Avevo giurato a me
stesso che non sarebbe mai accaduto. Invece, proprio alla soglia dei settant’anni,
è capitato. L’altra sera ero seduto in poltrona, di fronte al televisore, e
stavo seguendo il telegiornale. Quando è stato trasmesso il solito servizio che
prevede la sfilata dei politici, prima quelli della maggioranza, poi quelli
dell’opposizione, intenti a pronunciare le trite due battute utili soltanto per mettersi in mostra, ho sbottato.
“Basta! Smettetela di
prenderci in giro!”
Poi mi sono voltato,
prima da una parte e poi dall’altra, per cogliere le reazioni alla mia decisa affermazione. Niente, e non poteva essere altrimenti. Allora ho cambiato
canale, dove stavano intervistando una famosa attrice, per la quale ho sempre
avuto un debole. Non più giovane, però con ancora due gambe fenomenali, che
stava mettendo in mostra.
“Però!” Ho detto,
appagato da quella piacevole visione.
Da quel momento è stata
una deriva. Non riesco più a frenarmi, non riesco più a fermarmi.
Stamattina, come sempre
da quando sono in pensione, mi sono alzato presto. Erano da poco passate le
sei.
“Adesso ci facciamo una
bella colazione e dopo ci mettiamo in moto!”
E poi: “Buoni questi
biscotti!”
Ancora: “Diamoci da
fare, laviamo tutto per bene e poi andiamo finalmente a vestirci. Dobbiamo
uscire!”
Ciò che mi dà
soprattutto fastidio, al di là della cosa in sé, è l’enfasi di queste mie
frasi. Quel punto esclamativo che sempre le conclude. Eppure non riesco proprio
a farne a meno, non ce la faccio a pronunciarle in un altro modo. È assolutamente indispensabile
che siano perentorie.
Ho sempre guardato con
compatimento chi sapevo fosse affetto da quella afflizione che adesso è pure la
mia. Non ho mai compreso come ci si potesse ridurre a quel modo. E, mi rendo
conto adesso, io di questi individui vedevo solo la facciata pubblica, quella
più irrilevante, minima, perché quando si è in presenza di altre persone ci si trattiene, si fa di tutto per evitare di essere commiserati, di
essere additati come soggetti un po’ tocchi. Eppure non credo che nella mia
mente alberghi l’insania, sono convinto di essere tuttora un uomo
equilibrato. Quando sono per strada, infatti, taccio. Oppure parlo soltanto
quando è necessario. Ma, appena mi ritrovo da solo, ecco che riemerge l’affezione,
se così la si può definire.
“Ahhh! Sono tornato a
casa! Ora ci prepariamo una bella cenetta!”
“Buono questo
formaggio!”
“Basta. Basta con il
pane! Non esageriamo!” E via di questo passo.
Come: “Su, alziamoci da
questo divano, è ora di andare a dormire!”
“La finestra! Chiudiamo
‘sta finestra, cribbio!”
Avevo giurato a me
stesso che non sarebbe mai accaduto. Invece, proprio adesso che mi appresto a
essere vecchio, è successo. E so che non smetterò più, perché in fondo mi
piace. Sì, mi piace parlare da solo ad alta voce.
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