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martedì 22 aprile 2025

OGNI GIORNO

Appoggio la tazzina di caffè sul tavolo, il suo aroma avvolgente si mescola all’aria fresca del mattino. Il giornale, ancora aperto sulla pagina che mi ha così tanto turbato, è accanto a me. Le parole che ho appena letto continuano a rimbombare nella mia mente, come un eco inquietante. Un’auto fuori strada, un pedone illeso. L'incidente è accaduto nel mio paese. La notizia è così tragica che mi fa venire voglia di chiudere gli occhi e dimenticare, ma non posso. Come non posso ignorare il pensiero che mi assilla. Ripenso all’ultima volta che ho parlato con il mio amico B., l'agricoltore, appena qualche giorno fa. Era un pomeriggio di sole, e ci eravamo incontrati nel suo campo, quello che costeggia la strada provinciale, circondati da filari di pomodori e piante di basilico. B. era molto agitato, e non ci volle molto perché mi raccontasse della sua ossessione per R., la ragazza che aveva conosciuto al seggio elettorale, quando entrambi vi avevano prestato servizio. La sua voce tremava di emozione mentre parlava di lei, dei suoi occhi, del suo sorriso, della sua simpatia. Del suo corpo. Era come se avesse trovato un tesoro inaspettato ma, al tempo stesso, c’era una nube scura che aleggiava sopra di lui.

"Non so come dirglielo" aveva confessato, il viso contratto in una smorfia di preoccupazione.

"In realtà non so se le piaccio. E poi c’è suo padre…" aveva aggiunto con voce triste.

Ricordo bene il modo in cui aveva abbassato lo sguardo, come se il peso di quella figura paterna lo schiacciasse.

"Lo conosci anche tu. È un tipo violento, possessivo. Pensa che una volta l’ho visto fermarsi davanti alla chiesa e sputare per terra con disprezzo. Non voglio avere problemi con lui".

Eccome se lo conoscevo, il signor Pino Pettenuzzo! Una specie di troglodita, un autentico animale.  

Avevo comunque cercato di incoraggiare il mio amico, di fargli capire che, se davvero teneva così tanto a quella ragazza, doveva fare qualcosa.

"Non puoi semplicemente stare lì a guardarla passare in macchina! Non ha alcun senso!"

Ogni giorno, alla stessa ora, B. si appostava nel cortile di casa e attendeva il passaggio dell'automobile di R. che tornava dal lavoro insieme alla madre. Avevo insistito. 

"Dovresti cercare di parlare con lei, magari andare a casa sua. Vi siete conosciuti lavorando ai seggi, no?"

Lui aveva scosso la testa, lo sguardo perso nel vuoto.

"Non posso. Ho paura".

Eppure, nonostante i suoi timori, mi aveva sorpreso dicendo di avere un piano. "Ho deciso di attirare la sua attenzione" aveva detto, con un tono che oscillava tra la determinazione e la follia.

"Fingerò di attraversare la strada senza prestare attenzione e mi farò investire. Così saranno costrette a fermarsi e io avrò modo di parlare con lei".

Non avevo potuto fare a meno di ridere, pensando che fosse uno scherzo.

"Ma sei pazzo? Non puoi fare una cosa del genere! È pericoloso!"

Lui aveva sorriso debolmente, ma nei suoi occhi c’era una luce che non riuscivo a decifrare.

"Hai ragione, ma non so cosa altro fare. Non posso continuare a vivere così, a guardarla da lontano. Ogni giorno".

E ora, mentre il caffè è ormai freddo nella tazzina e il giornale continua a fissarmi con la sua notizia drammatica, mi chiedo che cosa abbia spinto B. a mettere davvero in atto quel piano così assurdo. La mia mente corre veloce, cerca di ricostruire gli eventi. La strada provinciale, il cortile di casa sua, il passaggio di R. con la madre. Il tentativo di schivare l'incauto pedone, l'auto contro il palo, le due donne morte. E il mio amico illeso e dannato per sempre.

 

venerdì 18 aprile 2025

CHI COMPIACE PIACE

Un'accoglienza calorosa, elogi reciproci e un'intesa politica che non sorprende: l'incontro tra la premier Giorgia Meloni e il presidente Donald Trump alla Casa Bianca si è svolto all'insegna della cordialità. Come previsto, i due leader, appartenenti alla stessa famiglia politica, hanno trovato un terreno comune su diversi temi chiave. Tutto scontato: canis canem non est.

Trump ha riservato parole di apprezzamento per Meloni, sottolineando la sua leadership e la sua visione politica. Un trattamento ben diverso da quello riservato ad altri leader internazionali, primo tra tutti il presidente ucraino Zelensky, considerati meno allineati con l'attuale amministrazione americana.

Meloni, da parte sua, ha cercato di compiacere Trump in tutti modi: ha promesso l'aumento delle spese militari per la NATO, l'acquisto di maggiori quantità di gas americano (il più costoso dell'intero globo terracqueo per via dei costi elevati dovuti al trasporto via nave) e un forte sostegno alla lotta contro l'immigrazione clandestina, in linea con le politiche di Trump (che purtroppo abbiamo cominciato a conoscere). Inoltre, la premier ha espresso la sua piena adesione alla battaglia contro la diffusione del pensiero "woke", un tema molto caro alla destra americana, e che tradotto in pratica significa meno diritti per le minoranze.

L'unico momento di leggera tensione si è verificato quando Meloni ha menzionato l'invasione russa dell'Ucraina, definendo la Russia come l'aggressore. Trump, tuttavia, ha apparentemente ignorato la dichiarazione, mentre Meloni ha rapidamente corretto il tiro, attenuando le sue parole, e togliendo addirittura la parola all'interprete.

Nonostante le preoccupazioni sui dazi commerciali, l'argomento non è stato affrontato. L'aspetto più promettente dell'intero incontro è rappresentato dalla possibilità di una futura visita di Trump a Roma per un incontro con i vertici dell'Unione Europea. Si spera che questa visita, se davvero ci sarà, possa portare a un dialogo costruttivo e che non si limiti a una semplice visita turistica alla Garbatella...

 

martedì 15 aprile 2025

PHOTOSHOP 10.0


Era una serata tranquilla nel piccolo appartamento di Marco, un ingegnere informatico appassionato di tecnologia. Aldo, il suo amico di lunga data, era venuto a trovarlo per fare due chiacchiere e scoprire le ultime novità.

