Un bambino di diciotto
mesi arso vivo nella sua casa. I genitori e il fratellino di quattro anni in
gravi condizioni, orribilmente ustionati. Tutto ciò è accaduto a Nablus,
Cisgiordania, nei territori occupati da Israele ormai da quasi cinquant’anni.
Il vile attentato, poiché di vero e proprio atto terroristico si deve parlare,
è opera di coloni israeliani legati alla destra ultra-religiosa, gruppi fondamentalisti
che fanno riferimento a partiti presenti alla Knesset, il parlamento
israeliano, e alleati di governo del primo ministro Netanyahu.
Sono ormai lontani gli
anni gloriosi dello stato ebraico. Un ricordo lontano le valorose e drammatiche
difese dei confini della Guerra dei Sei Giorni e di quella di Yom Kippur. Poi c’è
stato il Libano, più volte, le Intifada, l’occupazione della Striscia di Gaza,
e di tutte queste ultime imprese si ricordano soprattutto le vittime civili di
parte palestinese.
Perché, ancora una
volta, e poco tempo fa, è stata data fiducia all’opportunista Netanyahu
costretto, per conservare il potere, a scendere a patti con la destra
religiosa? Benny, si sa, non è uomo di pace. Israele, per poter sopravvivere,
ha invece tanto bisogno di pace. Per quale motivo la scriteriata politica degli
insediamenti ha avuto nuovi scellerati impulsi? In tal modo il partito dei
coloni si è rafforzato ancora di più, è diventato sempre più determinante nell’influenzare
le politiche dello stato, tutte orientate alla prevaricazione nei confronti del
popolo palestinese, anch’esso comunque non esente da colpe (il dissennato ruolo
recitato da Hamas, per esempio).
La soluzione per porre
fine, o almeno limitare, le reciproche anche se non paragonabili violenze, è
sempre la stessa: due popoli, due territori, due stati. Invece le colonie
aumentano e coprono ormai a macchia di leopardo tutta la Cisgiordania. Perché
non tornare, in qualche modo, all’intuizione tardiva di Ariel Sharon? Sì,
proprio lui, uno degli uomini più discussi di Israele, l’eroe di guerra, il
panzer, il duro oppositore di ogni concessione al popolo palestinese, lo sciagurato
indiretto responsabile del massacro di Sabra e Chatila che, poco prima di
essere colpito dalla grave infermità che lo portò prima ad anni di coma e poi
alla morte, rinnegò tutto ciò che aveva pensato e fatto fino a quel momento. Quale
fu l’idea, che purtroppo non poté attuare, di Sharon? E per quale motivo maturarono
in lui quelle convinzioni? Sharon, a un certo punto, si rese conto che Israele
non avrebbe potuto espandere all’infinito la colonizzazione, occupare per
sempre i Territori. Era necessario smantellare gli insediamenti altrimenti prima o poi quelle terre sarebbero state annesse allo stato
di Israele (per inevitabile convenienza e soprattutto per via delle crescenti
pressioni della comunità internazionale). Con gli Stati Uniti, l’alleato da
sempre più importante per lo stato ebraico, in testa. Ai palestinesi sarebbero
stati concessi finalmente dei diritti, tra i quali prima o dopo anche la
cittadinanza. Sharon era consapevole del fatto che il popolo palestinese ha un
tasso di incremento demografico decisamente superiore a quello israeliano. Conclusione:
nel giro di pochi decenni Israele sarebbe diventato uno stato arabo. Fine del
sogno di Ben Gurion e di tutti gli altri visionari. Fine di Israele. Quello di
Arik non era idealismo, bensì il puro pragmatismo di un vecchio soldato. Naturalmente
non si tratta di riabilitare la figura di Sharon, che ha commesso gravi errori
e causato grandi sofferenze che purtroppo non si possono cancellare, si tratta
soltanto di dare nuovo risalto a quello che sarebbe stato il suo gesto politico
(e forse l’unico) più significativo. Si spera che tra il popolo d’Israele possa
maturare una nuova consapevolezza e che qualcuno possa raccogliere e tramutare
in realtà tali convinzioni, ed evitare così che altri piccoli e innocenti Alì
muoiano in modo tragico.
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