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martedì 29 luglio 2025

FACCIA DI CAVALLO

Doroteo Guamuch Flores, che in seguito alcuni giornalisti americani ribattezzarono per semplicità Mateo Flores, originario del Guatemala, è stato un valido corridore delle lunghe distanze. La sua migliore prestazione, nonché vittoria più eclatante, fu nel 1952 alla maratona di Boston. Flores, in quell'occasione, sbaragliò tutta la concorrenza, atleti ben più famosi e titolati di lui. La sua gara fu caratterizzata da una stranezza non di poco conto: corse con ai piedi i mocassini di cuoio con i quali era arrivato a Boston il giorno prima. Era povero, non poteva permettersi le scarpette da corsa, e quelle erano le uniche calzature che possedeva.  

Mateo Flores, negli anni che seguirono, ebbe un unico emulo: il mio amico Antonio Felini, detto Faccia di Cavallo. Il buon Antonio non vinse nessuna maratona internazionale, la sua impresa non ebbe il rilievo di quella del corridore guatemalteco ma, nel suo piccolo, merita comunque di essere ricordata.

Fine di agosto. Un caldo infernale, di quelli che ti tolgono il fiato. Quel giorno era in programma una corsa su strada di dodici chilometri, e per il nostro gruppo podistico c'era un unico obiettivo: vincere il trofeo per la migliore squadra. Ognuno avrebbe dovuto dare l'anima, spingendosi oltre il limite.

Dieci minuti alla partenza e, come al solito, di Antonio, detto Faccia di Cavallo per il suo viso allungato e l'espressione sempre triste, non c'era traccia. Arrivò all'ultimo momento, tutto trafelato. Non ebbe nemmeno il tempo di scaldarsi. Ma lui era fatto così, abituato a lanciarsi nella mischia all'ultimo secondo.

"Sbrigati a cambiarti!" gli intimai, quasi urlando per la fretta.

Lui mi guardò, annuì ma non disse nulla. Era incredibile come, anche quando gli si dicevano le cose più banali, sembrava sempre non capire. Eppure, alla fine ubbidì. Si sfilò la polo, rivelando la canottiera rossa e gialla della squadra. I pantaloncini di raso blu li indossava già.

"Sono pronto" disse con la sua voce flebile.

"Sei scemo?" risposi, abbassando lo sguardo sui suoi piedi.

Anche lui li guardò, poi alzò gli occhi su di me.

"Perché?" domandò, dopo un attimo di silenzio.

"Ti devi cambiare le scarpe!" gli ricordai, con un sospiro esasperato. Accidenti, ma è proprio tonto! pensai tra me e me.

"Uso queste" ribatté lui.

"Quelle?"

"Le altre si sono rotte" spiegò, con la solita espressione imperturbabile.

"Ma come fai a correre con quelle?" chiesi, incredulo.

"Sono pur sempre scarpe" rispose.

Le osservai meglio. Si trattava di mocassini di cuoio nero e lucido, quasi nuovi, forse usati per qualche occasione speciale, magari un matrimonio. Avevano la suola spessa e un tacco di almeno due o tre centimetri.

"Tu non sei a posto" ebbi il tempo di dire, scuotendo la testa. Lui sollevò le spalle, e in quel preciso istante ci chiamarono a raccolta per la partenza.

Inutile raccontare ogni metro della gara. La mia, comunque, fu buona. Anche gli altri tre compagni si comportarono bene. Eravamo fiduciosi. Se Antonio fosse arrivato nei primi cento, avremmo vinto senza problemi l'agognato trofeo. Invece, Faccia di Cavallo arrivò tra gli ultimi, dopo i primi quattrocento. Ma arrivò. Tagliò il traguardo con un'espressione molto sofferente, la faccia ancora più allungata del solito. Altro che cavallo, sembrava un mulo stremato!

Venne verso di noi, scuotendo la testa. "Scusate, non ce l'ho fatta" ci disse con un filo di voce. "Oggi non ero in gran forma" aggiunse.

"Ma è tutta colpa delle scarpe!" esclamai, puntando il dito verso i suoi piedi.

"No, con le scarpe mi sono trovato abbastanza bene" disse lui, con una calma disarmante. Poi, con una smorfia di dolore, sfilò quella destra.

Il calzino non era più bianco ma rosso, tutto intriso di sangue. Rimanemmo inorriditi.

"È soltanto la seconda volta che le metto" disse Faccia di Cavallo, come se fosse la cosa più normale del mondo.

"Sono ancora un po' rigide" aggiunse, faticando non poco a nascondere l'atroce sofferenza.

 

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