L'appuntamento è in
piccolo bar di periferia. Quando arrivo lui non c'è ancora. Mi dirigo al banco
e ordino una birra. Trascorsi quasi venti minuti, la birra non toccata e ormai
calda, mentre mi chiedo se rispetterà l'impegno, lo scorgo attraverso la
vetrata. Sono sicuro che è lui, anche se non l'ho mai visto prima. Un uomo di
quasi quarant'anni, in impeccabile abito grigio, occhiali scuri e passo deciso.
Sono certo di non sbagliare poiché si tratta di una persona ben diversa, quasi
aliena, rispetto alla clientela del locale: vecchiette che dilapidano la misera
pensione ai video-poker, anziani dalle guance scavate e non rasate che calano
carte e bestemmiamo, camionisti abbrutiti di passaggio che ingurgitano enormi
panini alla mortadella.
Esco dal bar e gli vado
incontro.
"Maestri"
dico, porgendogli la mano. Lui ricambia la stretta e annuisce.
"Restiamo fuori"
dice.
Fa freddo, ma lo
assecondo. Ci accomodiamo all'unico tavolino porto all'esterno del bar, un
tavolino sbilenco e assalito dalla ruggine.
Lui nota la mia
perplessità.
"È più
sicuro" aggiunge.
Ci studiamo per un
attimo poi, per vincere l'imbarazzo, estraggo dalla borsa un piccolo
registratore, un taccuino e una penna.
"Preferirei che
non registrasse il colloquio. Anzi, lo pretendo" dice.
Ripongo il registratore
e impugno la penna. Dovrò accontentarmi di appuntare ciò che forse mi
racconterà.
Lui incrocia le braccia
e sorride. Aspetta. Non c'è dubbio, tocca a me iniziare. Sono io il
giornalista, quello che fa le domande.
"Perché si è
rivolto proprio a me? Il mio è un piccolo giornale, ed io non sono un cronista
famoso".
"Il motivo è
semplice. Voglio che ciò che dirò sia pubblicato, ma non trattato come uno
scoop sensazionale. Desidero che qualcuno ne venga a conoscenza, ci rifletta su,
ne parli con amici e conoscenti. Mi aspetto che le informazioni si diffondano
lentamente, senza che si crei una eccessiva attenzione; tutto ciò per evitare
immediate e violente reazioni che sarebbero controproducenti al mio proposito".
"Quali
reazioni?" domando.
"Oh, le solite. I
grandi giornali sarebbero accusati, come da copione, di nutrire pregiudizi, di
ordire complotti, di essere al servizio dei poteri forti. Il suo, invece, è un
foglio ritenuto credibile e di sicuro indipendente".
"Il suo nome, in
ogni caso, non dovrà comparire".
"Questi sono gli
accordi".
"E se non li
rispettassi?" azzardo.
Lui scuote il capo,
divertito.
"Io finirò nei
guai, e lei pure. E i guai più grossi saranno di sicuro i suoi!"
"Che tipo di
guai?" chiedo, un po' indispettito.
"Perché prima non
ascolta ciò che le voglio dire?"
Sospiro.
"D'accordo. Per
quale ragione ha deciso di parlare?"
"È meglio se partiamo
dall'inizio" dice.
"Come vuole. Da
quanti anni milita nel movimento?"
"Dall'inizio. Però
smettiamola di chiamarlo movimento. Un movimento è un'altra cosa, il mio è un
partito a tutti gli effetti, strutturato e organizzato".
"Non si
direbbe" dico.
"E si sbaglia. Diciamo
che non appare come tale, ma ciò è voluto. Serve per ingannare i più ingenui, i
più creduloni, gli sprovveduti. Abbiamo rappresentanti in parlamento, nelle
istituzioni, governiamo delle città. Un partito a tutti gli effetti".
"Lei non è qui per
tessere le lodi del suo movim... del suo partito".
"Esatto".
"Al telefono mi ha
detto che, a un certo punto, lo spirito iniziale è stato tradito. Quando è
avvenuta questa trasformazione?"
