C’è un parco. È
immenso, con ampi viali e grandi alberi rigogliosi. Le persone vi trovano rifugio
per camminare e per rilassarsi. Per pensare. C’è un piccolo stagno, al quale mi
avvicino. Qualcuno, seduto sulla sponda, vi ha immerso i piedi nudi. Mi guardo
attorno, indugio a lungo, poi mi unisco a loro. L’acqua è fredda e leggermente
torbida. Sotto la superficie liquida si intravedono delle ombre. Nutrie, e
tanti pesci. Uno di loro, piuttosto grande, si avvicina alla mia caviglia e la
bacia. A lungo. Percepisco il contatto di quelle labbra minuscole e gelide e
rabbrividisco. Rimetto calze e scarpe e riprendo a camminare. Adesso nel parco
c’è tanta gente: bambini, anziani e gruppi di studenti. Un uomo mi si avvicina.
Deve essere un insegnante: indossa un abito grigio e il suo sguardo è quello di
un uomo abituato a riflettere.
“È bello questo posto”
dice.
Sorrido e annuisco. Sto
zitto, perché non so che cosa rispondere.
“La bellezza allieta l’animo”
aggiunge. “Noi vi portiamo spesso i ragazzi, affinché l’incanto della natura
possa penetrare nei loro cuori”.
Lo guardo.
“Tuttavia i giovani non
sono in grado di apprezzare tale magnificenza” prosegue lo strano individuo.
“Beh… sono giovani”
balbetto. Comincio a sentire una strana inquietudine.
“No! Il fatto è che non
possono usare il telefono, e allora si annoiano. Vogliono andare via”.
“Capisco” dico.
“Forse hanno ragione,
però”.
“Dice?”
“Sì, hanno ragione, perché
spesso sotto l’apparente bellezza si annida lo squallore. I ragazzi sono molto
istintivi e colgono questa distorsione”.
A questo punto vorrei
allontanarmi, ma l’uomo non me lo permette.
“Ha già visitato tutto
il parco?” domanda, con voce all’improvviso molto gentile.
“No, non ancora”.
“Allora, se mi
permette, le consiglio di recarsi al prato delle volpi”.
“Che cosa?”
“Il prato delle volpi!
Non ne ha mai sentito parlare?”
“Sinceramente no”
rispondo, stupito ma anche incuriosito.
“Le spiego la strada:
deve proseguire diritto per quasi un chilometro, lei è giovane e non ha
problemi a camminare, poi deve girare a destra, dopo la fontana, e poi ancora a
destra, dopo avere oltrepassato il mulino. Ecco, lì troverà il prato delle
volpi. Ci vada, mi raccomando.”
“Lo farò. Grazie e
arrivederci.”
“Addio.”
Un po’ scosso per il
bizzarro incontro mi incammino. Seguo le indicazioni dello strambo individuo e
dopo quasi mezz’ora giungo nel luogo che mi ha indicato. Sono solo. Mi guardo
un po’ attorno e poi lo vedo. Il prato. Si tratta di un rettangolo che spicca
rispetto a ciò che lo circonda perché l’erba è di un colore verde smeraldo.
Vedo su di esso delle macchie rossastre in movimento: le volpi. Tante volpi. Alcune
sono stese al sole, altre camminano pigramente, altre ancora sono ritte sulle
zampe posteriori, quella anteriori appoggiate a uno strano attrezzo che sembra
un tosaerba. Avanzano lentamente, con sofferenza, da un lato all’altro del
prato, rifacendo di continuo lo stesso percorso. Una delle zampe posteriori è
assicurata a una fune azzurra che permette all’animale movimenti limitati.
Strabiliato, mi avvicinò di più e rimango colpito dagli occhi di quelle
creature impegnate in quella assurda attività: sono molto tristi.
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