Inizia una delle solite interminabili discussioni che
sostengo, quasi ogni giorno, con il mio amico Giulio. La nostra è un’abitudine
piuttosto antica, nata tanti anni fa, quando eravamo poco più che ragazzi. Ci
incontriamo, scambiamo alcuni vuoti convenevoli e poi, a turno, ognuno di noi
propone un argomento di dibattito. Spesso si parla di politica, a volte di
sport, di temi filosofici ed esistenziali oppure semplicemente di fatti di
cronaca. I nostri confronti sono piuttosto animati, molto serrati, a volte
volano addirittura parole grosse, poiché entrambi possediamo un carattere
forte, e tutti e due vogliamo sempre avere ragione, pretendiamo ad ogni costo
dire l’ultima parola, quella definitiva.
Oggi ho nei confronti di Giulio un piccolo vantaggio,
perché è il mio turno di suggerire il tema della disputa verbale.
Con finta indifferenza, quasi con noncuranza, butto lì
quelle parole, in realtà frutto di lunga e sofferta meditazione.
“A mio parere il delitto perfetto esiste.”
Giulio sgrana gli occhi. È un po’ sorpreso, non si
aspettava una tesi così banale. Tuttavia le nostre regole non scritte gli
impongono di stare al gioco, di rispondere, di confutare la mia asserzione.
“Non è vero” risponde. Fin qui tutto normale. Il mio
amico ha scelto un’apertura classica.
Lo seguo.
“Perché? Dimostramelo.”
“Innanzitutto dobbiamo definire che cosa si intende
per delitto perfetto” dice. È prudente, mi teme.
“La soppressione più o
meno violenta di una vita umana attuata con premeditazione, con
l’assoluta garanzia di impunità.”
Giulio annuisce, pensieroso.
“Bene” dice. “Quindi possiamo escludere gli omicidi
compiuti d’impeto, anche nel caso in cui l’assassino, per circostanze
fortunose, la faccia franca?”
“Certamente. Non si può parlare di delitto perfetto in
assenza di una fase progettuale. L'uccisione deve essere accompagnata da
intenzione e, naturalmente, da accurata preparazione.”
Le mie parole sono perentorie. Il mio amico sembra
essere in difficoltà.
“Se la buona sorte può favorire la mancata punizione
in un omicidio scatenato da una furia improvvisa, la sfortuna può, allo stesso
modo, essere d’ostacolo nel caso di un delitto programmato” dice.
Lo guardo, soddisfatto.
“Giulio, stai tergiversando. Le tue asserzioni sono
banali e finora non hai dimostrato nulla. La fortuna è essenziale in tutti gli
atti della vita.”
“Hai ragione. Se però l’esecutore ha tralasciato
qualcosa, anche soltanto un piccolo particolare, non si può più parlare di
malasorte, ma di errore. In questo caso il presunto delitto perfetto risulterà
inficiato da tale pecca per diretta responsabilità dell’autore.”
“Che ti succede, Giulio? Sei poco convincente. E,
soprattutto, troppo vago. Quali possono essere questi sbagli? È chiaro che
l’omicida baderà a non lasciare la minima traccia, a garantirsi una via di fuga
sicura, a far sì di non essere visto, a utilizzare un’arma pulita e così via.
Tutto studiato, tutto accuratamente ponderato. Il concomitante verificarsi di
tutte queste condizioni, fatto tutt’altro che impossibile, gli garantirà
l’esenzione dalla pena e conferirà alla sua esecuzione il sigillo di delitto
perfetto.”
Giulio scuote il capo.
“La tua costruzione regge, ma soltanto a livello
teorico. La fase critica del crimine, lo sai bene, è quella pratica,
l’attuazione vera e propria, la sola che possiede in gran quantità fattori di
imprevedibilità. E comunque, se proprio devo essere sincero, devo dirti che hai
scelto un argomento di discussione alquanto noioso. Non è possibile per te
dimostrare tale asserzione. Nello stesso tempo, è difficile per me riuscire a
controbatterla per mezzo di elementi indiscutibili. Ti propongo una patta.”
Osservo il mio amico, il suo atteggiamento un po’
strafottente, il suo sorriso beffardo.
“Invece ti proverò che ho ragione!” affermo.
“Insisti? Basta!”
A quel punto estraggo la pistola, la punto contro
Giulio e poi premo il grilletto tre volte, in rapida successione, a bruciapelo.
Lui crolla senza un lamento.
Mi allontano.
Amici miei, avete avuto il raro privilegio di
assistere a un delitto perfetto. Come dite? C’erano dei testimoni? E chi
sarebbero questi testimoni, voi?
Non fatemi ridere. Voi non avete visto nulla, voi non
siete a conoscenza di nulla! Non sapete chi sono, come mi chiamo, non sapete
neppure se sono un uomo o una donna. Non conoscete il luogo del delitto. Una
strada? Una stanza? E Giulio, il povero Giulio, è davvero quello il suo nome?
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