Il magistrato puzza. Il
suo corpo, grosso e fasciato in una giacca pesante, emana un afrore penetrante.
Una mescolanza di sentore di dopobarba ormai quasi del tutto evaporato e di
olezzo di sudore. L'uomo appare accaldato, a un certo punto china il capo,
accenna un sorriso più simile a una smorfia di sofferenza, poi si sfila la
giacca e la appoggia sulla scrivania. Si stringe nelle spalle, quasi a chiedere
scusa per quella che considera una caduta di rispetto tuttavia ineluttabile, dettata
dalla necessità. In corrispondenza delle sue ascelle, a spiccare sulla camicia
bianca, si allargano due chiazze di traspirazione. Il magistrato si volta,
lento, si avvicina alla finestra. Osserva il cortile della Procura della
Repubblica per alcuni istanti mentre, con un gesto quasi impercettibile e lesto
si allenta la cravatta. Poi, di scatto, quasi a testimoniare una prodigiosa ritrovata
vitalità, torna indietro e si siede alla scrivania, inforca gli occhiali. Con
gli occhi bassi scorre alcune carte, annuisce tra sé, più volte, infine solleva
la testa, e finalmente rivolge l'attenzione alla sua interlocutrice.
"Chiedo scusa se
l'ho fatta attendere così a lungo" pronuncia, a voce bassa.
É vero, la donna ha
atteso a lungo. Ha trascorso più di un'ora ad aspettare in una piccola
anticamera adiacente all'ufficio, infastidita dalla presenza di un fotografo che
infine è stato allontanato. Intendiamoci, lei adora essere ritratta, non ne
perde mai l'occasione, tuttavia predilige ben altre situazioni: l'inaugurazione
di una mostra d'arte oppure di una qualsiasi iniziativa a favore dei cittadini
di cui può rivendicare il merito, un convegno, l'incontro con una delegazione
di amministratori stranieri. In questo momento, invece, si sente a disagio. La
sua è stata una giornata lunga e sofferta, interminabile. Si rende conto di non
essere al suo meglio. É stanca, provata, e di sicuro anche il suo aspetto
riflette quel malessere. Quasi certamente il suo trucco avrebbe bisogno di
essere rinfrescato, i capelli spazzolati. Pur senza avere la possibilità di
verificarlo, è consapevole del pallore del suo volto. Posa inorridita lo
sguardo sulle ascelle pezzate del magistrato e teme che le sue lo siano
altrettanto, che la sua camicetta sia lorda di sudore acido, che il suo corpo
sottile, in ebollizione, diffonda nell'ambiente il miasma della preoccupazione
e della paura. La donna, tuttavia, è pure molto contrariata. Anzi, incazzata
nera. Come osa, quell'uomo stanco, approfittare in maniera così deliberata del
suo prezioso tempo? Lei, si sa, non è una persona qualunque. Lei è un
amministratore pubblico, una persona che risponde non soltanto a se se stessa
ma ai cittadini che l'hanno scelta. I magistrati, invece, hanno sempre ragione.
Dispongono delle persone, del loro tempo, delle loro azioni, protetti da quello
schermo invisibile dietro il quale si riparano, quello della Legge. Nella donna
monta sempre più l'indignazione. Lei non ha fatto nulla di male! Ha agito per
il bene dei cittadini, si è dannata per inseguire e perseguire il bene
pubblico, per tutelare ciò che appartiene a tutti. Non ha sbagliato, non può
aver sbagliato. I suoi atti non possono essere messi in discussione. Eppure si
ritrova seduta su quella sedia che scotta. Quasi non percepisce, dietro di lei,
la presenza del suo avvocato. Il legale, in quegli istanti di attesa, prima che
tutto abbia inizio, ha avvicinato un paio di volte il capo alla sua nuca, le ha
bisbigliato alcune raccomandazioni. Lei non le ha sentite. Ha distinto il
suono, ha avvertito il soffio d'aria che ha solleticato il lobo del suo
orecchio, ma non ha compreso le parole. O meglio, non ne ha colto il
significato. Sarà la stanchezza, pensa, oppure la tensione nervosa. In fondo,
prima, lei in Procura non c'era mai stata. Non le era mai capitato, nella sua
breve esistenza, di ritrovarsi di fronte a un magistrato. Di essere accusata di
qualcosa. Non importa, c'è sempre una prima volta, e lei affronterà questa
assurda evenienza con la risolutezza che i suoi sostenitori le riconoscono. Se
necessario, con l'arroganza che gli avversari politici le rimproverano. Ma la
sua determinazione sta venendo meno. All'improvviso riconosce che la sua mente
è confusa, che di tutta la strategia difensiva, sapientemente elaborata con il
suo difensore, non rammenta quasi nulla. Ha le labbra secche, la gola secca,
gli occhi secchi che bruciano. É come se l'intero suo corpo fosse privo di
liquidi, di quei fluidi preziosi che ne consentono il funzionamento. Osserva le
mani, appoggiate in grembo, che tremano, le nocche sbiancate.
Il magistrato le
rivolge un sorriso sghembo.
"Non si preoccupi,
il nostro sarà un colloquio preliminare, del tutto amichevole. Servirà soltanto
ad esaminare i fatti. Innanzitutto dobbiamo sbrigare alcune formalità, un
po' noiose e banali. Dunque, mi confermi nome, cognome, luogo e
data di nascita".
La donna annuisce e poi
si accinge a rispondere. Spalanca la bocca, dalla quale però non esce alcun
suono. Il suo nome non lo ricorda più.
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