Mohamed (Mo) Farah
nasce nel 1983 a Mogadiscio, Somalia. All'età di otto anni, con la madre e due
fratelli, raggiunge il padre in Inghilterra. Il gemello Hassan, per motivi di
salute, è costretto a rimanere in patria, dove è affidato a una famiglia. I due
fratelli si rivedranno dopo dodici anni. Mo Farah ottiene la cittadinanza
britannica e si dedica a tempo pieno alla sua passione, l'atletica leggera, e
in breve tempo ne diventa uno dei grandi protagonisti. L'atleta di origini
somale conquista sei titoli mondiali e quattro allori olimpici nelle specialità
dei 5000 e 10000 metri, l'ultimo dei quali proprio ieri nella sua Londra. Mo
Farah, insignito del titolo di Commendatore dell'Ordine dell'Impero Britannico, entra nella leggenda: è uno dei più grandi corridori di sempre.
Saamiya Yusuf Omar
nasce nel 1991 a Mogadiscio, Somalia. Fin da ragazzina la sua passione è la
corsa. Saamiya si rende conto di essere veloce, molto veloce. Inizia a
partecipare alle gare locali, poi a quelle nazionali: le vince tutte. Il suo
allenatore è Alì, un ragazzo suo coetaneo. Alì, appartenente a una etnia
diversa da quella di Saamiya, dopo qualche tempo è costretto a lasciare Mogadiscio.
Saamiya non si scoraggia e continua ad allenarsi da sola. In Somalia c'è la
guerra, i gruppi integralisti conquistano il potere. La ragazza è costretta a
correre indossando il burka, a sfidare il coprifuoco allenandosi di notte nello
stadio buio e deserto. Alla fine i suoi disperati sforzi vengono premiati. La
scalcinata federazione somala la nota e la invita a partecipare alle Olimpiadi
di Pechino del 2008, quando Saamiya ha soltanto diciassette anni. La
rappresentativa di atletica somala ai giochi cinesi è composta di due soli
atleti: lei e un altro ragazzo. Per la giovane somala il suo primo viaggio in aereo
rappresenta, oltre che una novità, un autentico terrore. A Pechino Saaamiya arriva ultima nella sua
batteria, percorre gli ultimi cinquanta metri da sola in pista: le altre atlete
sono già tutte arrivate. Ma il pubblico dello stadio si è accorto di lei, e
accompagna la sua corsa con una autentica ovazione. Dopo il traguardo giornalisti
di tutto il mondo, invece di accorrere dalla vincitrice, circondano Saamiya.
Lei si limita a dire che avrebbe preferito essere intervistata perché aveva
vinto, non perché era arrivata ultima. Saamiya torna in Somalia, dove la
situazione è sempre più complicata. Il padre, un umile commerciante di tessuti
e unico sostentamento per la numerosa famiglia, perde la vita in circostanze
tragiche. Saamiya è sempre più sconfortata: è molto povera, non ha un allenatore,
né un luogo dove prepararsi, non ha medici da consultare e neppure gli
indumenti e le scarpe adatte per poter correre. Non ha la possibilità di
alimentarsi in maniera corretta. Il suo sogno, quello di correre da protagonista
le Olimpiadi di Londra del 2012, sta per infrangersi. A quel punto decide di
spezzare la promessa fatta a se stessa tanti anni prima, quella di non lasciare
mai la sua terra. Saamiya decide di intraprendere il Viaggio. Parte da sola, e
dopo sconvolgenti traversie attraverso l'Etiopia, il Sudan e la Libia durate
più di un anno riesce finalmente a imbarcarsi.
Saamiya muore annegata
nelle acque gelide del Mar Mediterraneo, nell'aprile del 2012, durante il
naufragio del suo barcone, al largo delle coste di Malta, proprio mentre sta
per essere tratta in salvo da una nave italiana.
Mo Farah era l'idolo di
Saamiya. Fin da ragazzina aveva appeso una sua fotografia, recuperata da un
giornale trovato per strada, accanto alla sua misera brandina, nella stanzetta
che divideva con fratelli e sorelle. Mo Farah, quello che ce l'aveva fatta, il
figlio di Mogadiscio che aveva contribuito ad alimentare i suoi sogni, quei sogni
che l'avrebbero condotta alla morte.
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