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lunedì 6 aprile 2015

FISCHIA PER NOI



“Stai andando alla riunione?”
L’onorevole Belli trasalì. Stava camminando nel Vascello, l’ampio corridoio che conduceva alla Sala del Fante, quando il senatore Venditti gli sfiorò la spalla da dietro e lo apostrofò con quelle parole. Belli, in quel momento, non stava affatto pensando a ciò che si sarebbe dovuto decidere in quell’importante incontro, bensì al regalo che avrebbe dovuto fare alla moglie per l’anniversario di matrimonio. Due giorni dopo, così come due giorni dopo avrebbero avuto inizio le votazioni. Una sgradevole coincidenza. Il parlamentare si arrestò e strinse la mano al collega grande elettore.
“Ciao Manlio. Su, sbrighiamoci che siamo in ritardo. E poi quello chi lo sente?”
“Aspetta un attimo, devo dirti una cosa importante.”
“Dimmi.”
“Ho fatto il tuo nome” disse tutto di un fiato il senatore Venditti.
“Che cosa?”
“È accaduto ieri sera, sul tardi. Mi trovavo in uno dei soliti capannelli, sai come succede in questi giorni, e ho detto che tu saresti stato uno dei nostri candidati.”
“Cazzo, mi hai bruciato!” esplose Belli.
“Temo di sì” rispose con falsa mestizia il senatore.
“Perché l’hai fatto?”
“Beh, fa parte del fuoco di interdizione, come lo chiama il nostro segretario. Per alimentare la confusione, per gettare un po’ di fumo…” Venditti non seppe più proseguire.
“Porca puttana!”
“Aspetta, non è tutto. Non mi sono reso conto che era presente anche Servetti, il giornalista del Corriere del Mattino. Quello è come il prezzemolo.”
“No!”
“Purtroppo sì. Hai letto i giornali di oggi?”
“Non ho fatto in tempo” disse Belli, che era impallidito.
“Allora non farlo, se non vuoi vedere il tuo nome in prima pagina scritto a caratteri cubitali.”
“Ma vaffanculo!”
“Non te la prendere. Sei giovane, tra sette anni sarai un candidato perfetto.”
“E… come hanno reagito gli altri?”
“A chi ti riferisci?” domandò Venditti.
“Quelli ai quali l’hai detto.”
“Ah! Nessuno ha battuto ciglio, tranne Merloni che si è messo a sghignazzare.”
“Stronzo.”
“Su, andiamo. Adesso ci stiamo davvero attardando.”
I due ripresero a camminare, uno sottobraccio all’altro.
“Dimmi ancora una cosa” fece all’improvviso Venditti.
“Uh?”
“Tu ci credevi veramente? Voglio dire… nel caso in cui si fosse profilata sul serio la tua candidatura.”
Il collega lo guardò.
“Non lo so. In fondo si tratta di un incarico estremamente impegnativo. E tu, piuttosto? In quanto a carte in regola…”
“No! Zitto! Non lo dire neppure! Porta male!” scattò l’altro.
“Ho capito. Dai, entriamo che la riunione è già iniziata.”
La sontuosa sala era affollata. Da qualche istante il giovane segretario del partito, Romeo Lorenzi, aveva iniziato a parlare.
“…non possiamo e, soprattutto, non dobbiamo sbagliare. L’intero Paese ci sta osservando e ci giudica. Indugi, giochetti, furberie: tutti artifici inutili che non ci saranno perdonati. Abbiamo di fronte una enorme responsabilità alla quale non possiamo sottrarci. La nostra scelta dovrà essere la migliore possibile e anzitutto dovrà essere rapida. Non vi nascondo la grande soddisfazione, mia, vostra e dei cittadini, nel caso di successo al primo scrutinio. Devo purtroppo constatare come, al momento attuale, le idee non siano molto chiare. Non si è in sintonia sul metodo, all’interno del partito, e ancora non abbiamo preso in considerazione eventuali nomi, a parte alcune sciagurate e presuntuose autocandidature.”
Pronunciando quelle ultime parole il segretario lanciò uno sguardo beffardo in direzione dell’onorevole Belli, il quale arrossì e si voltò verso il senatore Venditti impegnato, a occhi bassi, a lisciarsi la cravatta.
“Mi aspetto da voi proposte e idee, sia sul metodo che sulle candidature. Queste ultime dovranno essere riferite a persone autorevoli, competenti e degne di rappresentare il nostro Paese a livello internazionale. Il tempo stringe, abbiamo bisogno di certezze.”
Lorenzi tacque, compiaciuto, e si versò un bicchiere d’acqua. In sala erano tutti in silenzio. Fu il senatore Lapilli a interrompere la quiete.
“Segretario, perché all’incontro non è stato invitato nessuno della minoranza interna?”
Lorenzi si produsse in una smorfia.
“Perché tanto quelli sono quattro gatti e non contano un cazzo e possiamo benissimo fare a meno dei loro voti. E poi, se ciò non bastasse, vi dico che sono degli autentici rompicoglioni. Pensate, non sono neppure d’accordo tra loro, e ribadisco che sono davvero in pochi! Qualcuno di loro ha proposto la candidatura di Cuzzi, altri quella di Cozzo, e altri ancora quella di…”
