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domenica 25 ottobre 2015

IO E ME


Avevo giurato a me stesso che non sarebbe mai accaduto. Invece, proprio alla soglia dei settant’anni, è capitato. L’altra sera ero seduto in poltrona, di fronte al televisore, e stavo seguendo il telegiornale. Quando è stato trasmesso il solito servizio che prevede la sfilata dei politici, prima quelli della maggioranza, poi quelli dell’opposizione, intenti a pronunciare le trite due battute utili soltanto per mettersi in mostra, ho sbottato.
“Basta! Smettetela di prenderci in giro!”
Poi mi sono voltato, prima da una parte e poi dall’altra, per cogliere le reazioni alla mia decisa affermazione. Niente, e non poteva essere altrimenti. Allora ho cambiato canale, dove stavano intervistando una famosa attrice, per la quale ho sempre avuto un debole. Non più giovane, però con ancora due gambe fenomenali, che stava mettendo in mostra.
“Però!” Ho detto, appagato da quella piacevole visione.
Da quel momento è stata una deriva. Non riesco più a frenarmi, non riesco più a fermarmi.
Stamattina, come sempre da quando sono in pensione, mi sono alzato presto. Erano da poco passate le sei.
“Adesso ci facciamo una bella colazione e dopo ci mettiamo in moto!”
E poi: “Buoni questi biscotti!”
Ancora: “Diamoci da fare, laviamo tutto per bene e poi andiamo finalmente a vestirci. Dobbiamo uscire!”
Ciò che mi dà soprattutto fastidio, al di là della cosa in sé, è l’enfasi di queste mie frasi. Quel punto esclamativo che sempre le conclude. Eppure non riesco proprio a farne a meno, non ce la faccio a pronunciarle in un altro modo. È assolutamente indispensabile che siano perentorie.
Ho sempre guardato con compatimento chi sapevo fosse affetto da quella afflizione che adesso è pure la mia. Non ho mai compreso come ci si potesse ridurre a quel modo. E, mi rendo conto adesso, io di questi individui vedevo solo la facciata pubblica, quella più irrilevante, minima, perché quando si è in presenza di altre persone ci si trattiene, si fa di tutto per evitare di essere commiserati, di essere additati come soggetti un po’ tocchi. Eppure non credo che nella mia mente alberghi l’insania, sono convinto di essere tuttora un uomo equilibrato. Quando sono per strada, infatti, taccio. Oppure parlo soltanto quando è necessario. Ma, appena mi ritrovo da solo, ecco che riemerge l’affezione, se così la si può definire.
“Ahhh! Sono tornato a casa! Ora ci prepariamo una bella cenetta!”
“Buono questo formaggio!”
“Basta. Basta con il pane! Non esageriamo!” E via di questo passo.
Come: “Su, alziamoci da questo divano, è ora di andare a dormire!”
“La finestra! Chiudiamo ‘sta finestra, cribbio!”
Avevo giurato a me stesso che non sarebbe mai accaduto. Invece, proprio adesso che mi appresto a essere vecchio, è successo. E so che non smetterò più, perché in fondo mi piace. Sì, mi piace parlare da solo ad alta voce.


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