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martedì 29 ottobre 2024

LEGITTIMA MENZOGNA (Seconda e ultima parte)


I politici non sono mai peggiori di chi li sostiene, ne sono semplicemente la rappresentazione. Continuo a essere del tutto convinto di questa mia affermazione, anche se non può essere portata a mia discolpa. Non più. I cittadini, quelli che mentono di continuo, quelli che non esitano ad accoltellare alle spalle il collega di ufficio o a commettere altre orribili nefandezze, sono diventati una casta di intoccabili carnefici. E tutto ciò è avvenuto a causa di una stupida legge della quale sono stato il primo firmatario!

Durante la fase istruttoria dell’inchiesta la mia vita è profondamente cambiata. Tutti hanno cominciato a evitarmi, e mi hanno isolato. Per primi lo hanno fatto gli stessi colleghi con i quali avevo condiviso le più inenarrabili menzogne. Qualcuno al mio fianco, comunque, è rimasto. Era inevitabile. Sapevano che non avevo più nulla da perdere, temevano che potessi parlare, che le stesse accuse fatte nei miei confronti potessero dilagare e colpire praticamente chiunque. Il partito, seppure in maniera non ufficiale, mi è stato vicino e ha provveduto affinché potessi disporre di una valida difesa. È stato ingaggiato l’avvocato Sbrogli, un autentico principe del foro, nonché da sempre un sincero simpatizzante della forza politica alla quale appartengo. Il suo impegno è stato notevole anche se, fin da subito, mi ha consigliato di ammettere le mie colpe. A suo avviso, ulteriori menzogne non avrebbero fatto altro che aggravare la mia posizione. Confessare le mie mancanze è stato molto umiliante: è aumentato a dismisura il livello di prostrazione, mi sono sentito annientato.

Ma non è tutto. Esiste un ulteriore aspetto della vicenda in cui sono stato coinvolto che mi angustia in maniera particolare e che non riesco a perdonarmi. Mi domando se c’era davvero la necessità di inserire, all’interno di quella disgraziata legge, anche il reato di menzogna privata. La verità è che ho voluto strafare, e che le conseguenze della mia avventatezza si sono rivelate spaventose.

Tutti i politici di successo hanno un’amante. Le enormi responsabilità legate all’attività di governo comportano un affaticamento mentale che può essere alleviato soltanto da qualche momento trascorso in piena rilassatezza. E questo, naturalmente, non può avvenire tra le mura domestiche. Mia moglie è sempre stata a conoscenza di questa situazione, l’ha accettata perché non ha mai avuto intenzione di rinunciare ai considerevoli benefici che derivano dallo stare accanto a una persona di potere. Si è sempre limitata, con tono stanco, a domandarmi se frequentassi altre donne e il sottoscritto, come da copione, ha sempre negato. Ma l’ultima volta, purtroppo, non è andata così. Al mio solito annoiato diniego è seguita una denuncia, firmata non soltanto da lei ma pure dai miei figli. I miei figli!

In questo momento, quelle che per me continuano a essere le persone più care sono sedute in prima fila nell’aula del tribunale. Sui loro volti impassibili scorgo brama di vendetta mascherata da desiderio di giustizia.

Accanto a me, sprofondato sulla panca, osservo l’avvocato Sbrogli. Un uomo corpulento, infagottato in un abito sformato. Continua a prendere appunti, evita di incrociare il mio sguardo. È consapevole che io non approvo per nulla la linea difensiva che ha deciso di adottare. Tanto meno accetto la sua decisione di ricorrere a quell’unico istituto misericordioso contenuto nella legge, la legittima menzogna, che se da un lato consente di richiedere l’applicazione delle circostanze attenuanti dall’altro finisce per rappresentare, per l’imputato, la completa ammissione delle sue umane manchevolezze. In pratica si chiede pietà alla corte: l’essere umano è fragile, l’essere umano ha dei limiti, le sue debolezze sono riconosciute dalla legge. No, questo proprio non mi va giù! Non mi sono mai sentito debole, semmai onnipotente.

