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martedì 27 maggio 2025

ASTROCALCIO

Il cristallo traslucido posto sulla plancia di osservazione vibra leggermente, e diffonde una luce soffusa nell'ambiente.  Xynax inclina la sua appendice cefalica, con i suoi occhi multipli che scintillano di una curiosità liquida. Accanto a lui, Zylix emette una serie di delicati schiocchi, un suono che esprime la sua perplessità.

"Guarda, Zylix" dice Xynax, le cui modulazioni vocali risuonano armoniose. "Gli umanoidi impegnati in quel loro strano rituale".

Sullo schermo cristallino, un prato verde si estende sotto un cielo azzurro. Ventitre figure con rivestimenti esterni dai colori vivaci corrono in modo in apparenza caotico, con gli arti inferiori che si muovono con frenesia. Al centro del loro agitarsi c'è un oggetto sferico, di un bianco abbagliante e che rimbalza in modo imprevedibile.

"La sfera" dice Zylix, e un leggero tremolio percorre i suoi arti sottili. "La sua traiettoria non sembra logica. E osserva con quanto slancio gli umanoidi la inseguono".

Xynax annuisce. "Ho analizzato altri rituali dello stesso tipo. Sembra che il loro obiettivo sia quello di spingere la sfera all'interno di quella struttura rettangolare, quella che i dati indicano come porta".

"Si tratta di una porta temporale?" domanda Zylix.

"No" risponde Xynax.

All'improvviso uno degli umanoidi rossi colpisce con violenza la sfera con un arto inferiore. Questa sfreccia attraverso l'aria e si infila nella porta. Un rumore assordante viene emesso da una moltitudine di figure più piccole sistemate in maniera disordinata tutto attorno al campo.

Zylix sussulta. "Il suono! È un'esplosione di entusiasmo o di paura? La mia analisi acustica non mi aiuta a comprendere".

"È sempre così quando la sfera entra nella porta" spiega Xynax, mentre consulta i dati archiviati. "A mio parere indica un aumento del loro stato emotivo positivo".

"Non di tutti gli umanoidi di contorno, però" dice Zilyx.

"Già" conferma Xynax, pensieroso.

L'attività riprende. Un umanoide in nero, l'unico di quel colore, emette un fischio penetrante con un oggetto che porta alla bocca e tutti gli altri si fermano all'istante.

"Questo umanoide in nero..." osserva Zylix, riflessivo. "Pare esercitare una qualche autorità. I suoi gesti tuttavia non sono molto chiari. Indica e gesticola ma non sembra partecipare in maniera attiva".

"I dati in mio possesso  lo identificano come giudice, arbitro o padrone" risponde Xynax. "La sua funzione precisa però rimane oscura. Sembra intervenire quando le interazioni tra gli altri umanoidi deviano da schemi che non abbiamo ancora ben compreso".

Un umanoide in maglia blu cade a terra dopo un contatto con un avversario. L'umanoide nero fischia di nuovo e indica un punto specifico sul prato. La figura a terra si contorce, si porta gli arti superiori al volto.

"È in difficoltà" dice Zylix. "Forse la sfera è esplosa e lo ha ferito?"

"I sensori non rilevano alcuna esplosione" la rassicura Xynax. "Credo sia una reazione al contatto fisico. Non penso sia letale".

Un altro umanoide in blu si avvicina al punto indicato dall'arbitro-giudice e si prepara a colpire la sfera, che è stata sistemata con cura. Una figura si posiziona tra la sfera e la porta, poi compie movimenti agitati con gli arti superiori.

"Un altro bizzarro sottogruppo" commenta Zylix, riferendosi alle due figure che stazionano sempre tra i pali. "Il loro unico scopo deve essere quello di impedire alla sfera di entrare nella porta. Una contraddizione logica all'obiettivo generale, a quanto pare."

Xynax conferma.

L'umanoide in blu colpisce la sfera. Questa schizza verso la porta, ma il guardiano la intercetta compiendo un balzo sorprendente. Un altro boato, che anche questa volta proviene da un solo gruppo dei presunti osservatori.

"Le loro reazioni emotive sono molto intense" dice Xynax, consultando alcuni dati. "È difficile comprendere la vera finalità di questa attività. Qual è il vantaggio materiale?"

Il tempo scorre sul quel pianeta remoto. Gli alieni continuano la loro paziente osservazione, cercano di decifrare le regole e il significato dello strano rituale umano. Ogni fischio, ogni gesto, ogni contatto, ogni finalizzazione è un nuovo enigma da risolvere. La sfera continua a rimbalzare, gli umanoidi si agitano, ma il mistero, ben lontano dallo svelarsi, si infittisce sempre di più.

