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domenica 11 ottobre 2015

NOBEL OBLIGE


Mancava meno di un mese alla data di assegnazione del Premio. Erano le sette del mattino, il famoso scrittore P.R. era già seduto al tavolo del suo studio, di fronte al computer. Quel mattino si era destato all’improvviso, in preda a una feroce ispirazione. Aveva riflettuto per giorni interi per cercare di trovare la soluzione di quel problema che tanto lo angustiava. Poi, all’improvviso, durante la notte si era svegliato e finalmente aveva ben chiaro in testa ciò che doveva fare. Rifletté ancora un attimo prima di decidersi a premere un tasto con il dito indice, l’unico che usava per scrivere. Sul video apparve una virgola. Ecco, finalmente si era sbloccato, la crisi creativa era finita. Soddisfatto, si portò le mani alla testa e si scompigliò i radi capelli bianchi massaggiando il cranio. Strinse a sé i lembi della elegante giacca da camera che indossava e ricominciò a pensare. La sua intensa meditazione fu quasi subito disturbata dal suono insistente del campanello. Dapprima lo ignorò poi, infastidito, si alzò e si avvicinò al video citofono. Scorse la brutta faccia di Smith, il suo agente. P.R. sospirò e aprì. Dopo pochi istanti Smith comparve sulla soglia. Appariva trafelato, doveva aver fatto le scale di corsa. L’agente entrò e, ansimante, si buttò su un divano. P.R. si accomodò di fronte a lui, su una poltrona.
“Ti chiedo scusa se ti disturbo a quest’ora, anche se vedo con piacere che eri già al lavoro” disse Smith.
“Lo ero finché tu non mi hai importunato con la tua visita” ribatté acido lo scrittore.
“Ti chiedo di nuovo scusa ma proprio non potevo aspettare” disse l’altro.
“Esiste anche il telefono”.
“Tu non rispondi mai”.
“Vero. Allora? Che cosa mi devi dire di tanto importante?”
“Ci sono novità. Grosse novità.”
“Il Premio?” domandò lo scrittore, che era stato colto da un lieve senso di ansia.
“Esatto. Questa volte, forse, è la volta buona.”
I lineamenti del volto rugoso di P.R. furono alterati da una smorfia.
“Forse?” riuscì a domandare con fatica.
“Ho avuto una soffiata dal mio amico all’Accademia. Sembra che siate rimasti in lizza soltanto tu e un altro. Lo stronzetto muso giallo e quell’imbecille di norvegese sono fuori.”
“Ah! E chi sarebbe invece quest’altro? Il mio unico rivale, insomma.”
“L’altra, per la verità.”
“L’altra? Vuoi dire che si tratta di una donna?”
“Esatto” confermò l’agente.
P.R. scosse il capo.
“All’Accademia si stanno rimbambendo. Lo dovrebbero sapere che scrivere è un impegno da uomini.”
“Sono perfettamente d’accordo.”
“Non ti ho chiesto se gradisci qualcosa da bere. Un bicchiere di latte?”
“Grazie, ma preferirei qualcosa di più forte.”
“Bene, più tardi ti farò un po’ di tè.”
Smith strabuzzò gli occhi.
“Grazie” disse infine, rassegnato e disgustato.
“Parlami di questa donna. Chi è?” chiese P.R.
“Bah, non la conosce quasi nessuno. Pare sia soprattutto una giornalista. Il nome non me lo ricordo, è pieno di consonanti.”
“Una giornalista? Per loro non c’è il Pulitzer? Perché deve rompere le palle proprio a me?”
“Non è americana.”
“Ah no? E di dov’è?”
“È bielorussa.”
“Russa, hai detto?”
“No, bielorussa.”
P.R. cominciò a innervosirsi.
“Mi stai prendendo per il culo? È russa oppure no?”
“Ti spiego. Dalla dissoluzione dell’Unione Sovietica…”
“So benissimo che cosa era l’Unione Sovietica!” lo investì lo scrittore.
“Aspetta…”
P.R. ormai era un fiume in piena.
“Non me ne importa un cazzo dell’Unione Sovietica, della Russia o di altre menate simili! Dimmi piuttosto che cosa ha scritto di tanto importante questa stronza!”
“Stai calmo P., ti prego. In questo modo ti si alza la pressione. Questa bruttona, perché ti assicuro che è davvero orrenda, ha scritto nient’altro che alcuni reportage.”
“Vale a dire?”
“Il più conosciuto parla di Chernobyl.”
“Chernobyl! E chi sarebbe questo Chernobyl? Un uomo politico? Un calciatore?” P.R. si stava di nuovo irritando.
“No. Non ti ricordi? La centrale nucleare…”
“No! Non mi ricordo più un cazzo di niente! Sono anziano, ormai. Ma sono il più grande scrittore vivente, per Dio!”
“Hai ragione P., ma calmati o ti sentirai male.”
“Non me ne fotte niente di schiattare, l’importante è che prima mi assegnino il maledetto Premio!”
“Lo avrai, ne puoi essere certo. Sei il più grande.”
“E poi? Oltre che di questo Cernobyl, che cos’altro avrebbe scritto quella donna?”
“Ha scritto un libro sull’Afghanistan” disse Smith, cauto.
“Afghanistan? E cosa sarebbe? Una guida turistica? Che vergogna!”
“Non te la prendere P., l’Accademia si è fatta prendere la mano dalle solite manovre politiche. Sai, pare che questa giornalista sia stata perseguitata nel suo paese, è stata anche costretta, per un certo periodo, a rifugiarsi all’estero.”
“L’esilio sta diventando una moda, anche tra gli scrittori.”
“E sembra che non sia affatto simpatica pure a Putin” aggiunse Smith.
“Putin! Quello sciagurato! Saranno almeno trent’anni che non legge un libro.”
“Già, pare sia stato impegnato un tutt’altre faccende. In ogni caso non ti devi preoccupare, sono sicuro che questa sarà davvero la volta buona. Dovranno finalmente riconoscere il tuo immenso valore”.
“Non possono conferire il Premio a quella donna” disse P.R., con voce lamentosa. “Persino il vecchio dinamitardo si rivolterebbe nella tomba.”

È trascorso quasi un mese. Il famoso scrittore P.R. è seduto al tavolo del suo studio, a testa china sul computer. Piange. Ha appena sentito alla radio che il Premio è stato assegnato. E ancora una volta non è toccato a lui. Vorrebbe suicidarsi, ma non ne ha la forza. Rialza il busto, sgranchisce le vecchie ossa rese rigide dall’artrosi, e decide di riprendere a lavorare. Vuol dire che sarà per l’anno prossimo, pensa. Sì, ne è sicuro, il prossimo sarà l’anno buono. Pieno di rinnovate energie, cala il dito indice sulla tastiera, l’unico che usa per scrivere, e cancella una virgola.


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