I giudici stanno per tornare in aula con la sentenza. Non mi faccio alcuna illusione: sarà di condanna. Per me si spalancheranno le porte del carcere. Tutti saranno finalmente soddisfatti perché avranno ottenuto quella che loro ritengono vera giustizia. Il mio caso rappresenterà un esempio, un forte deterrente nei confronti di chi avrà intenzione di continuare a mentire. In realtà, la mia esposizione alla gogna e la mia detenzione non serviranno a nulla, perché tutti proseguiranno come se niente fosse le loro esistenze condite di bugie e falsità, cullati dalla certezza dell’impunità. È stato così anche per me, per quale ragione gli altri dovrebbero essere migliori?

                                                                                                                     (Fine)

 


martedì 22 ottobre 2024

LEGITTIMA MENZOGNA (Prima parte)


Non avrei mai immaginato di ritrovarmi in una situazione simile. Non fino a qualche tempo fa, almeno. Eppure l’incubo, quella visione angosciosa che, presto o tardi, opprime l’esistenza di ogni politico, si è materializzato. E adesso sono in questo luogo lugubre, l’aula di un tribunale, ad assistere impotente alla mia lapidazione. Sono alla sbarra, e contro la mia persona gravano accuse che, alla luce di ciò che si è verificato nei mesi scorsi, appaiono infamanti. Biasimi gravi, in grado di offuscare la mia intera carriera di apprezzato uomo delle istituzioni e, come se questo non bastasse, la mia stessa personale onorabilità.

Lo ammetto, non ritengo di essere del tutto esente da colpe e da responsabilità. In ogni caso, nel corso della mia attività come nella vita di tutti i giorni, ho sempre agito secondo i principi ai quali mi ispiro, fondati innanzitutto sulla praticità e sulla estrema concretezza delle azioni. Presupposti dai quali sono sempre derivati stima e rispetto da parte dei cittadini, nonché ammirazione incondizionata da parte dei miei familiari.

In realtà l’unica cosa che davvero mi rimprovero, e che mi rende tormentato e insofferente, è di essere stato io stesso causa della mia attuale sventura. La mia ottusità è stata tale da spingermi a essere addirittura il principale sostenitore della nuova legge, quella che sanziona penalmente la menzogna. Così, ne sono stato anche la prima vittima eccellente.

Chi è il politico che, nel suo operato, non ha mai omesso informazioni ai cittadini? Esiste un uomo di governo che, gravato dai suoi pesanti incarichi, non ha mai fatto promesse che non era in grado di mantenere o, ed è stato proprio questo che mi ha incastrato, ha mentito a fin di bene ai suoi elettori?

Ciò che più mi angustia, tuttavia, è il pensiero di non essere riuscito, per la prima volta nella mia ventennale attività politica, a interpretare l’umore dei cittadini. Sostenendo senza riserve la famigerata legge, credevo invece di esserci riuscito anche questa volta. Ero convinto, a ogni modo, che quelle norme non sarebbero mai state applicate nella loro tremenda severità, che pure quella sarebbe stata una delle tante leggi di facciata, approvata con il solo scopo di attenuare, o meglio ancora far scomparire, il risentimento di chi si riteneva ingannato e oltraggiato dalla condotta dei propri governanti. È stato quello il mio errore fatale: l’avere sottovalutato il punto a cui era arrivata la fame di giustizia da parte del popolo. Un popolo che, all’improvviso, decide di non concedere più sconti, che stabilisce dall’oggi al domani che il credito concesso ai politici non è più illimitato.

Il mio riconosciuto istinto politico mi ha tradito e non riesco a farmene una ragione. L’inevitabile conseguenza è che tutto il mio mondo è crollato. Un qualcosa di solido che di colpo si sgretola e si frantuma in mille pezzi. Da questo scaturiscono il mio abbattimento e la mia depressione, condizioni dalle quali non riesco a uscire, in aggiunta alla tremenda consapevolezza che l’ultimo atto non è ancora stato scritto. Lo sarà tra poco, quando il collegio giudicante avrà stabilito le sue punitive risoluzioni.

Subito dopo l’approvazione della legge, con mio grande stupore, le denunce nei miei confronti sono arrivate a centinaia. Tutte accuse presentate da semplici cittadini, tra di loro di sicuro anche miei fedeli sostenitori, che non vedevano l’ora di avere la loro agognata vendetta.

