Il vostro cronista si
aggira, sotto il solleone di agosto e con il taccuino pronto, per le strade
deserte della città. Cioè, a dire il vero non è che le vie e le piazze siano
poi così spopolate. Insomma, c'è un sacco di gente: turisti, venditori di
cianfrusaglie, bighelloni vari. Il fatto è che quel fetente del mio direttore,
prima di partire per le sue vacanze in Corsica, mi ha detto: "Mi
raccomando, non deve mancare un bell'articolo sulla città disabitata. Lo dovrai
intitolare Deserto d'agosto". Non
importa, vuol dire che fingerò che non ci sia anima viva, anche se non sarà
facile. Mentre cammino tra la folla, urtato e spintonato di continuo, lascio
spazio a qualche riflessione. Il nuovo sindaco ha compiuto un autentico
miracolo: è riuscito a trattenere in città molte persone. La metropoli, a differenza
di altre volte, è viva. Questi cittadini hanno deciso di non partire, di non
andare in vacanza, per potersi godere appieno, in questi giorni di vacanza, le
bellezze della loro città. E non si può dire, e tantomeno scrivere, che tutto
ciò sia dovuto alla crisi economica che ancora persiste. No, la crisi non c'è
più. Almeno, questa è la posizione ufficiale del mio giornale, che non
condivido del tutto ma che devo necessariamente accettare, pena licenziamento
immediato.
Ma adesso basta indugi,
il vostro cronista ha deciso di procedere con alcune interviste. Individuo
subito il mio uomo. Un tipo alto e biondo, distinto, abbastanza giovane. Porta
occhialini tondi da intellettuale. E dal
suo aspetto ricavo che si tratta di sicuro di un indigeno, da decine di
generazioni.
Lo avvicino.
"Buongiorno, le
posso fare una domanda?" Lui sorride, gentile. E annuisce.
"In questi giorni
nei quali la città è deserta, o quasi, la qualità di vita del cittadino
migliora oppure, a causa dei minori servizi offerti, peggiora?"
"Sprtnkiy drtuk frjzp gttmntoll ell ausmjk" risponde.
"Eh? Scusi, ma non
ho compreso bene".
"Grtyss
aukhh!" ribadisce.
"Grazie".
Il vostro cronista ha
fallito e si allontana con la coda tra le gambe. Ma non si dà per vinto. Vedo
subito un'altra persona che fa al caso mio. Maschio, bianco, sulla sessantina.
Indossa un cappello di paglia, una camicia felpata a grossi riquadri, pantaloni
di fustagno. Ai piedi porta due robusti scarponi lucidati con cura. Ci siamo,
questo è di certo un autentico indigeno.
"Salve, permette
una domanda?"
"Lei è un
giornalista?" mi chiede, con voce roca.
"Sì".
"Sta facendo uno
di quegli stupidi servizi estivi sulla città deserta e balle varie?"
Sono costretto ad
annuire.
"I lettori lo
vogliono" spiego, un po' imbarazzato.
"So che cosa sta
pensando di me" dice il tizio, mentre si accende una sigaretta senza
filtro con un antidiluviano accendino a benzina.
"Che cosa?"
"Sta pensando: che
cosa ci fa questo bel tomo in pieno centro città invece di essere nella sua
malga?"
"In effetti è
così" ammetto.
"E invece
quest'anno niente alpeggio! Nossignore. Le vacche sono rimaste in pianura,
chiuse nella stalla". Poi abbassa la voce e prosegue.
"La malga la sto
facendo ristrutturare. Lavori in corso".
"Ah, capisco. La
montagna! Tutto sta cadendo a pezzi, i luoghi alpini sono sempre più
spopolati".
"Neanche per
sogno! Che cosa ha capito? La malga non è utilizzabile perché sto facendo
costruire una piscina".
"Una piscina? A
duemila metri?"
"Duemilacentocinquanta,
per la precisione. Certo, una piscina. Ha mai provato a passare tre mesi senza
avere la possibilità di fare una nuotatina? Be', io ci soffro. E poi la piscina
servirà anche da abbeveratoio per le vacche".
Sono sbalordito, e
provo a cambiare discorso.
"Si aspettava di
incontrare così tanta gente?"
"Eh? gente? Ma non
c'è quasi nessuno". Le sue parole mi rincuorano un po', ma so che la
realtà è ben diversa.
"Si guardi
intorno" suggerisco a malincuore.
Lui lo fa.
"C'è qualche muso
giallo con la cartina in mano, e poi ci sono soltanto moru".
Scuote le spalle, poi
aspira una boccata dalla sigaretta pestilenziale.
"Moru? Che cosa intende? Persone di
colore? Lei per caso è un suprematista?"
"Eh?"
"Un razzista"
preciso.
"Razzista? Io? No,
non sono per niente razzista. Per me tutte le razze sono uguali. Guardi, ho
avuto sia le frisone che le pezzate nere e mi sono trovato bene con
entrambe".
"Ma quelle sono
vacche!"
"Vacche,
cristiani, musulmani, tutto uguale. Razzista! A me! E adesso mi scusi, devo
andare. Si sta facendo tardi. Ho già visitato un sacco di musei ma non mi
voglio perdere la mostra di Franco Fontana". E il bovaro se ne va
lasciando una scia di fumo azzurro. Il taccuino del vostro cronista è rimasto
bianco.
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