"Ho saputo che hai sviluppato una nuova versione di Photoshop. Di cosa si tratta?" chiese Aldo, sistemandosi sul divano.

"È qualcosa di davvero incredibile, anche se devo ancora sistemare alcuni dettagli" rispose Marco, con un sorriso entusiasta, che però subito si spense. Poi iniziò a spiegare.

"Ho integrato un sistema di intelligenza artificiale che attinge a dati biometrici, sociali e comportamentali da tutte le banche dati disponibili in rete. Consente di creare immagini invecchiate delle persone in modo realistico".

"Come funziona?" chiese Aldo, incuriosito.

"Guarda" disse Marco, accendendo il computer. "Posso mostrarti un esempio. Ho fatto degli esperimenti su di me".

Erano state proprie quelle prove che lo avevano profondamente turbato.

Sullo schermo apparve l'immagine di Marco, visibilmente invecchiato, con capelli grigi e rughe. "Sembra quasi reale!" esclamò Aldo.

"A settantacinque anni sarò esattamente in quel modo" disse Marco.

"E cosa succede se continui a invecchiare?"

L'ingegnere eluse la domanda dell'amico. L'altro non ci badò più di tanto, tutto preso dall'eccitazione per ciò che stava vedendo.

"Posso provarlo su di me? Voglio vedere come sarò tra due anni. Aspetta, cerco una foto." Mise mano al portafoglio.

"Non c'è bisogno di foto. Come ti ho spiegato, l'applicazione si procura da sé tutte le informazioni. Devi soltanto inserire i tuoi dati anagrafici" disse Marco. L'amico procedette.

Marco annuì, poi digitò a sua volta qualcosa sulla tastiera. Dopo pochi istanti, sullo schermo apparve Aldo, leggermente invecchiato, un po' dimagrito.

"Non male! Mi aspettavo di peggio, sembro pure più in forma di adesso" rise Aldo.

"E come sarò tra cinque anni? Oppure tra dieci?" aggiunse.

Marco, un po' titubante, procedette a elaborare una nuova immagine. Ma quando il video si fermò, lo schermo era completamente nero. Tutto nero, proprio come quando, nei giorni precedenti, aveva domandato all'applicazione come sarebbe stato lui a ottant'anni. Lavorando a ritroso sulle date, con tentativi successivi, era riuscito a scoprire quale sarebbe stato il giorno della sua morte, a settantotto anni, tre mesi e dodici giorni. Il suo amico Aldo, invece, sarebbe morto entro i prossimi cinque anni.

"Aldo... no" disse Marco, turbato. Aldo stava guardando lo schermo, perplesso.

"Il programma non funziona ancora bene. Non è del tutto affidabile, per questo ho aspettato per brevettarlo" precisò l'ingegnere.

Aldo, un po' scosso - forse aveva intuito qualcosa - cercò di sdrammatizzare.

"Dai, non è la fine del mondo. Magari è solo un bug".

Marco, ancora sconvolto, si alzò per andare in cucina.

"Vuoi qualcosa da bere?" domandò all'amico.

"Volentieri," rispose Aldo, cercando di mascherare la sua inquietudine.

"Avrai tutto il tempo di migliorare il programma" aggiunse.

Marco sorrise amaro.

"Non riuscirò mai a farlo nel modo che vorrei..." disse.


martedì 8 aprile 2025

MOVIDA (CHI HA SONNO DORME)


Di nuovo!

Tutti i fine settimana è sempre la stessa storia. Gruppi di sfaticati escono ubriachi dai locali e schiamazzano in strada tutta la notte. Non ho bisogno di scostare le lenzuola perché non le uso. Da giugno a settembre si dorme sopra, questa è la regola. In verità non ero assopito, perché i vecchi dormono poco o nulla. Chi ha sonno dorme, e non si sveglia neppure con un colpo di cannone, diceva sempre mio padre. Non stavo dormendo, non sono stato svegliato, eppure le balle mi girano lo stesso. Nessuno ha il diritto di fare baccano e di disturbare le persone per bene. Adesso basta.

Scendo dal letto e sbircio tra le fessure delle persiane. Proprio di fronte a casa, sull'altro lato della via, scorgo tre persone. Si tratta di due ragazzi e di una ragazza. Parlano a voce alta, discutono tra loro, gesticolano e ridono in maniera sguaiata. Esco dalla stanza da letto e vado nel ripostiglio. Prendo la carabina, carica e sulla quale è già montato il cannocchiale a infrarossi. Avvito sulla canna il silenziatore, quello che mi ha fabbricato il mio amico Sergio nella sua officina casalinga. Non l'ho ancora provato, speriamo bene. Torno in camera, mi abbasso e striscio sul balcone. Il pavimento è sporco di merda di piccione, mi insozzo il pigiama ma non ci bado più di tanto. La ringhiera è di cemento, tutta piena, a eccezione di alcune piccole feritoie a forma di cuore. Infilo la carabina in una di esse e prendo la mira. Faccio un bel respiro e poi premo il grilletto. Ho mirato alla figura in mezzo, la ragazza, che indossa una maglietta bianca e una gonna corta, dalla quale spuntano le lunghe gambette nude. Colpisco in pieno il ginocchio, la rotula va in frantumi. La giovinetta rimane per un attimo in piedi su una gamba sola, come il fenicottero quando dorme, poi crolla a terra urlando. I due amichetti, sbronzi persi, in un primo momento non comprendono ciò che è accaduto. Si guardano intorno smarriti. Finalmente uno dei due si avvede del sangue che fuoriesce copioso dalla ragazza. Si china su lei, inginocchiandosi e mettendosi di profilo. Proprio in quell'istante sparo di nuovo. Centro il tizio sul tallone. Lui emette un gemito simile allo squittio di un topo, poi si accascia sul selciato. Dopo questo trattamento, caro mio, per stare in piedi avrai bisogno di un bel piedistallo, come quello dei soldatini di plastica. Rientro all'interno, strisciando all'indietro. In strada, nel frattempo, si è scatenato il putiferio. Gente che accorre, gente che grida, tra un po' qualcuno chiamerà ambulanze e forze dell'ordine. Ci saranno sirene e lampeggianti. Proprio un bel caos. Il momento migliore per schiacciare un bel sonnellino, prima che a qualcuno venga in mente di suonare il mio campanello. Tanto, come diceva mio padre, chi ha sonno dorme.

martedì 1 aprile 2025

LASCIARE PARIGI


"Quindici minuti sono troppo pochi per lasciare Parigi".

