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sabato 2 aprile 2016

LILLI E IL VAGABONDO




Ritorno al mio posto. Un angolo di cemento, sotto il porticato della piazza. Mi avvicino lentamente, la stampella rallenta il mio passo. Sul mio materasso, sulla mia coperta di lana, quella calda, è seduta una ragazza. Comprendo subito che è una di noi. Gambe lunghe magre nei pantaloni di una logora tuta. Macchie. Capelli lunghi incolti e sporchi e labbra screpolate. Occhi infiammati.
"Chi sei?" dico e lei non risponde, distoglie lo sguardo.
Appoggio la stampella e mi siedo con un sospiro.
"Non puoi stare qui" dico.
Lei si volta. Siamo spalla a spalla, e sento una puzza che non è la mia.
"Non so dove andare" dice in un soffio.
Sistemo la borsa che ho con me. Liscio la coperta poi torno a osservarla.
"Come ti chiami?" chiedo.
"Liliana, ma gli amici mi chiamano Lilli" risponde.
"Quali amici?"
Lei alza le spalle.
"Io sono Bartolomeo". Porgo la mano sudicia che si intreccia con la sua, altrettanto sporca. Le sue unghie sono sozze e rovinate, la pelle del palmo ruvida.
Silenzio. Guardiamo per un po' sfilare la gente. Appoggio un bicchiere di plastica sul marciapiede. Rimane vuoto.
"Devi trovare un posto per dormire" dico infine.
"Credevo di averlo trovato" dice.
Mi arrabbio. Alzo la voce.
"Questo materasso è mio, non c'è posto per tutti e due. Vattene".
"Aiutami".
Frugo nel mio zaino, tiro fuori mezza pagnotta. La mia cena.
"Tieni, mangia".
Lei obbedisce, dopo aver spezzato il tozzo in due parti uguali.
"Hai del vino?" domanda.
"È finito tutto qua dentro" dico, accarezzandomi lo stomaco incavato.
"Non importa".
"Da dove vieni?" domando.
"Da lontano" dice, poi volta il capo. Non vuole parlare di ciò che è sgradevole. Così come non lo voglio io.
"Quanti anni hai?" domanda all'improvviso.
"Più di sessanta".
"Non li dimostri" dice.
"È vero, ne dimostro dieci di più".
Scoppiamo a ridere. Poi, con fatica, mi alzo e afferro la stampella.
"Dove vai?" dice.
"Alzati anche tu e prendi la tua roba. Ti accompagno a un dormitorio, non è lontano".
"Ma io non voglio andare al dormitorio, voglio stare con te" protesta.
La fulmino con un'occhiata e finalmente si alza.
"Non è male" dico.
"E perché tu non ci vai?" chiede con tono di sfida.
"Per gli uomini è diverso. Devono stare soli" dico, e non aggiungo altro.
"Sono stanca" dice dopo un po'.
"Io lo sono ancora più di te. Dove hai passato l'ultima notte?"
"Nei giardinetti, ormai non fa più freddo".
"Sei pazza, è un luogo pericoloso per una donna".
Lei alza di nuovo le spalle. Siamo arrivati. La lascio al dormitorio, una volontaria si prende cura di lei. Stremato, torno al mio posto e mi fumo e mi gusto una mezza cicca che ho raccolto alla fermata del tram. Mi stendo e mi addormento subito. Dormo bene, dormo davvero bene.
Quando è già mattino una voce mi sveglia. Qualcuno mi tocca.
"Ciao, sono Lilli. Guarda che cosa ti ho portato".
La ragazza, un po' ripulita, mi porge un dolce. Lo prendo e inizio a mangiare.
"Ho delle monete, ti offro un caffè" dice, con un sorriso.
"La nostra presenza non è molto gradita nei bar" dico.
"Me ne fotto" dice lei, mi aiuta ad alzarmi e poi mi prende sottobraccio.
"Da quanti anni fai questa vita?" chiede mentre camminiamo.
"Tanti" rispondo. "E tu?"
"Pochi" dice lei.
"Non puoi continuare così, sei troppo giovane. Devi trovare una soluzione, e sono sicuro che nel tuo caso ci sia. Per me è diverso".
"Diverso?"
"Non ho più voglia di cambiare."
La ragazza annuisce, comprensiva.
"Io scrivo poesie" dico all'improvviso.
"Davvero? Recitane una, per me!"
"No".
"Perché?"
"Non me le ricordo".
"Oh..."
"Se vuoi le potrai leggere. E tu, che cosa facevi... prima?"
Lei diventa triste, le sue labbra inaridite assumono di colpo una piega amara.
"Non ne voglio parlare" dice.
"D'accordo" dico. Entriamo nel bar e tutti si scostano. Hanno ragione, puzziamo.
Trascorrono tre mesi. Lilli mi raggiunge tutte le mattine e trascorriamo tutto il tempo insieme. Diventiamo amici. Alla fine le racconto tutta la mia triste storia, e lei la sua.
"Secondo te che cosa pensano le persone di noi? Credono che sia tua figlia? Oppure che scopiamo?"
Ride, maliziosa.
"La gente non pensa nulla di noi perché non ci vede" rispondo sempre a quella sua domanda.
Finché, una mattina, lei non viene. E non si fa vedere neppure nei giorni successivi. Al dormitorio mi dicono che è stata da loro soltanto una notte. Forse, perché non se la ricordano quasi più. Lilli è sparita. Il fatto mi addolora. Poi, poco alla volta, non ci penso più. Sono sempre più stanco e consumato.
Un giorno, in piena estate, risento la sua voce. Mi sollevo a sedere sul mio giaciglio e vedo due gambe lunghe e abbronzate. Sollevo il capo. È lei, è Lilli, anche se è molto cambiata. La voce è l'unica cosa che riconosco. È più in carne, i capelli sono biondi e luminosi, è vestita con cura. Truccata.
"Ciao Bartolomeo" dice.
"Perché sei sparita senza dire nulla?" domando. La mia voce è ancora impastata dal sonno.
"Ti devo chiedere scusa, Bartolomeo. Ti ho mentito".
"Mentito?"
"Sì, non sono mai stata una senzatetto. Ho finto di esserlo".
"Che cosa?" Adesso sono del tutto sveglio.
"Sono una giornalista. Una scrittrice, come te" dice, un po' imbarazzata.
"Non capisco".
"Volevo scrivere un libro sulle condizioni di vita dei barboni" dice.
"Ah!" Sono sorpreso, stupito.
"Guarda" dice, e mi porge un volumetto.
"Il mio libro. È stato pubblicato e ha avuto un buon successo. Te lo regalo."
"Grazie" dico. Apro il libro, ne strappo una pagina e vi avvolgo una mela tutta avvizzita che ho raccattato il giorno prima al mercato.
"Così si conserverà meglio" dico. 

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