Mi chiedo dove erano prima, tutti questi implacabili accusatori e falsi moralizzatori. La risposta è semplice: erano impegnati a godere dei favori di qualche politico, erano occupati a diffondere le loro menzogne o, al più, a ignorarle volutamente perché da ciò ne sarebbe comunque derivato un beneficio.

 

                                                  (continua)

martedì 15 ottobre 2024

CON LE BUONE O CON LE CATTIVE (Seconda e ultima parte)

 

Il commissariato è proprio uno schifo di posto. I muri sono scrostati, ovunque c’è sporcizia, sento pure odore di fogna. Per non parlare dei tipi che, come me, attendono il proprio turno per parlare con qualcuno. A quello imprigionato da giacca e cravatta e tutto sudato di sicuro hanno fottuto il suv, tanto è agitato. La ragazza seduta nell’angolo, con quella gonna così corta, è certamente una puttana. E la vecchietta accanto a me, con le gambe gonfie, si sarà fatta fregare il portafogli sul bus.

Non riesco a capire perché mi abbiano convocato. Mica sono un delinquente. Io lavoro, non vado in giro a spacciare merda o a rapinare banche. Ho dovuto anche prendere un permesso per essere qui, puntuale come mi è stato raccomandato.

"Venga, signor Lauri".

Il poliziotto sbarbatello mi introduce in un minuscolo ufficio ingombro di scartoffie. C’è tanfo di fumo. Alzo gli occhi e quasi mi sganascio dal ridere. Quello seduto dietro alla scrivania è uguale sputato al commissario Basettoni. Le chiazze di sudore sotto le sue ascelle sono spettacolari.

"Si sieda, signor Lauri" mi fa con voce cavernosa. "Sono il sovrintendente Parrella" aggiunge.

Lo affronto subito. "Mi scusi, sovrintendente, ma non riesco a capire per quale ragione…"

"Signor Lauri, lei è nei guai" mi interrompe lo sbirro. Ammutolisco. "Vede, nei suoi confronti è stata inoltrata una specie di denuncia" mi spiega.

"Eh?"

"Mi lasci finire. In realtà non si tratta di una vera e propria denuncia, bensì di una richiesta di ammonimento".

"Ammonizione? Mica stiamo giocando a calcio".

L’altro fa una faccia brutta. Per un attimo riesce a intimidirmi. "Guardi che non è proprio il caso di scherzare, signor Lauri. Prima le ho detto che lei si trova nei guai e adesso glielo ribadisco. Conosce la nuova normativa riguardo le molestie persecutorie?"

"No" rispondo. Non è del tutto vero, ma il mio sesto senso mi consiglia di apparire ignorante di fronte a questo energumeno.

"La richiesta di ammonimento è stata presentata da sua moglie".

"Mia moglie?"

Picchia il pugno sul tavolo. Cazzo, che spavento.

"Stia zitto, signor Lauri, e mi lasci finire. Il questore ha esaminato l’istanza e ha deciso di accoglierla, dal momento che sua moglie, a supporto della stessa, ha prodotto una grande quantità di validi elementi".

"Quindi?" Provo fastidio per la mia voce pigolante. Non mi sono ancora del tutto ripreso, anche se in fondo temevo qualcosa del genere.

"Quindi se lei reitererà le sue azioni persecutorie, minacciose e intimidatorie, interverremo d’ufficio, senza che sia necessario un ulteriore esposto. In questi casi è previsto l’arresto, signor Lauri, è bene che se ne renda conto".

Mi produco in un’espressione stupita, che mi viene abbastanza bene. "Ma io non ho fatto nulla" dico allargando le braccia. "Sto pure andando dallo psicologo".

L’altro sbuffa, infastidito. Poi inarca un sopracciglio cespuglioso e sogghigna, da vera carogna. "Lei non deve più avere alcun tipo di contatto con sua moglie. Questo, per ora, è un semplice invito a rispettare la legge. Se però persisterà nel suo scriteriato comportamento…"

"Sarò ancora più nei guai" dico interrompendo Basettoni con soddisfazione.