Il funzionario del ministero della Difesa aveva fatto irruzione nella saletta in cui ero stato fatto accomodare pronunciando quelle parole.

"Che cosa?" domandai.

"Si sieda, dottor Giorgi. Le devo comunicare qualcosa di davvero spiacevole".

Da un paio d'anni ero il corrispondente dalla capitale francese per il mio giornale. In quegli ultimi giorni frenetici, grazie alle preziose conoscenze del mio direttore, ero riuscito a ottenere un appuntamento per una breve intervista con il ministro della Difesa. La crescente ostilità della Russia per l'intera Europa era culminata in aperta minaccia nei confronti della Francia, lo stato-guida del vecchio continente. Quel colloquio con il ministro Guillame sarebbe stato un vero scoop.

"Quindici minuti sono troppo pochi per lasciare Parigi" ripeté il funzionario.

Subito dopo seguì una rapida e concitata spiegazione. Precipitai nello sconforto. Non ci sarebbe stata nessuna intervista, ma quella era la buona notizia. Il resto era che la Russia aveva lanciato un attacco nucleare contro la Francia. All'improvviso. Un missile con testata atomica stava per abbattersi sulla capitale transalpina.

"Il missile può essere intercettato?" domandai in preda all'ansia.

"Quasi impossibile" rispose il funzionario.

"Davvero non posso andarmene?" chiesi. Lui scosse il capo.

"Nessuno può lasciare il palazzo. È già stato sigillato. Per andare dove, poi?"

"Devo assolutamente avvisare i miei familiari" dissi, afferrando il cellulare.

"Loro non corrono alcun pericolo, sono in un altro stato" rispose il funzionario, che continuava a essere impassibile, anche se era molto pallido.

Anch'io, d'altra parte, faticavo sempre di più a mantenere il controllo. Non è facile farlo, quando la probabilità di essere liquefatti nei prossimi dieci minuti è molto alta, se non sicura.

"Voglio comunque parlare con loro" dissi, proprio mentre mi accorgevo che il telefono non aveva campo.

L'uomo di fronte a me scosse il capo.

"Il palazzo è stato schermato" disse. "Nessuna comunicazione civile è possibile. Mi spiace, dottor Giorgi".

Scagliai a terra il cellulare. Mi resi conto che stavo per mettermi a piangere. Mi vergognai per la mia debolezza, chinai il capo.

"A questo punto glielo posso dire, dottor Giorgi" riprese il funzionario, fingendo di non notare il mio estremo smarrimento. "Credo che la cosa non la rincuorerà più di tanto, tuttavia sappia che abbiamo risposto".

"Che cosa?" domandai. Non avevo capito, la mia mente era ormai in completa confusione.

"Un missile con cinque testate nucleari si sta dirigendo verso la Russia. Arriverà tra... (consultò l'orologio) undici minuti".

"Colpirà Mosca?" chiesi.

"Mosca e dintorni non esisteranno più. Per sempre".

"Mi scusi, dottor Giorgi, ma adesso la devo proprio lasciare" aggiunse. "Lei può rimanere qui ad attendere gli eventi. Non si muova, mi raccomando, e attenda eventuali istruzioni" disse il funzionario.

"Dopo... dopo che succederà?" chiesi, mentre lui era già voltato.

"Dopo? Non lo so, in ogni caso si tratta di una questione che ormai non riguarda più nessuno di noi due..." E uscì.

Mi avvicinai alla grande finestra. Il sole splendeva nel centro di Parigi. Un sole che tra pochi minuti sarebbe stato oscurato da una nube nera e maligna. In lontananza si intravedeva la sagoma della Torre Eiffel. La osservai mentre ormai le lacrime mi scorrevano copiose. Non l'avrei più vista, nessuno l'avrebbe più vista.

martedì 25 marzo 2025

TINA

"Giornalista! E chi l'avrebbe mai detto!" esclama Tina. Colgo un po' di ironia.

"Ricordi che ti aiutavo a scrivere i volantini? Anzi, i comunicati, come li chiamavi. Tu non avevi mai voglia di farlo, ti spazientivi subito".

"Già. A scrivere, in effetti, te la cavavi, ma su tutto il resto eri parecchio imbranato".

"Continuo a esserlo. Ho detto che lavoro in un piccolo giornale locale, non devo intervistare i capi di stato ma scrivere articoli di sport e impaginare necrologi. La tua vecchia amica Giovanna, piuttosto, ha fatto una bella carriera".

Tina volta il capo di scatto. Mi fissa per un attimo, poi i lineamenti del suo volto si sgretolano.

Giovanna era avanti di un paio d'anni rispetto a noi, ed era la migliore amica di Tina. Era una ragazza dall'intelligenza mostruosa, che preferiva il pensare all'agire. Era graziosa di aspetto, ma il suo viso era sempre troppo pallido, le sue trecce (sì, si ostinava a portare le trecce) erano sempre fatte male, i suoi pantaloni erano sempre troppo larghi e sul punto di scivolare giù. Allora non si badava più di tanto a queste cose, era più importante la sostanza dell'apparenza. E Giovanna era pura sostanza. Pochi anni dopo avere lasciato la scuola lavorava già nella redazione - cronaca cittadina - di un importante quotidiano nazionale. Quando notai e lessi un suo articolo, rimasi meravigliato. E ammirato, anche se non potei fare a meno di domandarmi, divertito, se il suo abbigliamento nel frattempo fosse cambiato oppure no. Dopo qualche anno non avevo più visto suoi pezzi. Diedi per scontato che avesse cambiato giornale.

"Giovanna è morta" dice Tina, con un sussurro.

"Che cosa?"

"È morta da quasi trent'anni".

"Per quale...".

"È morta di overdose".

Sono sbalordito.

"Tu non..." tento di chiedere.

