvo, con un paio di occhialini tondi sempre calati sul naso e il metro attorno al collo. E tuttora rammentava il suo primo proprietario. Ne era stato colpito fin dalla prima volta che l’aveva visto, quando si era presentato per prendere le misure. Un bel giovane, alto, con le spalle larghe. Subito aveva pensato: “Starò bene, addosso a lui. Non farò una grinza.” E così era stato.
Per poco non aveva partecipato al suo matrimonio. Per un po’ aveva pensato che sarebbe toccato a lui, dal momento che era l’unico vestito di un certo tono posseduto da quell’uomo. Poi, all’ultimo momento, il suo proprietario aveva ordinato un altro vestito. Più da cerimonia, così era stato definito quell’antipatico e spocchioso abito blu gessato dal quale era stato soppiantato in quell’occasione. Ma, per avere la sua vendetta, non aveva dovuto attendere a lungo. Quell’altro era subito finito appeso in fondo all’armadio e non era mai più stato indossato. Lui invece aveva continuato a essere utile per altri sposalizi, anche se non da protagonista, per battesimi e innumerevoli altri festeggiamenti e occasioni mondane di tutti i generi. Amava soprattutto le sale da ballo. Adorava che la sua stoffa liscia fosse accarezzata e stretta tra le dita dalla donna che il suo proprietario aveva sposato, mentre volteggiava aggrappata al suo compagno. Godeva dei suoi apprezzamenti sulle sue qualità, sul fatto che non perdesse facilmente la piega e che fosse semplice da ripulire.
Erano trascorsi anni e, sebbene uscisse dal guardaroba sempre più raramente, si rendeva conto di non essere stato del tutto dimenticato. Nel frattempo, la corporatura del suo proprietario era cambiata. Soffriva quando sentiva tirare in corrispondenza della vita, delle spalle, quando la giacca non veniva abbottonata per evidente impossibilità, ma resisteva, soffrendo in silenzio, felice di essere ancora utile. Poi, all’improvviso, aveva avuto un altro padrone. Il figlio del suo vecchio possessore lo lasciava sempre chiuso nell’armadio, non lo indossava mai. A volte, però, apriva i battenti, illudendolo per un attimo. Invece si avvicinava a lui, prendeva la stoffa tra le dita, la tratteneva a lungo, con lo sguardo perso nel vuoto, gli occhi lucidi. Poi richiudeva l’anta, ancora colmo di sofferenza.
I periodi trascorsi al buio erano diventati sempre più lunghi finché, a un certo punto, non era stato ricoperto da una fodera di plastica trasparente, soffocante e opprimente. Allora aveva pensato che fosse ormai giunta la fine, e si era quasi rassegnato.
Un bel giorno tuttavia era stato ridestato dal suo apatico torpore. Ad opera di un simpatico ragazzo. Lo aveva sfilato dall’odiosa custodia e lo aveva indossato. Quel giovane era smilzo, e i pantaloni non riuscivano a riempire che una minima porzione delle sue gambe magre e risultavano troppo alti in vita. Per non parlare delle spalle cadenti della giacca. Tuttavia, lui non sembrava curarsi troppo di tali particolari. Chissà, forse la moda era cambiata. Assieme al suo nuovo padrone aveva partecipato a innumerevoli feste, nelle quali tutti i partecipanti erano giovanissimi, dove si ballava in maniera strana e la musica, incomprensibile, era sempre assordante. Però, come si era divertito! Quella nuova giovinezza l’aveva reso felice.
Naturalmente, tutto ciò non era durato a lungo. Ma non se l’era presa più di tanto. In fondo, se lo aspettava. Dopo, di nuovo nelle tenebre dell’armadio per tanto tempo, aveva avuto modo di ripensare alla sua vita, ai tanti momenti esaltanti. Sapeva che per lui si stava avvicinando la fine, ma era in pace con se stesso. Quanti abiti avevano servito, sebbene in modo diverso, ben tre padroni?
Alla fine era stato prelevato da mani poco attente, svagate e, con pochi gesti bruschi, gettato in quello che sembrava un cassonetto dei rifiuti. Ma non lo era. Quasi subito altre mani, più amorevoli, si erano prese cura di lui. Era stato lavato e stirato e di nuovo appeso, in bella vista. Poi era stato adottato.
E adesso è addosso al vecchio Oreste, il senzatetto.
Con qualche macchia, liso sui gomiti, la stoffa ormai lucida in più punti, fa comunque ancora la sua bella figura. Oreste lo sfoggia con orgoglio, si pavoneggia. In tutta la sua vita non ha mai posseduto un abito così elegante.  

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