“Cazzo!” urlò Bonsignori, un rubizzo deputato siciliano. L’intera sala scoppiò a ridere, tutti tranne il segretario Lorenzi, che rimase invece imperturbabile.
“Già tanto che non abbiano suggerito un idraulico, quelli!” bofonchiò un grande elettore seduto in prima fila.
“…altri ancora quella di Pallavicino” concluse il segretario. “Vi invito a essere seri, il momento è molto delicato.”
Di nuovo tutti zitti.
“C’è l’intenzione di coinvolgere anche le altre forze politiche? L’opposizione?” domandò una giovane deputata.
“Ottima osservazione, Rondelli” rispose Lorenzi. “Sarebbe infatti auspicabile perseguire la massima condivisione, dopotutto stiamo per eleggere il Capo dello Stato, tuttavia dove ci condurrebbe una simile strategia? Ve lo spiego in poche parole: si tratterebbe di lasciare l’iniziativa alla maggiore forza di opposizione, la quale proporrebbe un nome di sicuro a noi sgradito e che saremmo costretti a bocciare. Ciò significa soltanto perdere tempo, e noi non ce lo possiamo permettere. Quindi il Presidente ce lo eleggeremo noi. Da soli.”
“Ma… i voti?”
“Li abbiamo, non preoccupatevi. I pochi che mancano alla fine arriveranno, ve lo assicuro. A questo punto, definito il metodo, dobbiamo pensare al nome. Aspetto i vostri suggerimenti.”
Lorenzi incrociò le braccia sul petto.
“Pennino!” disse qualcuno. Molti assentirono con deciso convincimento.
Il segretario scosse il capo. Poi intervenne.
“Quella del senatore a vita Pennino, che oggi non è potuto essere tra noi, è una candidatura autorevole, di grande prestigio, di alto profilo…
“È stato presidente del Senato!”
“Più volte ministro!”
“Giudice costituzionale!”
“Presidente dell’Antitrust!”
“Deputato regionale!
“Sindaco!”
“Segretario del partito!”
“…ma ricordo a tutti voi che il senatore ha appena compiuto novantadue anni” terminò Lorenzi.
“Beh? Qual è il problema?Alla conclusione del mandato non avrà neppure cent’anni” disse un anziano e decrepito delegato regionale abruzzese.
“Segretario, posso andare io da lui e cercare di convincerlo. So in quale ospedale è ricoverato”.
“Mi dispiace” disse Lorenzi. “Pur con tutto il rispetto per la notevole storia del senatore e per il suo… attaccamento alle istituzioni, non posso sostenere la sua candidatura. Ho improntato tutta la mia azione politica sul rinnovamento e i cittadini non gradirebbero una soluzione di questo tipo.”
“Puzzoni!” urlò una deputata veneta.
“No, da troppi anni è fuori dai giochi” disse il segretario. “E poi con quel nome…”
L’onorevole Belli, che finalmente era riuscito a ridarsi un contegno, prese la parola.
“Dobbiamo allargare la nostra visione alla società civile. È proprio lì che potremo trovare il nostro candidato ideale, al di fuori della politica.” Si sedette soddisfatto. Se la sua proposta avesse attecchito, avrebbe definitivamente messo fuori gioco il senatore Venditti, che continuava a starsene ben coperto.
La sala fu presa dall’entusiasmo. Molti applaudirono.
“Bravo Belli!”
“Un musicista!”
“Un attore!”
“Un giornalista!”
“Un acrobata!”
“Un pittore!”
“Un architetto!”
“Uno scienziato!”
“Mi dispiace soffocare il vostro impeto ma tale proposta non è ricevibile. E, in ogni caso, è troppo vaga. Noi abbiamo bisogno di qualcuno in carne e ossa, non di una figura generica. Nomi! Voglio nomi!” Lorenzi stava cominciando a innervosirsi.
“Una donna?” disse timidamente un deputato friulano.
“Quale donna? Quale? Nome e cognome!”
Tutti zitti, comprese le donne presenti.
“Perché non Alberto Trafficoni?” propose un delegato regionale campano.
“Trafficoni? Ma non è implicato in quell’inchiesta per corruzione, concussione e abuso in atti d’ufficio?” domandò Lorenzi.
“È stato assolto due giorni fa” rispose l’altro, soddisfatto.
“Ma l’inchiesta è andata avanti per cinque anni! Per l’opinione pubblica è come se fosse colpevole” sbottò il segretario. “Amici, siamo a punto morto. L’ho detto, noi abbiamo bisogno di una figura di garanzia, qualcuno al di sopra delle parti, una specie di arbitro.”
“E allora facciamo Gervasoni” disse ridendo il senatore Colapesce.
“Gervasoni… quello?” chiese Lorenzi, serio.
“Sì, proprio quello!” Qualcuno, in sala, cominciò a sghignazzare.
Lorenzi si rivolse al sottosegretario con delega allo Sport Del Fiume, che stava seduto al suo fianco.
“Un momento. Quanti anni ha Gervasoni?”
“Cinquanta, sette mesi e undici giorni” rispose Del Fiume, molto ferrato in quel campo.
“È un tipo deciso!”
“Autorevole!”
“Sa farsi rispettare!”
“È equilibrato!”
“Imparziale!”
“Giovane!”
“È internazionale da cinque anni!”
“Lasciate fare a me” disse Lorenzi, sfoderando il suo ghigno da faina.