"Certo che lo sapevo. L'ho sempre saputo. Aveva iniziato già ai tempi della scuola. Se ricordi, in quel periodo Giovanna ed io frequentavamo un sacco di gente di tutti i generi: studenti universitari, operai, attivisti di tutte le forze politiche estreme. Non tutti erano brave persone. Alcuni di loro approfittarono della fragilità di Giovanna, lei sottovalutò il problema. È sempre stata convinta di essere in grado di gestirlo, anche quando iniziò la sua attività di giornalista. Tuttavia sappiamo bene che non è così, è la merda che comanda, tutto il resto è al suo servizio. Con Alfio, in qualche maniera, sono riuscita a evitare il peggio. Con lei non c'è stato niente da fare. Non preoccuparti, mi diceva, so badare a me stessa. Stai tranquilla, insisteva, è tutto sotto controllo, mentre sotto controllo non c'era un cazzo di nulla. Alla fine se ne resero conto anche i colleghi, al giornale, e per lei iniziò la deriva finale. Preferisco non aggiungere altro, anche se ormai è trascorso molto tempo. Ricordare Giovanna è per me molto doloroso, anche perché nutro un grande senso di colpa. Soltanto io potevo salvarla, ma non ce l'ho fatta".

"Mi dispiace" riesco soltanto a dire. "Non ne sapevo nulla".

"Tranquillo" dice Tina, posandomi una mano sull'avambraccio.


Tratto dal romanzo: Un tempo ormai lontano di E. Sopegno (2024)

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martedì 18 marzo 2025

MAI FIDARSI

Mai fidarsi. Era successo proprio quello che non avrebbe mai dovuto accadere. Se la situazione non fosse stata così tragica, ci sarebbe stato quasi da ridere. Aveva sbagliato, non c'erano dubbi, e adesso non c'era più rimedio. Suo padre glielo diceva sempre: non fidarti mai degli altri. Aveva ragione, eccome se aveva ragione. Se gli avesse dato ascolto, non si sarebbe ritrovato in una circostanza così senza speranza. Tuttavia, e questo era stato il drammatico errore, aveva sempre pensato che l'ammonimento del genitore si riferisse agli altri, a quelli che non facevano parte della famiglia. Mai avrebbe potuto immaginare che a tradirlo sarebbero state proprio le persone che gli erano più vicine.

Con sua moglie, suo figlio e con i suoi fratelli era stato chiaro. Quella breve e semplice indicazione era stata ripetuta più volte nel corso degli anni. Non aveva ritenuto opportuno coinvolgere persone terze, procedere con dichiarazioni scritte da affidare a un notaio, nei suoi famigliari aveva fiducia assoluta. Che cosa era dunque capitato? Non lo sapeva, e ormai non era più interessato a saperlo. Almeno, lo credeva. Infatti continuava a rimuginare. Lo avevano fatto apposta? Lo escludeva, tutti i suoi cari gli volevano bene e lo rispettavano. Si trattava forse di una stupida dimenticanza? Certamente no. Se proprio qualcuno dei suoi era di memoria così carente, ci avrebbero comunque pensato gli altri a fare rispettare la sua volontà. Si trattava forse, e questo era il pensiero più doloroso, di semplice noncuranza, di colpevole sciatteria? No, non poteva essere. Loro erano persone per bene e responsabili che mai si sarebbero macchiate di una tale colpa. La verità, probabilmente, era un'altra. I suoi cari avevano considerato il suo un desiderio un po' eccentrico (non lo era per nulla!), lontano dalle tradizioni della famiglia, avevano acconsentito ma poi, tutti d'accordo, avevano cambiato idea. In tal modo avevano compiuto, sebbene in maniera inconsapevole, qualcosa di tremendo.

Sapeva che sarebbe finita in quel modo. Lo aveva sempre saputo e lo aveva sempre sentito. Proprio per questo aveva deciso di prendere le sue precauzioni. Invece era stato tradito, ingannato dalle persone che lo avrebbero dovuto salvaguardare. Ormai non c'era più niente da fare, non aveva più alcuna via d'uscita.

Desidero essere cremato, aveva detto e ripetuto durante l'intera sua vita. E adesso che era morto (o almeno ritenuto tale) e che il suo proposito non era stato rispettato si ritrovava ancora vivo (fino a quando?) sotto due metri di terra. Mai fidarsi.     

 

martedì 11 marzo 2025

ANNI SESSANTA

"Per prima cosa dovete dare il benvenuto ai vostri due nuovi compagni" dice la maestra, indicando Salvatore e un altro ragazzo, un tipo alto e grosso, con i capelli rasati e la pelle bianco latte.

"Giuseppe viene dalla montagna, e purtroppo deve ripetere la terza perché l'anno scorso è stato respinto. Speriamo che quest'anno si impegni di più".

Il ragazzone abbassa gli occhi e arrossisce violentemente.

"Salvatore invece arriva da più lontano" riprende l'insegnante. "Dalla Calabria, vero? Forza, prendi la bacchetta e fai vedere ai tuoi compagni, sulla cartina, dove si trova la sua regione".

Salvatore è assalito dal panico. Giù al paese, nella sua vecchia e povera scuola, cartine non ce n'erano. Lui sa di essere calabrese, ma non ha la minima idea di dove si trovi quella regione. Cerca comunque di dominarsi, esce dal banco, si dirige verso la cattedra e impugna la lunga bacchetta di legno. Si avvicina alla carta geografica dell'Italia che è appesa al muro. Sente tutti gli occhi dei compagni fissi sulla sua nuca. E poi ha un'illuminazione. Il mare, pensa. Vicino al suo paese c'è il mare. Allora guarda con attenzione la carta, ma subito lo sconforto lo paralizza. Il mare è dappertutto. La sua Calabria può essere ovunque! Non riesce neppure a distinguere i nomi che pure sono presenti in abbondanza su quella stampa colorata. L'ansia aumenta sempre di più, la vista si offusca.

"Forza, sbrigati!" lo incita la maestra.

Salvatore accosta, quasi con violenza, il bastoncino in un punto qualsiasi della cartina, quasi rischia di strapparla. Lo appoggia tra la terra e il mare, e subito sente le risate, che diventano sempre più intense.

"Quella è la Campania!" lo rimprovera l'insegnante. "Possibile che tu non sappia neppure dove sei nato? Vattene a posto!"

