Il presidente degli
Stati Uniti Donald Trump ha festeggiato, se così si può dire, i cento giorni
dal suo insediamento dichiarando con candore che forse ha un po' sottovalutato
la complessità del suo mandato. Il magnate americano non è riuscito a mantenere,
finora, nessuna delle numerose promesse elettorali alle quali deve la sua
elezione. L'importante riforma della sanità pubblica messa a punto con fatica
da Obama per fortuna è ancora in piedi e difficilmente sarà smantellata. La drastica
riduzione delle tasse continua a rimanere un impegno verbale, vista la
difficoltà di reperire le risorse necessarie, mentre il completamento del muro
anti-immigrati al confine con il Messico, per la stessa ragione, è stato
rimandato a chissà quando. In politica estera Trump si sta muovendo molto e in
maniera schizofrenica, dopo aver detto in campagna elettorale che l'America avrebbe
pensato soltanto a se stessa. È immaginabile pensare che molti tra quelli che
hanno contribuito, con voto viscerale, all'elezione di Trump siano alquanto
perplessi.
Cambiamo scenario e
occupiamoci di Europa.
Sono in corso i
complessi e difficili negoziati relativi all'uscita della Gran Bretagna
dall'Unione Europea, che si preannunciano lunghi, tormentati e piuttosto
onerosi per i sudditi di Sua Maestà. Molti cittadini britannici, che pure si
sono espressi per la Brexit, si stanno rendendo conto che il loro voto è stata
un'espressione guidata dalla pura irrazionalità, una manifestazione di
emotività del momento la quale potrebbe avere conseguenze ben diverse dagli
auspicati benefici. Insomma, sembrerebbe che la maggior parte di chi ha votato
per il ritorno allo "splendido isolamento" sia già pentita. Troppo
tardi, però.
Passiamo ora a considerare
uno scenario ben più ristretto, locale. Quasi un anno fa i cittadini dei comuni
di Roma e Torino hanno affidato, con un voto ben poco meditato, la guida delle
loro amministrazioni al Movimento (partito) Cinque Stelle. Si sperava in
qualcosa di nuovo, ci si augurava una svolta che non c'è stata. Anche in questi
casi si può dunque parlare di voto espresso con eccessiva leggerezza, con
troppa faciloneria. La sindaca di Roma Virginia Raggi ha avuto enormi
difficoltà anche soltanto ad avviare la sua azione di governo, problemi che non
sono a oggi affatto risolti. E la sua azione amministrativa appare comunque priva
di slancio, sprovvista di qualsiasi visione, inefficace. La Raggi ha più volte
affermato che Roma è una città ingovernabile. In realtà le città sono
ingovernabili per chi non le sa governare. E ancora: se davvero si considera la
capitale così caotica e senza speranza perché ci si è candidati per il suo
governo? Analogo discorso può essere fatto per il caso Torino, una città che
non ha le criticità che presenta invece Roma. Eppure anche nel capoluogo
subalpino l'amministrazione pentastellata appare in grande difficoltà. Pure in
questo caso si opera senza una definita e lucida prospettiva futura, tutte le
promesse della campagna elettorale sono state disattese, con immensa delusione
di molti elettori, e la situazione finanziaria del comune è grave, in una
condizione di pre-dissesto. Ed è inutile a questo punto, dopo quasi un anno di
governo, nonché stucchevole, continuare a invocare le presunte colpe delle
precedenti amministrazioni. È soltanto un segno di grande debolezza e di
impotenza.
Tutto ciò per ribadire
che il voto di pancia, emotivo, superficiale, non porta a nulla se non al
peggioramento delle condizioni di vita di tutti. Il voto è uno strumento molto
importante, da maneggiare con grande attenzione, da utilizzare con cura.
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