Il grande complesso
residenziale, quando sarà ultimato, potrà ospitare più di cinquantamila
famiglie. L’intera area che lo ospita, alla quale è possibile accedere
attraverso decine di porte sorvegliate, è circondata da un alto muro di cemento.
Esibisco il mio pass a un guardiano dall’aria annoiata ed entro. Gli edifici
sono tutti collegati tra loro, una specie di serpente in muratura del quale non
si intravede la fine. Il cantiere è ancora in piena attività: brulichio di
operai affaccendati, urla, enormi gru che si innalzano verso il cielo. Inizio a
percorrere gli interminabili portici. Sono bui, le armature impediscono quasi
del tutto alla luce di filtrare. A terra scorgo macerie di ogni tipo, pezzi di
ferro, cartacce, bottiglie di plastica. Noto con stupore che alcuni negozi sono
già aperti, vendono abbigliamento, scarpe, materiale informatico. Ci sono dei
bar e dei ristoranti, farmacie. Deduco che molte persone già risiedano nel mega
condominio. Imbocco una scala che scende nelle viscere di quello che è chiamato
Blocco 1. Dopo un po’ i gradini spariscono per far posto a uno scivolo
elicoidale sul quale lascio scivolare le lisce suole delle mie scarpe. Poi mi
arresto, quando non riesco più a vedere nulla. Non ci sono più luci. Sento un
ansito, qualcuno sta risalendo lo scivolo. Si tratta di un’anziana donna, che
reca con sé due sporte colme. Si ferma, mi guarda, cerca di riprendere fiato.
“Le scale sono le scale”
dice, con un sospiro. Poi riprende la faticosa salita.
Subito dopo, dall’oscurità,
spunta un uomo. È vestito in modo elegante, con giacca, cravatta e uno
sgargiante panciotto, illuminato dalla torcia che tiene in mano.
“Torni indietro” dice,
con un sorriso.
“Che cosa c’è lì sotto?”
domando.
“Oh, nulla. La
profondità” risponde.
Torniamo in superficie.
Sempre seguito da quello strano individuo, mi avventuro su un graticcio di legno.
“Attenzione!” mi urla.
Il fragile telaio
scricchiola sotto il mio peso. Sento abbaiare dei cani, li intravedo attraverso
le fessure. Sono due pastori alsaziani con la bava alla bocca. Mi immobilizzo,
ho paura di cadere tra le loro fauci.
“Sono i cani del
custode del blocco” dice l’uomo.
“Mi aiuti” sussurro in
prede al terrore.
Lui butta sul graticcio
una spessa asse sulla quale cammino con attenzione. Quando sono ormai salvo
sento un rumore che proviene da un ampio spiazzo. Un enorme escavatore, che
sembra impazzito, ruota su se stesso finché non si rovescia a terra e prende
fuoco. Poi, un’esplosione.
“Stanno girando un film”
dice l’uomo. “Venga, l’accompagno in un luogo più tranquillo” aggiunge.
Senza badare se lo
seguo o meno, si incammina di buon passo, tanto che fatico a tenere il suo
passo. Marciamo per più di venti minuti, finché non arriviamo in prossimità
dell’ultima parte del condominio.
Oltre, ci sono soltanto
prati.
“Guardi” mi dice. “Non
è bello? È il parco giochi”.
Schermandomi gli occhi
dal sole con una mano, osservo con attenzione. Vedo centinaia e centinaia di
altalene, blu e rosse, disposte su più file, perfettamente allineate. Sono
tutte vuote, i loro seggiolini ondeggiano lentamente per effetto del vento.
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