Un ragazzino, seduto all'ultimo banco, non riesce a smettere di ridere. Il suo volto è congestionato, gli occhi lacrimano. La maestra lo scruta accigliata. Poi si alza e si dirige a passo veloce verso il fondo dell'aula. Si accosta all'alunno e lo afferra con rabbia per un orecchio. Lo costringe ad alzarsi. Lui urla per il dolore, i suoi occhi continuano a versare lacrime che adesso non sono più di divertimento ma di sofferenza e umiliazione.


martedì 4 marzo 2025

DON GIOVANNI

Don Giovanni è scomparso. Da ieri nessuno lo ha più visto. Questa mattina, quando io e le mie amiche siamo entrate in chiesa per la messa delle sette, era tutto buio. Perché non ha avvisato? Abbiamo suonato il campanello della canonica ma non c'è stata risposta. Sempre più allarmate, siamo andate, quasi in processione, dal ragionier Airoldi, il responsabile parrocchiale. Siamo state ricevute dalla moglie, che era ancora in vestaglia anche se erano già le sette e mezza. Airoldi stava facendo colazione. È stato gentile, ci ha assicurato che si sarebbe occupato lui della questione. Avrebbe fatto alcune indagini e, se necessario, sentito la Curia. Ce ne siamo andate, orfane della messa, e siamo tornate alle nostre case vuote, a sbrigare le solite noiose faccende da zitelle.

Don Giovanni è con noi da qualche anno. È un bravo prete, abbastanza giovane e dinamico. Per la nostra parrocchia si è dato molto da fare, anche se non tutti apprezzano il suo operato. Innanzitutto non ha voluto la perpetua. Mi aiuterete voi, a turno, ha detto rivolto a me e alle mie amiche. E noi siamo state ben felici di farlo. Poi ha chiuso l'oratorio. È meglio se i giovani stanno a casa loro, a dare una mano ai genitori, ha detto. Molti parrocchiani non erano d'accordo. A me, invece, è sembrata un'ottima decisione. I giovani che si raccoglievano nelle sale dell'oratorio facevano soltanto chiasso, si spintonavano, qualcuno di loro addirittura bestemmiava, preso dalla foga durante i giochi più violenti. Meglio così, adesso le salette sono sempre ordinate e pulite. Don Giovanni ne ha trasformata una, quella grande, in sala cinema. Ogni settimana proietta un film, e dopo c'è un dibattito. Tutti film su drogati e donne maltrattate, che non riesco mai a capire bene. Ma non importa.

Don Giovanni, fisicamente, è un tipo ordinario. Non è molto alto, ed è di corporatura normale. Di capelli ne ha pochi, quelli rimasti sono disposti sui lati del capo. Il viso è tondo, il naso ha una piccola gobba. Porta sempre gli occhiali da sole, sia di giorno che di notte. Don Giovanni ha un debole per le donne. E, nonostante il suo aspetto comune, alle donne lui piace molto. Io e le mie amiche ci siamo subito innamorate di lui. È vero, lui è un poco più giovane di noi tutte, ma io credo che quando si tratta di sentimenti l'età non conti nulla. Lo ammetto, tra noi amiche si è sviluppata un po' di competizione per godere dei favori del parroco. Un confronto che si è svolto con estrema lealtà. Siamo tutte nella stessa condizione: sole, desiderose di un uomo, mai state sposate, mai avuta una relazione importante. Vinca la migliore, abbiamo sempre detto. Poi si è messa di mezzo la vedova Lenzi, quella maledetta. Si è intromessa e ha subito giocato sporco. Ha approfittato della sua esperienza, di qualche anno di meno, di un aspetto da tutti (non da me) ritenuto grazioso. E poi i belletti, i capelli sempre freschi di parrucchiere (il povero marito era benestante), le sottane un po' troppo corte. Don Giovanni, che in fin dei conti è un uomo, è caduto nella trappola. Ma io e le mie amiche abbiamo continuato a sperare. Tutte noi abbiamo qualcosa che la vedova Lenzi non avrà mai: siamo donne pie, non delle puttane come lei.

Don Giovanni aveva affidato a me un incarico importante: mantenere l'altare sempre lucido, per valorizzare le venature del prezioso marmo. Poi, poco tempo fa, sono entrata in chiesa e l'altare non c'era più. Don Giovanni ha intuito il mio smarrimento. Mi ha presa sottobraccio e mi ha accompagnata a un banco, quelli c'erano ancora. Entra acqua in chiesa, mi ha sussurrato il prete. Ho pensato di vendere l'altare e di fare aggiustare il tetto. Non possiamo permettere che piova nella Casa del Signore, aveva aggiunto suadente. Ho approvato la sua scelta. Certo, le spese per la copertura della chiesa dovevano essere davvero notevoli se Don Giovanni aveva poi dovuto vendere anche gli antichi paramenti sacri e tutti gli ori della Madonna. Pochi giorni dopo Don Giovanni si era comprato un'auto nuova. Il paese è composto di tante borgate, tutte distanti tra loro, mi aveva detto. Un territorio enorme, aveva aggiunto. Come faccio ad andare da un parrocchiano, in caso di bisogno, se non ho una vettura affidabile? Aveva ragione. La chiesa poteva aspettare, le persone no. Se non che quella automobile fiammante era stata vista una sera tardi, nel parcheggio del cimitero, da un contadino di nome Becchi. La macchina si muoveva avanti e indietro, eppure aveva il motore spento, aveva riferito il buon uomo. Lui non ci aveva capito nulla, ma tutti gli altri sì. L'importante era che a bordo con Don Giovanni non ci fosse quella sciagurata della vedova Lenzi, avevamo subito pensato io e le mie amiche.

Assorta nei miei pensieri, quasi non sento lo squillo del telefono. Mi asciugo le mani nel grembiule e corro a rispondere. È il ragionier Airoldi, finalmente! Ha chiamato la Curia e ha avuto notizie di Don Giovanni. Dapprima non volevano parlare poi, dopo le insistenze del ragioniere, che in Arcivescovato ha molte conoscenze, si sono sbottonati. Don Giovanni non tornerà più, hanno detto. Pare che il prete sia deciso ad abbandonare l'abito talare. Tutto a causa di una donna, hanno precisato, con la quale il nostro parroco ha intenzione di andare a vivere. Sebbene triste e addolorata, auguro a Don Giovanni tutto il bene possibile, a patto che la signora in questione non sia quella dannata della vedova Lenzi. Se così fosse, per me possono andare entrambi all'Inferno.

martedì 25 febbraio 2025

ME STESSO E IL TEMPO


Avversari? No, di avversari non ne ho più. Ormai ho soltanto nemici. E i miei unici nemici sono due: me stesso e il tempo. Di me stesso mi sono infine stufato. Sempre uguale, sempre prevedibile, entità insignificante che continua a ripetere le stesse cose. Ho già fatto tutto quel che potevo fare, mi dice, che cosa pretendi ancora da me? Qualcosa in più, anche di piccolo, uno scatto, una reazione ultima. E invece niente. Che cosa vuoi da me, dice quasi disperato. Guardami, lo sai bene come sono ridotto, aggiunge sempre più afflitto. Ti giuro, ho dato tutto, a volte mi sono quasi sorpreso di me, sono addirittura andato oltre i miei limiti, quei limiti imposti dal mio corpo fragile e dalla mia mente debole. Che cosa vuoi ancora? Liquido me stesso con un cenno. Di lui mi sono ormai seccato. Che vada pure al diavolo.