"Quasi subito. E
si è trattato di un cambiamento programmato. Tutto è già stato programmato: il
principio, il periodo intermedio e quello finale".
"Da chi è stato
programmato?"
"Passo".
"In quale fase ci
troviamo in questo momento?"
"Siamo quasi alla
fine della fase di mezzo".
Arriva finalmente il
cameriere. Ordiniamo dell'acqua minerale.
"Lei non si è mai
candidato, non fa parte dell'apparato del partito, non compare mai, non si è a
conoscenza di suoi scritti o interventi di qualsiasi natura. Insomma, quale
posizione occupa nel partito?"
"Io sto in alto,
molto in alto".
"Mi faccia capire.
Vuol dire che sta sopra ai parlamentari?"
Lui ride e annuisce.
"Quelli sono
soltanto stupidi arrivisti. Non contano un cazzo e non se ne rendono conto".
"Accanto al
sedicente portavoce?"
"Più in alto,
molto più in alto. Quello è un buffone, un burattino urlante e nulla più".
"E il
proprietario?"
"Quello a cui lei
si riferisce è un semplice amministratore, e neppure troppo brillante".
"Insomma, qual è
il suo ruolo?"
"Un ruolo di
vertice, diciamo".
"Mi faccia capire.
Chi è che davvero dirige il movim... il partito?"
"Non lo so, ma lo
scoprirò presto. Sempre se non sarà troppo tardi".
Sono confuso. Cerco di
riordinare un po' le idee allo scopo di porre domande pertinenti. Prendo
qualche appunto.
"Qual è il fine
del movim... del partito?"
"L'obiettivo di
tutti i partiti: governare".
"In questo non
vedo nulla di strano".
"Noi vogliamo
governare da soli".
"Anche questo lo
capisco: per non incontrare ostacoli nella realizzazione del programma, per non
dover scendere a compromessi, per non dover mercanteggiare".
"Esatto".
Sto perdendo la
pazienza.
"Ma allora qual è
il problema?" domando, alzando un po' la voce.
"Noi vogliamo
occupare i posti di governo per poter realizzare il nostro vero programma, vale
a dire non governare. Stando all'opposizione ciò non è possibile. Stiamo
portando avanti degli esperimenti in alcune grandi città: stanno funzionando.
Prima o poi, è inevitabile, ci sarà il grande salto a livello nazionale".
"È la descrizione
di un sistema totalitario" dico.
"Niente affatto.
Una dittatura governa, eccome se governa, anche se lo fa utilizzando la forza e
la repressione, limitando le libertà individuali. Il nostro disegno non è
questo ma si spinge in tutt'altra direzione. Noi intendiamo creare una inestricabile
situazione di caos, uno scenario ancora peggiore di quello rappresentato da un
governo autoritario".
"Perché? A chi
potrebbe giovare una cosa simile?"
"Credo di averlo
compreso, ma non lo posso rivelare. Sto cercando di impedirlo".
Bevo tutto di un fiato
il bicchiere di acqua minerale. Non sento più freddo. Anzi, sto sudando.
"Come pensa di
ostacolare questa mostruosa deriva, sempre se ciò che mi sta raccontando
corrisponde al vero?"
"Le assicuro che è
la verità. E non le posso rivelare tutto. Almeno per ora. Vede, il mio partito
è organizzato come un programma informatico, un programma con mille protezioni,
molto difficile da attaccare. Ma tutti i programmi, anche quelli considerati
inviolabili, presentano dei punti deboli, dove un virus o un baco possono
infilarsi e scatenare un comportamento imprevisto o comunque diverso da quello
programmato e produrre il caos. Io sarò quel baco, io provocherò quello
scompiglio che farà crollare l'intero sistema prima che si scateni l'altro
caos, quella dell'intera collettività, la babele definitiva".
"Ci
riuscirà?" domando. Non so perché, ma credo a tutto ciò che mi ha riferito
quest'uomo. Sono spaventato.
"Non lo so. Lo
paga lei il conto?"
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