 

martedì 20 maggio 2025

IL GRANDE GIORNO


Il grande giorno è finalmente arrivato. Dopo settimane di preparativi e di incertezze, sono riuscito a invitare Sara a cena. Naturalmente mi auguro che alla cena possa seguire qualcos'altro di altrettanto appagante, ma è opportuno fare un passo alla volta e non illudersi troppo. La mia mente, in ogni caso, é un concentrato di emozioni mentre l'accompagno al tavolo di quel ristorante raffinato e costoso, un posto dove ho sempre sognato di portarla. Le luci soffuse e l'atmosfera ricercata rendono il tutto perfetto, anche se il mio cuore seguita a battere all'impazzata per l'emozione. Ci accomodiamo e iniziamo a parlare del più e del meno. Le parole fluiscono, ma c'é un certo imbarazzo nell'aria. Non riesco a smettere di pensare a quanto sia incredibile avere Sara lì con me. Ogni tanto i nostri sguardi si incrociano e il mio stomaco si contorce.

"Una cosa che proprio non sopporto è fare brutte figure di fronte agli altri" dice lei a un certo punto dei nostri discorsi vuoti, ridendo. La sua risata è contagiosa, tuttavia mi sento un po' in ansia. Una preoccupazione che mi pare del tutto non motivata. Tutto sta andando per il meglio.

"È lo stesso per me" rispondo, cercando di mantenere la calma. "Una volta, durante una cerimonia a scuola, sono scivolato e sono caduto proprio davanti a tutti. È stato davvero imbarazzante!"

Lei scoppia di nuovo a ridere, e quel suono vivace e cristallino mi fa sentire un po' più a mio agio. Mentre la cena prosegue, però, un pensiero inquietante si fa strada nella mia mente: il portafoglio. Cercando di non farmi notare da Sara, lo cerco con frenesia nella mia giacca, nelle tasche dei pantaloni, ma non lo trovo. Il panico mi assale. Come ho potuto scordarlo? Non lo posso dire a Sara, non intendo rovinare la serata. Mi alzo, con la scusa di andare ai servizi, anche se in realtà mi dirigo verso il proprietario del ristorante, seduto dietro la cassa.

"Mi scusi" dico, cercando di mantenere la voce ferma. "Ho un problema. Ho dimenticato il portafoglio e non posso pagare".

Il suo sguardo diventa serio. Il tizio comunque non si scompone.

"Mi dispiace, ma se non paga mi dovrò rivolgere alle forze dell'ordine" risponde, senza alcuna pietà. "In alternativa potrebbe chiedere di saldare il conto alla sua accompagnatrice" suggerisce.

Quella proposta mi fa gelare il sangue. Non posso fare una cosa simile a Sara! Che cosa penserà di me? Eppure non c'è scelta. Torno al tavolo, sempre più agitato. Prima che possa dire qualcosa, Sara, sorridendo, dice: "Avrei voluto farti una sorpresa e pagare io, ma ho dimenticato la carta di credito a casa. Puoi provvedere tu, per favore?”

Il mondo sembra fermarsi. La mia mente si blocca. Non posso credere a quello che sta succedendo. La mia serata da sogno si è ormai trasformata in un incubo. Con un sorriso forzato, annuisco. "Certo, non c'è problema" dico, cercando di mascherare il mio sconcerto. Poco dopo, mentre il cameriere si avvicina con il conto, mi rendo conto che la mia serata perfetta sta per prendere una piega che proprio non avevo previsto.

Mia carissima Sara, adesso inizia il divertimento...

martedì 13 maggio 2025

LE COSE RIMASTE

Il sole del mattino filtra pigro attraverso le persiane socchiuse e illumina la superficie stropicciata delle lenzuola. Il letto, testimone muto di una notte di sonno e sogni ora interrotti, conserva ancora l'impronta del corpo che lo ha lasciato appena poche ore prima. Sul comodino un po' impolverato, un libro con la copertina sgualcita giace a faccia in giù, un segnalibro di carta custodisce un punto di lettura destinato a rimanere in sospeso.

Nella stanza vicina, il pigiama di flanella forma un groviglio informe ai piedi di una poltrona. Sembra quasi un bozzolo abbandonato, la traccia passeggera di un risveglio frettoloso, di gesti compiuti con la mente già proiettata altrove.

Il bagno racconta una storia di ordinaria quotidianità spezzata. Il tappetino di spugna è umido e un po' spostato, un asciugamano pende storto dal termosifone. Sul lavabo, il tubetto di dentifricio è rimasto aperto, il tappo appoggiato di traverso, lo spazzolino umido nel bicchiere.

La cucina, il cuore pulsante della casa, porta i segni di una sera trascorsa in solitudine. La tovaglia a quadretti rossi e bianchi è ancora stesa sul tavolo, ed è macchiata di vino rosso. Una bottiglia, per metà vuota, è accanto a un bicchiere solitario. Briciole di pane sono sparse sulla superficie, frammenti di un pasto consumato in silenzio.

 Il frigorifero, colmo di provviste fresche, vibra con un ronzio sommesso. All'interno, le confezioni colorate della spesa fatta il giorno prima si allineano ordinate: verdure croccanti, formaggi profumati, yogurt immacolati. Un promemoria di pasti da preparare, di una normalità che il destino, e non solo, ha interrotto con brutalità.