La questione del tempo, invece, mi assilla. Mi tormenta fino a farmi stare male. Mi sforzo di capire ma non ci riesco. Eppure, si dice, il tempo è la cosa più semplice che esista. Ricordo quando si attendeva, con ansia, con trepidazione, che qualcosa accadesse. Che un avvenimento trovasse finalmente compimento. Ma quando arriva Natale? Ma quando arrivano le vacanze? Ma quando arriva il mio compleanno?  Adesso vorrei che non accadesse mai nulla. Vorrei che le giornate fossero ininfluenti ma che, allo stesso tempo, trascorressero lentamente. Che non ci fosse nulla da ricordare, nessuna memoria da aggiungere al peso di quelle già esistenti. Un fatuo e lento fluire.  Se la concatenazione di fatti che accompagna le giornate non esistesse il tempo sarebbe beffato. Nel vuoto, nel nulla, il tempo non ha ragione di essere, di pesare. Invece tutto accade in fretta, in maniera quasi frenetica. Si annaspa, ma non è possibile aggrapparsi a nulla. Non rimane neppure il tempo di guardarsi indietro. Si deve per forza sempre guardare avanti, ma non c'è più niente a cui guardare.

Me stesso e il tempo, i miei due nemici. Chi dei due riuscirà a prevalere? Chi scriverà per primo la parola fine?

martedì 18 febbraio 2025

LA LEGGE SIAMO NOI

 

"Capo, ti vuole il questore".

Una smorfia di disappunto si disegnò sul volto dell'ispettore Baldi.

"Quando?"

"Subito".

"Uff..."

Baldi prese la giacca poi, mentre l'indossava, salì di un piano.

Entrò nell'ufficio del questore quasi senza bussare. Il dottor Mazza lo guardò di traverso.

"Siediti" disse.

"Scusa, ma avrei un po' di premura..." tentò di dire l'ispettore.

"Siediti!" ribadì il questore. Il suo tono di voce, adesso, non ammetteva repliche. Baldi ubbidì.

"Che cazzo avete fatto stanotte?" domandò Mazza, diretto, senza alcun preambolo.

"Uh?"

"L'arresto dei tre ragazzi".

"Ah, sì..." disse Baldi, ma poi non proseguì.

"Nulla da dire?" lo incalzò il superiore.

"Ha telefonato più di un cittadino. Quei tre si stavano producendo in schiamazzi intollerabili".

"Cioè?"

"Erano ubriachi. Urlavano, cantavano a squarciagola, si lanciavano per gioco lattine e bottiglie. La gente per bene, quella che il giorno dopo deve andare al lavoro, non può tollerare scene del genere. Siamo intervenuti e li abbiamo portati in centrale. Li abbiamo trattenuti".

"In che modo siete intervenuti?"

"Seguendo le solite procedure. Li abbiamo identificati, ammanettati e caricati sulle auto".

"Nient'altro?"

"Erano molto agitati. Li abbiamo un po' ammorbiditi".

"Li avete pestati?"

"Qualche scappellotto" disse l'ispettore. Gli scappò un sorrisetto.

"E poi? Che cosa è accaduto dopo?" domandò l'ispettore, serissimo.

"Li abbiamo interrogati".

"Interrogati? Perché? Che cosa avrebbero dovuto dire? La marca della birra che avevano bevuto?"

"Hai ragione. In realtà lo abbiamo fatto per spaventarli. Per evitare che in futuro reiterassero lo stesso comportamento".

"I pugni e i calci facevano parte del percorso rieducativo?" chiese Mazza.

"Quali pugni? Quali Calci?"

"Questi" disse il questore, esibendo un cellulare.

"Non capisco".

"Vieni a vedere questo video".

L'ispettore Baldi si alzò e si affiancò al questore. Quest'ultimo avviò un filmato. Due poliziotti stavano prendendo a ceffoni tre giovani in sala interrogatori. A un certo punto questi cadevano a terra, quasi nello stesso momento, e i due agenti proseguivano a infierire su di loro prendendoli a pedate su torace e schiena. In un angolo dell'ambiente si intravedeva l'ispettore Baldi a braccia conserte, lo sguardo compiaciuto.

"Come hai avuto il video?" domandò Baldi, che appariva un po' preoccupato.

Il questore non rispose.

"Te l'ha passato qualcuno dei miei?" chiese ancora l'ispettore.

"Non ha importanza" rispose l'altro.

Baldi annuì.

"Per quale ragione non avete informato subito il magistrato dell'arresto?" domandò ancora il questore.

"Non è trascorso troppo tempo, lo abbiamo comunicato nel corso della notte" si difese l'ispettore. "Il fatto è che il magistrato non ha risposto subito al telefono. Stava dormendo, e forse è duro d'orecchi..." aggiunse.

"Non voglio sapere altro. In ogni caso il dottor Borghi ha disposto l'immediata liberazione degli arrestati. Eseguite senza indugi".

"Ho capito, è sempre la solita storia. Noi ci facciamo il culo, e dopo poche ore i fringuelli tornano a riprendere il volo. Chissà dove andranno a fare casino la prossima notte..."

"Capisco la tua amarezza" disse Mazza. "Tuttavia è giusto ricordare che anche noi siamo sottoposti alla legge..." Si interruppe.

"Sottoposti, ma non troppo?" disse l'ispettore.

Il questore sollevò le spalle, poi fece il gesto di lavarsi le mani.

"Rilasciate subito quei ragazzi" disse. "Ma prima non fategli mancare un saluto da parte mia".

