Nel
caos del dibattito pubblico italiano, pieno di slogan utili soltanto a creare
vane contrapposizioni, è presente una verità scomoda, che nessun leader
politico sembra avere il coraggio di affrontare e di rivelare in maniera palese:
l'immigrazione non può essere fermata.
Tale affermazione, che suona come
un'esecrazione per ampie fasce dell'elettorato (in particolare per quello di
destra), non è un'opinione, bensì una constatazione consolidata nella storia e
nella demografia. I movimenti migratori sono una forza ineluttabile, legati a
squilibri economici, conflitti geopolitici, cambiamenti climatici e alla
naturale aspirazione umana a una vita migliore. Tentare di innalzare muri,
siano essi fisici o legislativi, si rivela un'illusione del tutto inefficace.
Questo
non significa, tuttavia, rinunciare a ogni forma di controllo. Riconoscere
l'inarrestabilità del fenomeno migratorio apre la strada a un approccio più
concreto e costruttivo: governare, limitare, guidare questi flussi. Ciò può
essere fatto attraverso l'attuazione di politiche migratorie attente, con accordi
internazionali e con una gestione seria delle frontiere. Occorre tentare di
modulare gli ingressi e selezionare profili professionali utili al tessuto
economico. Contrastare i trafficanti di esseri umani.
Ma
l'elemento centrale, la risposta più valida e avveduta, risiede in una sola
parola: integrazione. In un Paese come l'Italia,
stretto tra un declino demografico senza precedenti e una popolazione invecchiata
in modo inesorabile, l'apporto di nuove forze non è soltanto sperabile, ma necessario e indispensabile. La manodopera straniera è vitale per settori chiave
dell'economia, dal lavoro agricolo all'assistenza agli anziani, e rappresenta
una barriera fondamentale contro la flessione della forza lavoro. Il fenomeno
culturale del calo delle nascite, ormai profondamente stabilizzato e
inarrestabile, rende illusoria qualsiasi speranza di inversione di tendenza a
breve termine.
Integrare,
però, ha un prezzo. Un costo significativo, che la politica ha spesso evitato
di quantificare e di comunicare con trasparenza. L'integrazione è molto costosa. Richiede investimenti
massicci e coordinati su più fronti: edilizia popolare
per garantire alloggi dignitosi, istruzione per
formare i nuovi arrivati e i loro figli, politiche attive del lavoro
per favorire l'inserimento nel tessuto produttivo.
La scelta finale, dunque, è chiara e non
ammette esitazioni. Sarebbe auspicabile che questa consapevolezza diventasse
patrimonio di tutti, superando le sterili dispute politiche che spesso oscurano
la realtà dei fatti: accettare di investire risorse,
molte risorse, nel processo di integrazione. Un cittadino
pienamente integrato, con diritti e doveri riconosciuti, è una risorsa per la
comunità. Crea meno problemi, rispetta le leggi e può contribuire in maniera
attiva allo sviluppo del Paese. Al contrario, un immigrato emarginato, senza
speranze per il futuro e costretto ai margini della società, rischia di
diventare un peso e, in alcuni casi, una fonte di insicurezza.


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