Mi aspetto un’altra mazzata sul tavolo, invece il poliziotto mi porge dei fogli che devo firmare. Scarabocchio, ne prendo una copia e mi alzo.

"Sì, se ne vada, signor Lauri. Spero di non vederla più".

I rami degli alberi che mi circondano sono cosparsi da minuscole e tenere foglie di un bel verde brillante. Piego il giornale e lo infilo nella tasca della giacca. Da troppo tempo sono seduto su questa panchina, tanto che il culo mi si è appiattito. Sono stanco di aspettare e nauseato dalle troppe sigarette. Guardo l’orologio, valuto che ho ancora qualche minuto prima che lei esca. Allora estraggo il cellulare e inizio a digitare un messaggio. Dopo avere composto, con la solita fatica, alcune stentate parole, rinuncio. No, di messaggi ne ho mandati molti, ma non ho mai avuto alcuna risposta. E la stessa sorte è toccata alle mail che ho inviato. Tempo sprecato. In realtà le devo parlare di nuovo a tu per tu, la devo guardare negli occhi. Non importa se, come le altre volte, alla fine dell’incontro quegli occhi saranno sbarrati per la paura. Mi alzo, determinato, e mi avvio. Giunto in prossimità dello stabile dove lei lavora, la vedo affacciarsi al portone. Guarda prima da una parte, poi dall’altra, infine attraversa la strada con passo incerto. Ha il volto teso, e ovviamente è vestita come una gran zoccola. Non mi stupisco, perché quando gli uomini non hanno la possibilità di esercitare un minimo di controllo su di loro, certe donne vanno subito alla deriva. Ma adesso la fermerò e la costringerò a parlarmi. La convincerò a tornare con me. Sì, perché lei deve tornare con me. Le conviene farlo. E lo farà, con le buone o con le cattive.

                                                                                                                (FINE)

martedì 8 ottobre 2024

CON LE BUONE O CON LE CATTIVE (Prima parte)

Lo studio è molto elegante. Alle pareti dell’ampio ingresso sono appese maschere tribali africane, scudi dipinti e zagaglie. Questo mi fotterà un sacco di soldi, considero tra me. Anche per la segretaria non si è badato a spese: è una brunona mozzafiato, tutta curve e con un viso da bambola. Eppure non saprei che farmene di una simile puledra. Con una così finirei cornificato dopo tre giorni. No, io preferisco le donne poco appariscenti, che sanno stare al loro posto.

Mi accomodo in sala d’attesa su una sontuosa poltrona. Sono solo. In questi posti di merda si è sempre soli. Si entra da una parte e si esce da un’altra. Tra i pazienti (o clienti?) non ci deve essere alcun tipo di contatto. Sul tavolino basso di fronte ai miei piedi c’è una pila di riviste. Ne prendo una a caso e la sfoglio: case lussuose, giardini incantevoli. Tutte stronzate da gente ricca. La sbatto sul tavolo, stizzito, e la stangona seduta dietro alla scrivania di vetro non batte ciglio. Troia.

Si apre una porta e compare il dottore. Alto, con il muso lampadato e le tempie brizzolate. Un bell’uomo.

"Prego, signor Lauri".

Entro in una stanza enorme che puzza di dopobarba. Su un lato incombe un lungo tavolo, in un angolo noto un divanetto basso. Cazzo, me la farei volentieri una pennichella su quel grazioso lettuccio. Invece il dottore si sistema dietro il tavolaccio e mi indica di sedermi dinnanzi a lui. Appoggio il culo sull’unica sedia scomoda dell’intero studio. Dura, con lo schienale alto e troppo dritto. 'Fanculo! Eppure pago.

"Alla fine è venuto da solo" dice il dottore, picchiettando una penna sul piano. Già mi dà sui nervi.

"Non sono riuscito a convincerla. Vede, lei non crede molto in queste cose. Dice che la sua mente è a posto, che cosa ci va a fare da un medico dei pazzi?"

Quello fa una smorfia che lo imbruttisce, poi si schiarisce la voce. "È sicuro di avere spiegato bene a sua moglie di che cosa si tratta? Io non mi occupo di pazzi, come li chiama lei, e inoltre non sono neppure un medico".

"Certo che le ho spiegato tutto bene, ma quella è una testa dura, quando si impunta non c’è verso di farle cambiare opinione".