Baldi acconsentì soddisfatto. Già pregustava il divertimento.


mercoledì 12 febbraio 2025

CARAMELLE

Esci dal cancello di casa con grande risolutezza. Hai sette anni e ti comporti come un fuorilegge. Non hai altra scelta: la dipendenza che hai sviluppato deve essere soddisfatta. Percorri deciso l'unica via della tua piccola borgata diretto al giardino delle delizie. Affacciato alla finestra, il tuo amico Renato ti vede, ti fa un cenno.

"Vieni a giocare alle figurine?" ti invita.

Volti appena il capo.

"Non posso, devo fare una commissione urgente per mia mamma". Hai anche imparato a mentire.

"Ho delle bustine ancora da aprire" ti alletta Renato. Non rispondi e acceleri il passo.

È l'inizio dell'estate, non devi più fare i compiti. Pensi soltanto all'ombra sotto il platano. Alla comoda sedia a sdraio. Agli albi a fumetti che ti attendono, ieri tuo fratello ne ha scambiati una borsa colma con un suo amico.

Finalmente sei arrivato. Entri quasi di corsa nel minuscolo negozio di Carla, l'unico del borgo. Per fortuna non c'è nessuno. Il tuo sguardo si posa subito sulla serie di grossi vasi di vetro allineati sullo scaffale. Al loro interno, caramelle di tutte le fogge e di tutti i colori. Rimani incantato. La voce brusca di Carla ti riporta alla realtà.

"Che cosa devi comperare?" domanda, arrotando le erre. Tu indichi i vasi di caramelle.

Lei annuisce.

"Quali?" chiede. Punti il dito su quelle verdi al gusto di pino ricoperte di granelli di zucchero.

"Quanto?"

"Un etto" dici, fingendo indifferenza.

Carla esegue. Appoggia il vaso di vetro sul bancone, ne svita il coperchio di metallo brillante, poi appoggia un foglio di carta sul grande piatto della bilancia e versa le caramelle. Fa un po' di fatica, il vaso è pesante e Carla è anziana, ma riesce a completare l'operazione. Racchiude la carta e te la porge.

"Altro?" chiede. Fai finta di pensarci un po', poi scuoti la testa in segno di diniego.

"Hai i soldi o segno?" domanda la negoziante.

"Segna pure" dici. Pagherà tua mamma. Lo fa una volta al mese, e non controlla mai le cifre. Non si accorgerà di quel piccolo acquisto. Carla non farà la spia, è una che si fa gli affari propri.

Finalmente puoi uscire dal negozio, l'involto al sicuro nella tasca dei pantaloncini. I fumetti ti aspettano. Ne disporrai una pila accanto alla sdraio, e uno dopo l'altro li leggerai tutti. Una dopo l'altra succhierai anche tutte le caramelle, durante l'intero pomeriggio. Hai scoperto che è bello leggere e mangiare caramelle nello stesso tempo. Non ne puoi più fare a meno, anche se procurarsi i dolciumi è complicato. Oggi però ce l'hai fatta, vincendo tutti gli scrupoli, i prossimi giorni si vedrà. Quando arriverà ora di cenare avrai un po' di nausea, sarai disgustato da quelle caramelle, giurerai a te stesso che non ne mangerai mai più. Ma sai che lo rifarai.

 

 

 

lunedì 10 febbraio 2025

NUOVO ROMANZO - ESTRATTI (4)

 



UN TEMPO ORMAI LONTANO  -  Romanzo


"Prima di quel giorno non avevo notato più di tanto quel compagno, alto e allampanato, che sembrava indifferente a tutto e a tutti. Quando invece lo vidi correre mi sembrò bellissimo. Leggero e armonioso, sembrava volare su quel terreno accidentato. Staccò tutti, senza fare eccessiva fatica, e vinse. Andai a congratularmi con lui, aveva fatto onore alla nostra classe, e per la prima volta si accorse di me. Fu molto gentile, mi ringraziò".

 

 

Rosanna, da anni, è innamorata di me e non fa nulla per nasconderlo. Giuro, avrei preferito uno di quegli amori segreti, dove la donna si strugge per l'amato ma non ha mai il coraggio di manifestare l'ardente sentimento. L'oggetto del suo desiderio, in quel caso, non ha rotture di palle e se ne può stare in pace. Sono cinico? In realtà no. Anzi, mi spiace che la povera Rosanna nutra nei miei confronti attese destinate in ogni caso a rimanere inappagate.

 

 

Uscimmo, l'aria era piuttosto fresca, e ci dirigemmo al cinema. Prima di entrare, attendemmo che il film iniziasse. Su questo eravamo tutti e tre d'accordo: i film si dovevano vedere dall'inizio alla fine, anche se a quei tempi si poteva accedere in qualsiasi momento della proiezione. La sala era piuttosto affollata e fumosa, ma riuscimmo comunque a trovare posto su tre seggiole affiancate. Dopo un'ora e mezza, al termine del film, uscimmo con gli occhi che bruciavano. La cortina di fumo che avvolgeva la sala era in quel momento ancora più spessa.


 Il libro è reperibile, in formato cartaceo e digitale, su Amazon, nei principali store online (Mondadori, Feltrinelli, IBS, Hoepli, ecc...) e sul sito dell'editore Youcanprint

 


martedì 4 febbraio 2025

IL CACCIATORE DI TALPE

L'uomo avanza a fatica sul campo dissodato e spianato, pronto per essere seminato. Affonda, barcolla, ma continua ad andare avanti, claudicando. Non è più giovane, e soffre di una seria disabilità agli arti inferiori. I suoi piedi sono ruotati verso l'interno, lui si sforza di sollevarli, ma non sempre ci riesce e finisce per trascinarli. L'uomo suda e sbuffa, ma non demorde, si dirige risoluto verso un angolo del podere, dove un paio di giorni prima ha piazzato la trappola.

Le gambe dell'uomo non sono sempre state così malridotte. Un tempo erano sane e forti. Da giovane, quando sul finire della guerra è stato rastrellato dai fascisti e consegnato ai tedeschi, quando è stato deportato in un campo di lavoro in Germania, quando da quel luogo tremendo è riuscito ad andarsene dopo che i nazisti sono scappati,  quelle stesse gambe lo hanno riportato a casa. A piedi, dopo mesi di cammino, dopo aver attraversato mezza Europa.

