Mancava meno di un mese
alla data di assegnazione del Premio. Erano le sette del mattino, il famoso
scrittore P.R. era già seduto al tavolo del suo studio, di fronte al computer.
Quel mattino si era destato all’improvviso, in preda a una feroce ispirazione.
Aveva riflettuto per giorni interi per cercare di trovare la soluzione di quel
problema che tanto lo angustiava. Poi, all’improvviso, durante la notte si era
svegliato e finalmente aveva ben chiaro in testa ciò che doveva fare. Rifletté
ancora un attimo prima di decidersi a premere un tasto con il dito indice, l’unico
che usava per scrivere. Sul video apparve una virgola. Ecco, finalmente si era
sbloccato, la crisi creativa era finita. Soddisfatto, si portò le mani alla
testa e si scompigliò i radi capelli bianchi massaggiando il cranio. Strinse a sé
i lembi della elegante giacca da camera che indossava e ricominciò a pensare.
La sua intensa meditazione fu quasi subito disturbata dal suono insistente del
campanello. Dapprima lo ignorò poi, infastidito, si alzò e si avvicinò al video
citofono. Scorse la brutta faccia di Smith, il suo agente. P.R. sospirò e aprì.
Dopo pochi istanti Smith comparve sulla soglia. Appariva trafelato, doveva aver
fatto le scale di corsa. L’agente entrò e, ansimante, si buttò su un divano.
P.R. si accomodò di fronte a lui, su una poltrona.
“Ti chiedo scusa se ti
disturbo a quest’ora, anche se vedo con piacere che eri già al lavoro” disse
Smith.
“Lo ero finché tu non
mi hai importunato con la tua visita” ribatté acido lo scrittore.
“Ti chiedo di nuovo
scusa ma proprio non potevo aspettare” disse l’altro.
“Esiste anche il
telefono”.
“Tu non rispondi mai”.
“Vero. Allora? Che cosa
mi devi dire di tanto importante?”
“Ci sono novità. Grosse
novità.”
“Il Premio?” domandò lo
scrittore, che era stato colto da un lieve senso di ansia.
“Esatto. Questa volte,
forse, è la volta buona.”
I lineamenti del volto
rugoso di P.R. furono alterati da una smorfia.
“Forse?” riuscì a
domandare con fatica.
“Ho avuto una soffiata
dal mio amico all’Accademia. Sembra che siate rimasti in lizza soltanto tu e un
altro. Lo stronzetto muso giallo e quell’imbecille di norvegese sono fuori.”
“Ah! E chi sarebbe
invece quest’altro? Il mio unico rivale, insomma.”
“L’altra, per la
verità.”
“L’altra? Vuoi dire che
si tratta di una donna?”
“Esatto” confermò l’agente.
P.R. scosse il capo.
“All’Accademia si
stanno rimbambendo. Lo dovrebbero sapere che scrivere è un impegno da uomini.”
“Sono perfettamente d’accordo.”
“Non ti ho chiesto se
gradisci qualcosa da bere. Un bicchiere di latte?”
“Grazie, ma preferirei
qualcosa di più forte.”
“Bene, più tardi ti
farò un po’ di tè.”
Smith strabuzzò gli
occhi.
“Grazie” disse infine,
rassegnato e disgustato.
“Parlami di questa
donna. Chi è?” chiese P.R.
“Bah, non la conosce
quasi nessuno. Pare sia soprattutto una giornalista. Il nome non me lo ricordo,
è pieno di consonanti.”
“Una giornalista? Per
loro non c’è il Pulitzer? Perché deve rompere le palle proprio a me?”
“Non è americana.”
“Ah no? E di dov’è?”
“È bielorussa.”
“Russa, hai detto?”
“No, bielorussa.”
P.R. cominciò a
innervosirsi.
“Mi stai prendendo per
il culo? È russa oppure no?”
“Ti spiego. Dalla
dissoluzione dell’Unione Sovietica…”
“So benissimo che cosa
era l’Unione Sovietica!” lo investì lo scrittore.
“Aspetta…”
P.R. ormai era un fiume
in piena.
“Non me ne importa un
cazzo dell’Unione Sovietica, della Russia o di altre menate simili! Dimmi
piuttosto che cosa ha scritto di tanto importante questa stronza!”
“Stai calmo P., ti
prego. In questo modo ti si alza la pressione. Questa bruttona, perché ti
assicuro che è davvero orrenda, ha scritto nient’altro che alcuni reportage.”
“Vale a dire?”
“Il più conosciuto
parla di Chernobyl.”
“Chernobyl! E chi
sarebbe questo Chernobyl? Un uomo politico? Un calciatore?” P.R. si stava di
nuovo irritando.
“No. Non ti ricordi? La
centrale nucleare…”
“No! Non mi ricordo più
un cazzo di niente! Sono anziano, ormai. Ma sono il più grande scrittore
vivente, per Dio!”
“Hai ragione P., ma
calmati o ti sentirai male.”
“Non me ne fotte niente
di schiattare, l’importante è che prima mi assegnino il maledetto Premio!”
“Lo avrai, ne puoi
essere certo. Sei il più grande.”
“E poi? Oltre che di
questo Cernobyl, che cos’altro avrebbe scritto quella donna?”
“Ha scritto un libro
sull’Afghanistan” disse Smith, cauto.
“Afghanistan? E cosa
sarebbe? Una guida turistica? Che vergogna!”
“Non te la prendere P.,
l’Accademia si è fatta prendere la mano dalle solite manovre politiche. Sai,
pare che questa giornalista sia stata perseguitata nel suo paese, è stata anche
costretta, per un certo periodo, a rifugiarsi all’estero.”
“L’esilio sta diventando
una moda, anche tra gli scrittori.”
“E sembra che non sia
affatto simpatica pure a Putin” aggiunse Smith.
“Putin! Quello
sciagurato! Saranno almeno trent’anni che non legge un libro.”
“Già, pare sia stato
impegnato un tutt’altre faccende. In ogni caso non ti devi preoccupare, sono
sicuro che questa sarà davvero la volta buona. Dovranno finalmente riconoscere
il tuo immenso valore”.
“Non possono conferire
il Premio a quella donna” disse P.R., con voce lamentosa. “Persino il vecchio
dinamitardo si rivolterebbe nella tomba.”
È trascorso quasi un
mese. Il famoso scrittore P.R. è seduto al tavolo del suo studio, a testa china
sul computer. Piange. Ha appena sentito alla radio che il Premio è stato
assegnato. E ancora una volta non è toccato a lui. Vorrebbe suicidarsi, ma non
ne ha la forza. Rialza il busto, sgranchisce le vecchie ossa rese rigide dall’artrosi,
e decide di riprendere a lavorare. Vuol dire che sarà per l’anno prossimo,
pensa. Sì, ne è sicuro, il prossimo sarà l’anno buono. Pieno di rinnovate
energie, cala il dito indice sulla tastiera, l’unico che usa per scrivere, e
cancella una virgola.
Nessun commento:
Posta un commento