Il
funzionario del ministero della Difesa aveva fatto irruzione nella saletta in
cui ero stato fatto accomodare pronunciando quelle parole.
"Che
cosa?" domandai.
"Si
sieda, dottor Giorgi. Le devo comunicare qualcosa di davvero spiacevole".
Da
un paio d'anni ero il corrispondente dalla capitale francese per il mio
giornale. In quegli ultimi giorni frenetici, grazie alle preziose conoscenze
del mio direttore, ero riuscito a ottenere un appuntamento per una breve
intervista con il ministro della Difesa. La crescente ostilità della Russia per
l'intera Europa era culminata in aperta minaccia nei confronti della Francia,
lo stato-guida del vecchio continente. Quel colloquio con il ministro Guillame
sarebbe stato un vero scoop.
"Quindici
minuti sono troppo pochi per lasciare Parigi" ripeté il funzionario.
Subito
dopo seguì una rapida e concitata spiegazione. Precipitai nello sconforto. Non
ci sarebbe stata nessuna intervista, ma quella era la buona notizia. Il resto
era che la Russia aveva lanciato un attacco nucleare contro la Francia.
All'improvviso. Un missile con testata atomica stava per abbattersi sulla
capitale transalpina.
"Il
missile può essere intercettato?" domandai in preda all'ansia.
"Quasi
impossibile" rispose il funzionario.
"Davvero
non posso andarmene?" chiesi. Lui scosse il capo.
"Nessuno
può lasciare il palazzo. È già stato sigillato. Per andare dove, poi?"
"Devo
assolutamente avvisare i miei familiari" dissi, afferrando il cellulare.
"Loro
non corrono alcun pericolo, sono in un altro stato" rispose il
funzionario, che continuava a essere impassibile, anche se era molto pallido.
Anch'io,
d'altra parte, faticavo sempre di più a mantenere il controllo. Non è facile
farlo, quando la probabilità di essere liquefatti nei prossimi dieci minuti è
molto alta, se non sicura.
"Voglio
comunque parlare con loro" dissi, proprio mentre mi accorgevo che il
telefono non aveva campo.
L'uomo
di fronte a me scosse il capo.
"Il
palazzo è stato schermato" disse. "Nessuna comunicazione civile è
possibile. Mi spiace, dottor Giorgi".
Scagliai
a terra il cellulare. Mi resi conto che stavo per mettermi a piangere. Mi
vergognai per la mia debolezza, chinai il capo.
"A
questo punto glielo posso dire, dottor Giorgi" riprese il funzionario,
fingendo di non notare il mio estremo smarrimento. "Credo che la cosa non
la rincuorerà più di tanto, tuttavia sappia che abbiamo risposto".
"Che
cosa?" domandai. Non avevo capito, la mia mente era ormai in completa
confusione.
"Un
missile con cinque testate nucleari si sta dirigendo verso la Russia. Arriverà
tra... (consultò l'orologio) undici minuti".
"Colpirà
Mosca?" chiesi.
"Mosca
e dintorni non esisteranno più. Per sempre".
"Mi
scusi, dottor Giorgi, ma adesso la devo proprio lasciare" aggiunse. "Lei
può rimanere qui ad attendere gli eventi. Non si muova, mi raccomando, e
attenda eventuali istruzioni" disse il funzionario.
"Dopo...
dopo che succederà?" chiesi, mentre lui era già voltato.
"Dopo?
Non lo so, in ogni caso si tratta di una questione che ormai non riguarda più
nessuno di noi due..." E uscì.
Mi
avvicinai alla grande finestra. Il sole splendeva nel centro di Parigi. Un sole
che tra pochi minuti sarebbe stato oscurato da una nube nera e maligna. In
lontananza si intravedeva la sagoma della Torre Eiffel. La osservai mentre
ormai le lacrime mi scorrevano copiose. Non l'avrei più vista, nessuno
l'avrebbe più vista.
Nessun commento:
Posta un commento