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sabato 9 aprile 2016

SACCHI DI GRANO



Quando mi recavo da lui - e lo facevo quasi tutti giorni - lo trovavo sempre nel magazzino, disteso sui sacchi di grano e intento a leggere un libro. Suo padre era proprietario di un negozio di prodotti agricoli e lui, il mio amico, preferiva trascorrere i pomeriggi in quell'ampio e disordinato ambiente invece che nel contiguo e tetro alloggio. In estate, quando il caldo era davvero importuno, prediligeva indossare soltanto un paio di sdruciti pantaloncini, o addirittura delle vecchie mutande, e il suo corpo snello e flessuoso e madido era ricoperto da un sottile strato di polvere bianca.
"Sei pronto per essere passato in padella" gli dicevo, scherzando. Lui accennava soltanto un sorriso, poi iniziava a descrivermi con entusiasmo, gesticolando e alzando la voce, il libro che stava leggendo.
Dopodiché anch'io gli parlavo delle mie letture, e lui ribatteva concitato; in tal modo trascorrevano ore e ore senza che nessuno dei due avesse alcuna percezione del tempo passato.
I nostri discorsi spaziavano dalla letteratura alla musica al cinema alla politica e a qualunque argomento ritenuto di un qualche interesse. Eravamo invece più reticenti su tutto ciò che era giudicato di natura più personale: i rapporti con i genitori, con le ragazze, le nostre aspirazioni, i nostri pensieri più intimi e inconfessabili. Bloccati da eccessivo pudore, da una indefinita riservatezza, da semplice timidezza.
Ci conoscevamo fin dai tempi della scuola elementare. Il nostro rapporto si rafforzò poco alla volta, quando scoprimmo tutto ciò che ci accomunava. Dapprima furono i fumetti. Entrambi eravamo cultori di quella forma di espressione, all'epoca non troppo considerata. Leggevamo con avidità tutti quelli che riuscivamo a procurarci, ed erano davvero molti, di ogni genere, e per farlo non badavamo ai mezzi impiegati.. In seguito ci dilettammo entrambi a produrli, i fumetti. Tutti e due discreti disegnatori, ci sfidavamo a creare sempre nuovi personaggi, fossero essi spie imbranate o preti gaudenti, e li facevamo vivere in decine e decine di strisce che uno sottoponeva all'analisi critica dell'altro.
Trascorsero così molti piacevoli anni, gli interessi condivisi aumentarono, tra i quali anche la pratica ossessiva di alcune attività sportive.
Il suo aspetto, anche quando era ormai un giovanotto, rimase sempre trasandato. Lui aveva grande cura dell'igiene personale, ma per nulla di quanto riguardava l'immagine estetica. Non si pettinava mai, i suoi pantaloni erano sempre sdruciti o scuciti, la maglie vecchie e senza forma, le camicie non erano mai abbottonate in maniera giusta, le scarpe fruste e sporche. Quasi sempre, quando si usciva per andare al cinema o in qualche altro luogo di divertimento, la sua patta dei pantaloni era aperta. Questo stato di cose precludeva la sua (e di riflesso anche la mia) vita sociale, e soprattutto i rapporti con l'altro sesso. Iniziai, a sua insaputa, a frequentare alcune ragazze. Lui non sembrava interessato, non ne voleva parlare, finché a un certo punto si innamorò. Lei era una giovane della borgata, piuttosto graziosa. Ero costretto, tutti i giorni, ad aspettare che lei passasse, di ritorno dal lavoro sulla sua Cinquecento blu, di fronte a casa sua. Durante l'attesa era molto agitato, irrequieto. Quando l'evento finalmente si compiva allora si rilassava e potevamo ritornare alle nostre abituali attività. Lui e la ragazza non si parlarono mai. Non ho più assistito a un sentimento così intenso e, per forza di cose, non corrisposto.
Le vicende della vita, il trascorrere del tempo, l'età sempre più adulta, alla fine ci hanno allontanati.
L'ho rivisto qualche giorno fa. Indossava una impeccabile divisa.

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