Ritorno al mio posto. Un
angolo di cemento, sotto il porticato della piazza. Mi avvicino lentamente, la
stampella rallenta il mio passo. Sul mio materasso, sulla mia coperta di lana,
quella calda, è seduta una ragazza. Comprendo subito che è una di noi. Gambe
lunghe magre nei pantaloni di una logora tuta. Macchie. Capelli lunghi incolti
e sporchi e labbra screpolate. Occhi infiammati.
"Chi sei?"
dico e lei non risponde, distoglie lo sguardo.
Appoggio la stampella e
mi siedo con un sospiro.
"Non puoi stare
qui" dico.
Lei si volta. Siamo
spalla a spalla, e sento una puzza che non è la mia.
"Non so dove
andare" dice in un soffio.
Sistemo la borsa che ho
con me. Liscio la coperta poi torno a osservarla.
"Come ti
chiami?" chiedo.
"Liliana, ma gli
amici mi chiamano Lilli" risponde.
"Quali
amici?"
Lei alza le spalle.
"Io sono
Bartolomeo". Porgo la mano sudicia che si intreccia con la sua,
altrettanto sporca. Le sue unghie sono sozze e rovinate, la pelle del palmo
ruvida.
Silenzio. Guardiamo per
un po' sfilare la gente. Appoggio un bicchiere di plastica sul marciapiede. Rimane
vuoto.
"Devi trovare un
posto per dormire" dico infine.
"Credevo di averlo
trovato" dice.
Mi arrabbio. Alzo la
voce.
"Questo materasso
è mio, non c'è posto per tutti e due. Vattene".
"Aiutami".
Frugo nel mio zaino,
tiro fuori mezza pagnotta. La mia cena.
"Tieni,
mangia".
Lei obbedisce, dopo
aver spezzato il tozzo in due parti uguali.
"Hai del
vino?" domanda.
"È finito tutto
qua dentro" dico, accarezzandomi lo stomaco incavato.
"Non
importa".
"Da dove
vieni?" domando.
"Da lontano"
dice, poi volta il capo. Non vuole parlare di ciò che è sgradevole. Così come
non lo voglio io.
"Quanti anni
hai?" domanda all'improvviso.
"Più di
sessanta".
"Non li
dimostri" dice.
"È vero, ne
dimostro dieci di più".
Scoppiamo a ridere.
Poi, con fatica, mi alzo e afferro la stampella.
"Dove vai?"
dice.
"Alzati anche tu e
prendi la tua roba. Ti accompagno a un dormitorio, non è lontano".
"Ma io non voglio
andare al dormitorio, voglio stare con te" protesta.
La fulmino con
un'occhiata e finalmente si alza.
"Non è male"
dico.
"E perché tu non
ci vai?" chiede con tono di sfida.
"Per gli uomini è
diverso. Devono stare soli" dico, e non aggiungo altro.
"Sono stanca"
dice dopo un po'.
"Io lo sono ancora
più di te. Dove hai passato l'ultima notte?"
"Nei giardinetti,
ormai non fa più freddo".
"Sei pazza, è un
luogo pericoloso per una donna".
Lei alza di nuovo le
spalle. Siamo arrivati. La lascio al dormitorio, una volontaria si prende cura
di lei. Stremato, torno al mio posto e mi fumo e mi gusto una mezza cicca che
ho raccolto alla fermata del tram. Mi stendo e mi addormento subito. Dormo
bene, dormo davvero bene.
Quando è già mattino
una voce mi sveglia. Qualcuno mi tocca.
"Ciao, sono Lilli.
Guarda che cosa ti ho portato".
La ragazza, un po'
ripulita, mi porge un dolce. Lo prendo e inizio a mangiare.
"Ho delle monete,
ti offro un caffè" dice, con un sorriso.
"La nostra
presenza non è molto gradita nei bar" dico.
"Me ne fotto"
dice lei, mi aiuta ad alzarmi e poi mi prende sottobraccio.
"Da quanti anni
fai questa vita?" chiede mentre camminiamo.
"Tanti"
rispondo. "E tu?"
"Pochi" dice
lei.
"Non puoi
continuare così, sei troppo giovane. Devi trovare una soluzione, e sono sicuro
che nel tuo caso ci sia. Per me è diverso".
"Diverso?"
"Non ho più voglia
di cambiare."
La ragazza annuisce,
comprensiva.
"Io scrivo
poesie" dico all'improvviso.
"Davvero? Recitane
una, per me!"
"No".
"Perché?"
"Non me le
ricordo".
"Oh..."
"Se vuoi le potrai
leggere. E tu, che cosa facevi... prima?"
Lei diventa triste, le
sue labbra inaridite assumono di colpo una piega amara.
"Non ne voglio parlare"
dice.
"D'accordo"
dico. Entriamo nel bar e tutti si scostano. Hanno ragione, puzziamo.
Trascorrono tre mesi.
Lilli mi raggiunge tutte le mattine e trascorriamo tutto il tempo insieme.
Diventiamo amici. Alla fine le racconto tutta la mia triste storia, e lei la
sua.
"Secondo te che
cosa pensano le persone di noi? Credono che sia tua figlia? Oppure che
scopiamo?"
Ride, maliziosa.
"La gente non
pensa nulla di noi perché non ci vede" rispondo sempre a quella sua
domanda.
Finché, una mattina,
lei non viene. E non si fa vedere neppure nei giorni successivi. Al dormitorio
mi dicono che è stata da loro soltanto una notte. Forse, perché non se la
ricordano quasi più. Lilli è sparita. Il fatto mi addolora. Poi, poco alla
volta, non ci penso più. Sono sempre più stanco e consumato.
Un giorno, in piena
estate, risento la sua voce. Mi sollevo a sedere sul mio giaciglio e vedo due
gambe lunghe e abbronzate. Sollevo il capo. È lei, è Lilli, anche se è molto
cambiata. La voce è l'unica cosa che riconosco. È più in carne, i capelli sono
biondi e luminosi, è vestita con cura. Truccata.
"Ciao
Bartolomeo" dice.
"Perché sei
sparita senza dire nulla?" domando. La mia voce è ancora impastata dal
sonno.
"Ti devo chiedere
scusa, Bartolomeo. Ti ho mentito".
"Mentito?"
"Sì, non sono mai
stata una senzatetto. Ho finto di esserlo".
"Che cosa?" Adesso
sono del tutto sveglio.
"Sono una
giornalista. Una scrittrice, come te" dice, un po' imbarazzata.
"Non
capisco".
"Volevo scrivere
un libro sulle condizioni di vita dei barboni" dice.
"Ah!" Sono
sorpreso, stupito.
"Guarda" dice,
e mi porge un volumetto.
"Il mio libro. È
stato pubblicato e ha avuto un buon successo. Te lo regalo."
"Grazie"
dico. Apro il libro, ne strappo una pagina e vi avvolgo una mela tutta
avvizzita che ho raccattato il giorno prima al mercato.
"Così si
conserverà meglio" dico.
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