"Che cosa intende fare, signor Lauri?"

"Eh? Non capisco".

"Cioè, vuole intraprendere ugualmente il percorso terapeutico, anche da solo?"

"Sì dottore".

"Bene. In ogni caso si renderà conto che dovremo lavorare su qualcosa di diverso. Lei mi ha parlato, inizialmente, dell’intenzione comune, sua e di sua moglie, di intraprendere una terapia di coppia. Mi ha accennato a difficoltà di comunicazione e ad altri vari problemi. Insomma, a una semplice crisi. Ora la situazione sembra diversa: sua moglie non ha intenzione di collaborare. È così, signor Lauri?"

"Il fatto è che mia moglie mi ha lasciato".

"Ah! Questo pone il tutto sotto una luce diversa. Da quanto tempo la sua consorte ha assunto tale risoluzione?"

"Eh? Come dice?"

"In altre parole: quando vi siete separati?"

"Be’, non è che siamo proprio separati".

"Si spieghi meglio, signor Lauri. Per poterla aiutare ho bisogno di capire".

Questo non capisce un cazzo, e io ci godo a fare il finto tonto. "Vede, mia moglie è andata via".

"Quando?" mi interrompe il coglione.

"Che importanza ha?" sbotto. "In realtà vuole tornare con me, ed è questa la cosa importante".

"Si calmi, signor Lauri. E non sia reticente, non è così che funziona. Il terapeuta deve possedere più informazioni possibili per poter essere utile. Allora, per quale motivo lei afferma che sua moglie desidererebbe tornare con lei?"

"Perché ci amiamo! Lei non può fare a meno di me. In questo momento è un po’ confusa, ma prima o poi di sicuro rinsavirà".

"Mi ascolti bene, signor Lauri, e mi risponda in piena sincerità. Che cosa pensa io possa fare per aiutarla, se è questa la sua convinzione?"

"Eh? Non lo so. Forse, nell’attesa, potrebbe cercare di tranquillizzarmi".

"Si tratta di un compito che potrebbe essere svolto anche da un amico. Perché ricorre a me?"

"Gli amici? Quelli sono tutti dei gran bastardi! Stanno tutti dalla sua parte, lei sa come vanno queste cose, vero? Io non ho più amici".

"Non deve isolarsi, signor Lauri".

Alzo le spalle. So io che cosa devo fare, non me lo devi dire certo tu, pezzo di cretino.

Al mio silenzio, l’altro sospira e poi riprende la cantilena. "Sa, lei dovrebbe cominciare a rassegnarsi. Ha mai pensato all’evenienza che sua moglie non intenda più tornare a stare con lei? Cioè, che la sua sia una scelta definitiva?"

Sorrido. "Impossibile, dottore. Lei tornerà. Lei deve tornare"

"Vede, la separazione è come un lutto, e come tale necessita di elaborazione".

"Lutto? Che dice, dottore?" Inavvertitamente faccio le corna con entrambe le mani.

Lo scemo si esibisce nella consueta sgradevole smorfia, poi subito si ricompone. "D’accordo, credo di avere capito quale sia la sua situazione. Se davvero lo ritiene opportuno fisseremo altri incontri. Avremo bisogno di parlare molto".

"Va bene, dottore".

"Arrivederci, signor Lauri".

Esco e parlo con la cavallona, che mi fissa due appuntamenti. Poi mi accompagna alla porta sul retro. Con la mano le sfioro un fianco. Quanta roba! Però mi disgusto subito perché quella puzza proprio come una troia.


                                                 (continua)

martedì 1 ottobre 2024

L' AULA (Seconda e ultima parte)


Mi dirigo con passo spedito verso la sala riunioni, oltrepassando corridoi deserti, e di colpo me li trovo tutti di fronte, seduti intorno al grande tavolo ovale. Ci sono i miei compagni di partito, che mai come in questo momento sento così vicini, e ci sono i miei ministri, diventati i ministri del nulla nonostante le pompose deleghe che ho loro assegnato. Senza dire niente mi accomodo, mesto quanto loro. So già che questa riunione sarà molto breve. C’è ben poco che io possa dire, e niente che possa fare.

