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venerdì 3 novembre 2017

DAL MAGISTRATO


Il magistrato puzza. Il suo corpo, grosso e fasciato in una giacca pesante, emana un afrore penetrante. Una mescolanza di sentore di dopobarba ormai quasi del tutto evaporato e di olezzo di sudore. L'uomo appare accaldato, a un certo punto china il capo, accenna un sorriso più simile a una smorfia di sofferenza, poi si sfila la giacca e la appoggia sulla scrivania. Si stringe nelle spalle, quasi a chiedere scusa per quella che considera una caduta di rispetto tuttavia ineluttabile, dettata dalla necessità. In corrispondenza delle sue ascelle, a spiccare sulla camicia bianca, si allargano due chiazze di traspirazione. Il magistrato si volta, lento, si avvicina alla finestra. Osserva il cortile della Procura della Repubblica per alcuni istanti mentre, con un gesto quasi impercettibile e lesto si allenta la cravatta. Poi, di scatto, quasi a testimoniare una prodigiosa ritrovata vitalità, torna indietro e si siede alla scrivania, inforca gli occhiali. Con gli occhi bassi scorre alcune carte, annuisce tra sé, più volte, infine solleva la testa, e finalmente rivolge l'attenzione alla sua interlocutrice.
"Chiedo scusa se l'ho fatta attendere così a lungo" pronuncia, a voce bassa.
É vero, la donna ha atteso a lungo. Ha trascorso più di un'ora ad aspettare in una piccola anticamera adiacente all'ufficio, infastidita dalla presenza di un fotografo che infine è stato allontanato. Intendiamoci, lei adora essere ritratta, non ne perde mai l'occasione, tuttavia predilige ben altre situazioni: l'inaugurazione di una mostra d'arte oppure di una qualsiasi iniziativa a favore dei cittadini di cui può rivendicare il merito, un convegno, l'incontro con una delegazione di amministratori stranieri. In questo momento, invece, si sente a disagio. La sua è stata una giornata lunga e sofferta, interminabile. Si rende conto di non essere al suo meglio. É stanca, provata, e di sicuro anche il suo aspetto riflette quel malessere. Quasi certamente il suo trucco avrebbe bisogno di essere rinfrescato, i capelli spazzolati. Pur senza avere la possibilità di verificarlo, è consapevole del pallore del suo volto. Posa inorridita lo sguardo sulle ascelle pezzate del magistrato e teme che le sue lo siano altrettanto, che la sua camicetta sia lorda di sudore acido, che il suo corpo sottile, in ebollizione, diffonda nell'ambiente il miasma della preoccupazione e della paura. La donna, tuttavia, è pure molto contrariata. Anzi, incazzata nera. Come osa, quell'uomo stanco, approfittare in maniera così deliberata del suo prezioso tempo? Lei, si sa, non è una persona qualunque. Lei è un amministratore pubblico, una persona che risponde non soltanto a se se stessa ma ai cittadini che l'hanno scelta. I magistrati, invece, hanno sempre ragione. Dispongono delle persone, del loro tempo, delle loro azioni, protetti da quello schermo invisibile dietro il quale si riparano, quello della Legge. Nella donna monta sempre più l'indignazione. Lei non ha fatto nulla di male! Ha agito per il bene dei cittadini, si è dannata per inseguire e perseguire il bene pubblico, per tutelare ciò che appartiene a tutti. Non ha sbagliato, non può aver sbagliato. I suoi atti non possono essere messi in discussione. Eppure si ritrova seduta su quella sedia che scotta. Quasi non percepisce, dietro di lei, la presenza del suo avvocato. Il legale, in quegli istanti di attesa, prima che tutto abbia inizio, ha avvicinato un paio di volte il capo alla sua nuca, le ha bisbigliato alcune raccomandazioni. Lei non le ha sentite. Ha distinto il suono, ha avvertito il soffio d'aria che ha solleticato il lobo del suo orecchio, ma non ha compreso le parole. O meglio, non ne ha colto il significato. Sarà la stanchezza, pensa, oppure la tensione nervosa. In fondo, prima, lei in Procura non c'era mai stata. Non le era mai capitato, nella sua breve esistenza, di ritrovarsi di fronte a un magistrato. Di essere accusata di qualcosa. Non importa, c'è sempre una prima volta, e lei affronterà questa assurda evenienza con la risolutezza che i suoi sostenitori le riconoscono. Se necessario, con l'arroganza che gli avversari politici le rimproverano. Ma la sua determinazione sta venendo meno. All'improvviso riconosce che la sua mente è confusa, che di tutta la strategia difensiva, sapientemente elaborata con il suo difensore, non rammenta quasi nulla. Ha le labbra secche, la gola secca, gli occhi secchi che bruciano. É come se l'intero suo corpo fosse privo di liquidi, di quei fluidi preziosi che ne consentono il funzionamento. Osserva le mani, appoggiate in grembo, che tremano, le nocche sbiancate.
Il magistrato le rivolge un sorriso sghembo.
"Non si preoccupi, il nostro sarà un colloquio preliminare, del tutto amichevole. Servirà soltanto ad esaminare i fatti. Innanzitutto dobbiamo sbrigare alcune formalità, un po'  noiose e banali.  Dunque, mi confermi nome, cognome, luogo e data di nascita".
La donna annuisce e poi si accinge a rispondere. Spalanca la bocca, dalla quale però non esce alcun suono. Il suo nome non lo ricorda più.

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