Luca Gervasoni ha cenato alle sette in punto: pasta al pomodoro con una spolverata di parmigiano, filetto ben cotto e insalata. Una mela. Come fa tutte le vigilie. Adesso è in camera da letto e sta preparando la sacca. Sistema la biancheria, il necessario per la toelette, le due divise, quella con la maglia rossa e quella con la maglia gialla. Perché non può più usare quella nera? Ancora la rimpiange. Per ultimo il fischietto d’argento. Chiude il borsone. Adesso andrà in salotto e ascolterà qualche aria di Mozart, per rilassarsi. Poi a letto presto, per essere ben riposato il giorno dopo.
Squilla il telefono. Un suono prolungato, insistente.
“Vai tu, per favore” dice alla moglie. “Non voglio perdere la concentrazione.”
La donna torna dopo un attimo.
“Mi dispiace, ma vogliono proprio parlare con te” dice.
“Chi è?”
“Non lo so, è da Roma.”
Gervasoni prende la telefonata. Roma? Sarà qualcuno della federazione, pensa. Che cazzo vogliono quelli a quest’ora?
Parla per qualche minuto, poi chiude la conversazione.
“Domani non andrò più a Milano, devo andare a Roma” dice alla moglie con un filo voce.
“A Roma? Ti hanno cambiato la partita? Ti hanno dato il derby?”
“No, una partita molto più importante.”
“Quale?”

“Tutti contro tutti.”

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