"Ragazzi, ci sono novità?" domando, anche se conosco già la risposta.

Tutti scuotono il capo, all’unisono, sconsolati.

"Perché la polizia non interviene, perché non fa nulla?" Mi rivolgo al mio ministro dell’Interno. Non ho mai potuto soffrire quel tipo, pure se sono stato costretto a collaborare con lui. Non sopporto i suoi occhi bombati e falsi, i suoi incisivi da roditore. Eppure adesso per lui provo quasi pena, tale è il suo disorientamento, la sua evidente inadeguatezza.

"Gli agenti dicono che non interverranno mai contro i cittadini" risponde con un filo di voce.

"E la magistratura?" Interpello il ministro della Giustizia, un bravo ragazzo del mio stesso partito.

"Tutto fermo, tutto immobile. I magistrati vogliono capire, attendono l’evolversi della situazione".

"E da oltre confine?"

"Osservano con apprensione, ma non c’è ancora stata nessuna presa di posizione ufficiale. Si tratta di questioni interne, dicono. Nessuno ha intenzione di ingerire". La giovane ministra degli Esteri è livida in volto, ha profonde occhiaie.

Annuisco. "Qualcuno di voi ha parlato con il Presidente?"

Il mio sottosegretario si schiarisce la voce prima di intervenire: "È rintanato da giorni nei suoi alloggi. Non vuole parlare con nessuno. È deluso e scoraggiato. Mai avrebbe pensato di vivere una simile situazione. Si sente soprattutto tradito, tradito dai cittadini".

Sospiro. "Bene, a questo punto non mi rimane che andare là".

"No! Non farlo, può essere pericoloso".

Scrollo le spalle, indirizzo a tutti un saluto e mi avvio verso l’uscita. Nessuno tenta di fermarmi.

Esco in strada, scorgo i due poliziotti seduti su un gradino. Stanno giocando a carte.

Cammino in direzione del Parlamento. Almeno, di quel che ne è rimasto. L’aula del Senato non esiste più, è andata a fuoco ed è completamente distrutta. In fondo è stato semplice ridurre il numero dei parlamentari. È bastato incenerire i loro poggiaculo e tutti i senatori sono spariti come per incanto.

È facile ormai entrare a Montecitorio. Non ci sono più controlli, non ci sono più neppure le porte.

L’emiciclo appare buio e quasi deserto. Dopo i primi giorni, quando i cittadini si sono riversati in massa nell’aula spinti soprattutto dalla curiosità, seguiti dai turisti intenti a scattare fotografie, l’interesse è presto scemato. Sul banco della presidenza c’è una donna anziana e malvestita che sta arringando un gruppo di disgraziati. Parla di pensioni, infarcendo il suo sconclusionato discorso di innumerevoli luoghi comuni. Le stesse argomentazioni che, fino a poco tempo fa, si ascoltavano soltanto al bar.

In un angolo, accovacciati intorno a un barbecue improvvisato, ci sono alcuni deputati. Stanno arrostendo salsicce. Riconosco tra loro l’avvocato Lo Russo, uno degli esponenti di spicco dell’altra opposizione. Adesso però fa comunella con loro. Mi abbottono la giacca – sono l’unico che la indossa – e mi avvicino. L’avvocato appare male in arnese, il suo pizzetto non è curato come di solito, i suoi abiti sportivi sono stazzonati e sporchi.

"Che cazzo ti guardi?" mi apostrofa. Finge di non conoscermi. Mi allontano, desolato.

Che ci faccio qui? Ormai è tutto inutile. Mentre sto per uscire scorgo lui, l’attore riccioluto. I suoi occhi lampeggiano. Mi viene incontro, combattivo come sempre.

"Siete finiti! Finiti!" strepita. "Statevene a casa! Il vostro tempo è scaduto!" Alcune gocce di saliva si depositano sui risvolti della mia giacca. Non indietreggio, so che questa è la mia ultima possibilità di dialogare con lui.

"Ascolta…" tento di dire, accennando un sorriso.

"Vaffanculo!" mi urla con un ghigno. Poi mi volta le spalle, si sbottona i calzoni e piscia contro uno scranno.

                                                  FINE