Appoggio la
tazzina di caffè sul tavolo, il suo aroma avvolgente si mescola all’aria fresca
del mattino. Il giornale, ancora aperto sulla pagina che mi ha così tanto
turbato, è accanto a me. Le parole che ho appena letto continuano a rimbombare
nella mia mente, come un eco inquietante. Un’auto fuori strada, un pedone
illeso. L'incidente è accaduto nel mio paese. La notizia è così tragica che mi
fa venire voglia di chiudere gli occhi e dimenticare, ma non posso. Come non
posso ignorare il pensiero che mi assilla. Ripenso all’ultima volta che ho
parlato con il mio amico B., l'agricoltore, appena qualche giorno fa. Era un
pomeriggio di sole, e ci eravamo incontrati nel suo campo, quello che costeggia
la strada provinciale, circondati da filari di pomodori e piante di basilico.
B. era molto agitato, e non ci volle molto perché mi raccontasse della sua
ossessione per R., la ragazza che aveva conosciuto al seggio elettorale, quando
entrambi vi avevano prestato servizio. La sua voce tremava di emozione mentre
parlava di lei, dei suoi occhi, del suo sorriso, della sua simpatia. Del suo
corpo. Era come se avesse trovato un tesoro inaspettato ma, al tempo stesso,
c’era una nube scura che aleggiava sopra di lui.
"Non so come
dirglielo" aveva confessato, il viso contratto in una smorfia di
preoccupazione.
"In realtà non
so se le piaccio. E poi c’è suo padre…" aveva aggiunto con voce triste.
Ricordo bene il
modo in cui aveva abbassato lo sguardo, come se il peso di quella figura
paterna lo schiacciasse.
"Lo conosci
anche tu. È un tipo violento, possessivo. Pensa che una volta l’ho visto
fermarsi davanti alla chiesa e sputare per terra con disprezzo. Non voglio
avere problemi con lui".
Eccome se lo
conoscevo, il signor Pino Pettenuzzo! Una specie di troglodita, un autentico
animale.
Avevo comunque
cercato di incoraggiare il mio amico, di fargli capire che, se davvero teneva
così tanto a quella ragazza, doveva fare qualcosa.
"Non puoi
semplicemente stare lì a guardarla passare in macchina! Non ha alcun
senso!"
Ogni giorno, alla
stessa ora, B. si appostava nel cortile di casa e attendeva il passaggio
dell'automobile di R. che tornava dal lavoro insieme alla madre. Avevo
insistito.
"Dovresti
cercare di parlare con lei, magari andare a casa sua. Vi siete conosciuti
lavorando ai seggi, no?"
Lui aveva scosso
la testa, lo sguardo perso nel vuoto.
"Non posso.
Ho paura".
Eppure,
nonostante i suoi timori, mi aveva sorpreso dicendo di avere un piano. "Ho
deciso di attirare la sua attenzione" aveva detto, con un tono che
oscillava tra la determinazione e la follia.
"Fingerò di
attraversare la strada senza prestare attenzione e mi farò investire. Così
saranno costrette a fermarsi e io avrò modo di parlare con lei".
Non avevo potuto
fare a meno di ridere, pensando che fosse uno scherzo.
"Ma sei
pazzo? Non puoi fare una cosa del genere! È pericoloso!"
Lui aveva sorriso
debolmente, ma nei suoi occhi c’era una luce che non riuscivo a decifrare.
"Hai ragione,
ma non so cosa altro fare. Non posso continuare a vivere così, a guardarla da
lontano. Ogni giorno".
E ora, mentre il
caffè è ormai freddo nella tazzina e il giornale continua a fissarmi con la sua
notizia drammatica, mi chiedo che cosa abbia spinto B. a mettere davvero in
atto quel piano così assurdo. La mia mente corre veloce, cerca di ricostruire
gli eventi. La strada provinciale, il cortile di casa sua, il passaggio di R.
con la madre. Il tentativo di schivare l'incauto pedone, l'auto contro il palo,
le due donne morte. E il mio amico illeso e dannato per sempre.