La convivenza, fin da
subito, si era rivelata difficile. Erano venuti a stare da noi perché non
avevano altro posto dove andare. Lei aveva perso il lavoro - li perdeva tutti -
e avevano dovuto lasciare la casa dove abitavano. Lui, invece, un lavoro non
l'aveva mai avuto.
Ornella e Bruno si conoscevano
dai tempi in cui quest'ultimo era il fidanzato mia moglie. Poi quella storia era
finita, dopo un po' i due si erano di nuovo incontrati e si erano messi
insieme.
Fino a poco tempo prima
non avevo mai visto Bruno, ne avevo soltanto sentito parlare. Adesso
addirittura me lo ritrovavo in casa. Ciò aveva scatenato in me una certa
irritazione e, lo ammetto, anche un po' di gelosia. A fare le spese di questo
risentimento era soprattutto mia moglie, che non mancavo mai di tormentare.
"Com'è possibile
che tu abbia potuto frequentare un individuo simile?" domandavo con
rancore.
"Un tempo non era
così" si difendeva lei, con scarsa convinzione.
"È completamente
svitato. È poco più di una bestia" continuavo a infierire sulla povera
donna.
Quel giorno sentimmo
dei forti rumori provenire dalla stanza accanto, quella che occupavano i nostri
ospiti. Trambusto di mobili che venivano spostati, grida.
"Che stanno
facendo quei due idioti?" dissi.
"Lascia
stare" rispose mia moglie. Sul suo viso era disegnata una certa
apprensione.
"Non lascio stare
affatto! Questa è casa mia!"
Mi alzai dal divano e
irruppi nella loro camera.
"Che cazzo state
facendo?" urlai.
Ornella e Bruno si
immobilizzarono all'istante. E tacquero. Osservai quel ridicolo fermo immagine.
Lui, grande e grosso e
tutto sudato, stava trascinando una libreria colma cercando di spostarla. Lei,
di sicuro, fino a qualche istante prima stava zampettando attorno a quel
deficiente come una cavalletta e strepitando con la sua vocetta stridula.
"Volevamo spostare
la libreria lontano dalla finestra" disse infine Ornella. "Toglie
energia".
"Non potevate
prima svuotarla?"
"Non ci abbiamo
pensato" grugnì Bruno.
I montanti del mobile
si stavano piegando, i libri minacciavano di cadere. Il pavimento era tutto
graffiato. Uscii sbattendo la porta e imprecando. Mi ributtai sul divano,
furibondo. Mia moglie non disse nulla, continuò a lavare i piatti, perché tutti
i lavori domestici li svolgeva lei, quei due parassiti non muovevano un dito.
Dopo alcuni minuti
Ornella mi raggiunse. Era una donna di corporatura minuta, completamente
diversa dalla sorella. Aveva capelli lunghi e sottili, disordinati, la pelle
diafana. Quel giorno indossava una maglietta bianca, non stirata, che le
lasciava scoperta la pancia, e dei pantaloni larghi che a stento stavano su
reggendosi alle sporgenze delle anche. Si acciambellò sul sofà e si accese una
sigaretta. Fumava di continuo, pur sapendo quanto mi provocasse fastidio.
"Ti sei arrabbiato,
stronzetto?"
"Non chiamarmi in
quel modo!"
"Non essere così
irritato" aggiunse, soffiandomi il fumo addosso. Poi mi toccò un braccio.
"Non mi
toccare!"
"Ehi, stronzetto.
Si può sapere che cazzo hai?"
Prima di esplodere,
ebbi il tempo di vedere mia moglie che si portava le mani alle orecchie.
"Ascoltami bene"
urlai. "Non sono un medico né un assistente sociale, ma ho capito che voi
due avete dei seri problemi psichiatrici. Dovete farvi curare, intesi? Non ne
posso più di sopportare le vostre continue stronzate, i vostri litigi, la
vostra sciatteria. Dovete trovare qualcosa da fare oppure, meglio ancora, ve ne
dovete andare fuori dai coglioni. Basta, non ne posso più!"
Ornella assistette
divertita al mio sfogo, e fece cadere la cenere sul divano.
"Però, lo
stronzetto!" disse.
In quel momento si aprì
la porta della camera. Apparve l'enorme sagoma di Bruno. Con passi da elefante
raggiunse il centro del soggiorno, incrociò le braccia possenti.
"Invece di stare
qui a fare un cazzo, perché non venite a darmi una mano a spostare quella
maledetta libreria?"
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