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domenica 3 aprile 2016

QUESTA E' CASA MIA!


La convivenza, fin da subito, si era rivelata difficile. Erano venuti a stare da noi perché non avevano altro posto dove andare. Lei aveva perso il lavoro - li perdeva tutti - e avevano dovuto lasciare la casa dove abitavano. Lui, invece, un lavoro non l'aveva mai avuto.
Ornella e Bruno si conoscevano dai tempi in cui quest'ultimo era il fidanzato mia moglie. Poi quella storia era finita, dopo un po' i due si erano di nuovo incontrati e si erano messi insieme.
Fino a poco tempo prima non avevo mai visto Bruno, ne avevo soltanto sentito parlare. Adesso addirittura me lo ritrovavo in casa. Ciò aveva scatenato in me una certa irritazione e, lo ammetto, anche un po' di gelosia. A fare le spese di questo risentimento era soprattutto mia moglie, che non mancavo mai di tormentare.
"Com'è possibile che tu abbia potuto frequentare un individuo simile?" domandavo con rancore.
"Un tempo non era così" si difendeva lei, con scarsa convinzione.
"È completamente svitato. È poco più di una bestia" continuavo a infierire sulla povera donna.
Quel giorno sentimmo dei forti rumori provenire dalla stanza accanto, quella che occupavano i nostri ospiti. Trambusto di mobili che venivano spostati, grida.
"Che stanno facendo quei due idioti?" dissi.
"Lascia stare" rispose mia moglie. Sul suo viso era disegnata una certa apprensione.
"Non lascio stare affatto! Questa è casa mia!"
Mi alzai dal divano e irruppi nella loro camera.
"Che cazzo state facendo?" urlai.
Ornella e Bruno si immobilizzarono all'istante. E tacquero. Osservai quel ridicolo fermo immagine.
Lui, grande e grosso e tutto sudato, stava trascinando una libreria colma cercando di spostarla. Lei, di sicuro, fino a qualche istante prima stava zampettando attorno a quel deficiente come una cavalletta e strepitando con la sua vocetta stridula.
"Volevamo spostare la libreria lontano dalla finestra" disse infine Ornella. "Toglie energia".
"Non potevate prima svuotarla?"
"Non ci abbiamo pensato" grugnì Bruno.
I montanti del mobile si stavano piegando, i libri minacciavano di cadere. Il pavimento era tutto graffiato. Uscii sbattendo la porta e imprecando. Mi ributtai sul divano, furibondo. Mia moglie non disse nulla, continuò a lavare i piatti, perché tutti i lavori domestici li svolgeva lei, quei due parassiti non muovevano un dito.
Dopo alcuni minuti Ornella mi raggiunse. Era una donna di corporatura minuta, completamente diversa dalla sorella. Aveva capelli lunghi e sottili, disordinati, la pelle diafana. Quel giorno indossava una maglietta bianca, non stirata, che le lasciava scoperta la pancia, e dei pantaloni larghi che a stento stavano su reggendosi alle sporgenze delle anche. Si acciambellò sul sofà e si accese una sigaretta. Fumava di continuo, pur sapendo quanto mi provocasse fastidio.
"Ti sei arrabbiato, stronzetto?"
"Non chiamarmi in quel modo!"
"Non essere così irritato" aggiunse, soffiandomi il fumo addosso. Poi mi toccò un braccio.
"Non mi toccare!"
"Ehi, stronzetto. Si può sapere che cazzo hai?"
Prima di esplodere, ebbi il tempo di vedere mia moglie che si portava le mani alle orecchie.
"Ascoltami bene" urlai. "Non sono un medico né un assistente sociale, ma ho capito che voi due avete dei seri problemi psichiatrici. Dovete farvi curare, intesi? Non ne posso più di sopportare le vostre continue stronzate, i vostri litigi, la vostra sciatteria. Dovete trovare qualcosa da fare oppure, meglio ancora, ve ne dovete andare fuori dai coglioni. Basta, non ne posso più!"
Ornella assistette divertita al mio sfogo, e fece cadere la cenere sul divano.
"Però, lo stronzetto!" disse.
In quel momento si aprì la porta della camera. Apparve l'enorme sagoma di Bruno. Con passi da elefante raggiunse il centro del soggiorno, incrociò le braccia possenti.
"Invece di stare qui a fare un cazzo, perché non venite a darmi una mano a spostare quella maledetta libreria?"


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