Subito dopo il conflitto, ormai giovane uomo, è andato a lavorare in fabbrica. In quella fabbrica tossica che lo ha avvelenato e rovinato. Che gli ha distrutto le gambe. A quello che ormai era diventato un Grande Invalido, titolo che rivendica con amaro orgoglio, era stato dato per compassione un lavoro da uscire presso il municipio. Tutto il giorno seduto dietro a un tavolino in una buia anticamera, a dare informazioni inutili che nessuno ha mai avuto voglia di ascoltare. Poi finalmente la pensione. Da quel momento si è dedicato a quella che è diventata la sua unica occupazione, la sua ragione di vita, l'attività di cacciatore di talpe. È il migliore cacciatore del paese. Gli agricoltori si contendono i suoi servizi, non si fidano di nessun'altro. Lui esce al mattino con il vecchio motorino, visita tutti i poderi, sistema le sue trappole implacabili. Per le povere talpe non c'è scampo. Rientra soltanto la sera, dopo aver percorso tutto il giorno le stradine vicinali, un po' in sella al motorino, un po' a piedi aggrappato allo stesso per non cadere. 

L'uomo estrae la trappola. Anche stavolta ha fatto centro. La talpa è ormai morta. La prende, si avvicina con difficoltà a un piccolo albero, appende l'animale legandolo con una corda a un ramo basso. Poi se ne va, il suo lavoro è terminato. Domani passerà il contadino, conterà quanti corpi di talpa penzolano dalle fronde, e stabilirà il compenso per il cacciatore di talpe: cinque chili di grano o di granoturco per ogni bestia catturata.

 

martedì 28 gennaio 2025

DELITTO PERFETTO


Inizia una delle solite interminabili discussioni che sostengo, quasi ogni giorno, con il mio amico Giulio. La nostra è un’abitudine piuttosto antica, nata tanti anni fa, quando eravamo poco più che ragazzi. Ci incontriamo, scambiamo alcuni vuoti convenevoli e poi, a turno, ognuno di noi propone un argomento di dibattito. Spesso si parla di politica, a volte di sport, di temi filosofici ed esistenziali oppure semplicemente di fatti di cronaca. I nostri confronti sono piuttosto animati, molto serrati, a volte volano addirittura parole grosse, poiché entrambi possediamo un carattere forte, e tutti e due vogliamo sempre avere ragione, pretendiamo ad ogni costo dire l’ultima parola, quella definitiva.

Oggi ho nei confronti di Giulio un piccolo vantaggio, perché è il mio turno di suggerire il tema della disputa verbale.

Con finta indifferenza, quasi con noncuranza, butto lì quelle parole, in realtà frutto di lunga e sofferta meditazione.

“A mio parere il delitto perfetto esiste.”

Giulio sgrana gli occhi. È un po’ sorpreso, non si aspettava una tesi così banale. Tuttavia le nostre regole non scritte gli impongono di stare al gioco, di rispondere, di confutare la mia asserzione.

“Non è vero” risponde. Fin qui tutto normale. Il mio amico ha scelto un’apertura classica.

Lo seguo.

“Perché? Dimostramelo.”

“Innanzitutto dobbiamo definire che cosa si intende per delitto perfetto” dice. È prudente, mi teme.

“La soppressione più o  meno violenta di una vita umana attuata con premeditazione, con l’assoluta garanzia di impunità.”

Giulio annuisce, pensieroso.

“Bene” dice. “Quindi possiamo escludere gli omicidi compiuti d’impeto, anche nel caso in cui l’assassino, per circostanze fortunose, la faccia franca?”

“Certamente. Non si può parlare di delitto perfetto in assenza di una fase progettuale. L'uccisione deve essere accompagnata da intenzione e, naturalmente, da accurata preparazione.”

Le mie parole sono perentorie. Il mio amico sembra essere in difficoltà.

“Se la buona sorte può favorire la mancata punizione in un omicidio scatenato da una furia improvvisa, la sfortuna può, allo stesso modo, essere d’ostacolo nel caso di un delitto programmato” dice.

Lo guardo, soddisfatto.

“Giulio, stai tergiversando. Le tue asserzioni sono banali e finora non hai dimostrato nulla. La fortuna è essenziale in tutti gli atti della vita.”

“Hai ragione. Se però l’esecutore ha tralasciato qualcosa, anche soltanto un piccolo particolare, non si può più parlare di malasorte, ma di errore. In questo caso il presunto delitto perfetto risulterà inficiato da tale pecca per diretta responsabilità dell’autore.”

“Che ti succede, Giulio? Sei poco convincente. E, soprattutto, troppo vago. Quali possono essere questi sbagli? È chiaro che l’omicida baderà a non lasciare la minima traccia, a garantirsi una via di fuga sicura, a far sì di non essere visto, a utilizzare un’arma pulita e così via. Tutto studiato, tutto accuratamente ponderato. Il concomitante verificarsi di tutte queste condizioni, fatto tutt’altro che impossibile, gli garantirà l’esenzione dalla pena e conferirà alla sua esecuzione il sigillo di delitto perfetto.”

Giulio scuote il capo.

“La tua costruzione regge, ma soltanto a livello teorico. La fase critica del crimine, lo sai bene, è quella pratica, l’attuazione vera e propria, la sola che possiede in gran quantità fattori di imprevedibilità. E comunque, se proprio devo essere sincero, devo dirti che hai scelto un argomento di discussione alquanto noioso. Non è possibile per te dimostrare tale asserzione. Nello stesso tempo, è difficile per me riuscire a controbatterla per mezzo di elementi indiscutibili. Ti propongo una patta.”

Osservo il mio amico, il suo atteggiamento un po’ strafottente, il suo sorriso beffardo.

“Invece ti proverò che ho ragione!” affermo.

“Insisti? Basta!”

A quel punto estraggo la pistola, la punto contro Giulio e poi premo il grilletto tre volte, in rapida successione, a bruciapelo. Lui crolla senza un lamento.

Mi allontano.

Amici miei, avete avuto il raro privilegio di assistere a un delitto perfetto. Come dite? C’erano dei testimoni? E chi sarebbero questi testimoni, voi?

Non fatemi ridere. Voi non avete visto nulla, voi non siete a conoscenza di nulla! Non sapete chi sono, come mi chiamo, non sapete neppure se sono un uomo o una donna. Non conoscete il luogo del delitto. Una strada? Una stanza? E Giulio, il povero Giulio, è davvero quello il suo nome?