Nel soggiorno, una lampada da terra con il paralume di carta emana un chiarore caldo e inutile. È rimasta accesa, forse dimenticata nella fretta di uscire, una luce solitaria in un'abitazione avvolta nella quiete innaturale dell'assenza.

Sul davanzale della finestra, una piccola pianticella di basilico china le sue foglie verdi, assetata. La terra nel vaso è secca, implora la mano premurosa che di solito le offre ristoro.

Ogni oggetto, nella sua tacita immobilità, parla di una vita interrotta, di un'esistenza fatta di piccole abitudini, di gesti quotidiani ora sospesi nel tempo. Il letto sfatto, il pigiama accartocciato, il bagno in disordine, la tavola imbandita a metà, il libro aperto, il frigorifero pieno, la luce accesa, la pianticella che soffre: testimonianze di un'assenza che pesa come un macigno nell'aria immobile della casa. Sono le reliquie di un mattino come tanti, un mattino che, senza alcun preavviso, si è trasformato nell'ultimo. È tutto ciò che è rimasto.

(Nel 2024, in Italia, 1090 persone sono uscite di casa al mattino per andare al lavoro e non sono più tornate).


lunedì 12 maggio 2025

INTEGRARE E' GLORIOSO


 

 

Nel caos del dibattito pubblico italiano, pieno di slogan utili soltanto a creare vane contrapposizioni, è presente una verità scomoda, che nessun leader politico sembra avere il coraggio di affrontare e di rivelare in maniera palese: l'immigrazione non può essere fermata.

Tale affermazione, che suona come un'esecrazione per ampie fasce dell'elettorato (in particolare per quello di destra), non è un'opinione, bensì una constatazione consolidata nella storia e nella demografia. I movimenti migratori sono una forza ineluttabile, legati a squilibri economici, conflitti geopolitici, cambiamenti climatici e alla naturale aspirazione umana a una vita migliore. Tentare di innalzare muri, siano essi fisici o legislativi, si rivela un'illusione del tutto inefficace.

Questo non significa, tuttavia, rinunciare a ogni forma di controllo. Riconoscere l'inarrestabilità del fenomeno migratorio apre la strada a un approccio più concreto e costruttivo: governare, limitare, guidare questi flussi. Ciò può essere fatto attraverso l'attuazione di politiche migratorie attente, con accordi internazionali e con una gestione seria delle frontiere. Occorre tentare di modulare gli ingressi e selezionare profili professionali utili al tessuto economico. Contrastare i trafficanti di esseri umani.

Ma l'elemento centrale, la risposta più valida e avveduta, risiede in una sola parola: integrazione. In un Paese come l'Italia, stretto tra un declino demografico senza precedenti e una popolazione invecchiata in modo inesorabile, l'apporto di nuove forze non è soltanto sperabile, ma necessario e indispensabile. La manodopera straniera è vitale per settori chiave dell'economia, dal lavoro agricolo all'assistenza agli anziani, e rappresenta una barriera fondamentale contro la flessione della forza lavoro. Il fenomeno culturale del calo delle nascite, ormai profondamente stabilizzato e inarrestabile, rende illusoria qualsiasi speranza di inversione di tendenza a breve termine.

Integrare, però, ha un prezzo. Un costo significativo, che la politica ha spesso evitato di quantificare e di comunicare con trasparenza. L'integrazione è molto costosa. Richiede investimenti massicci e coordinati su più fronti: edilizia popolare per garantire alloggi dignitosi, istruzione per formare i nuovi arrivati e i loro figli, politiche attive del lavoro per favorire l'inserimento nel tessuto produttivo.

La scelta finale, dunque, è chiara e non ammette esitazioni. Sarebbe auspicabile che questa consapevolezza diventasse patrimonio di tutti, superando le sterili dispute politiche che spesso oscurano la realtà dei fatti: accettare di investire risorse, molte risorse, nel processo di integrazione. Un cittadino pienamente integrato, con diritti e doveri riconosciuti, è una risorsa per la comunità. Crea meno problemi, rispetta le leggi e può contribuire in maniera attiva allo sviluppo del Paese. Al contrario, un immigrato emarginato, senza speranze per il futuro e costretto ai margini della società, rischia di diventare un peso e, in alcuni casi, una fonte di insicurezza.


martedì 6 maggio 2025

LA TELEFONATA


Era una di quelle giornate balorde in cui il lavoro sembrava schiacciarmi sotto il suo peso. Seduto alla mia scrivania, cercavo di districarmi tra fogli e report vari, tuttavia ogni tentativo di procedere si scontrava con la complessità del compito. La mente girava a vuoto, e l’idea di chiedere aiuto a Clelia si faceva sempre più insistente. Lei era sempre così disponibile, pronta a offrire una mano quando le cose si facevano difficili. Con un sospiro, afferrai il telefono e composi il suo numero. Mentre sentivo lo squillo, un pensiero sconvolgente mi attraversò la mente: Clelia non c’era più! La collega era morta alcuni mesi prima, eppure, in quel momento, la mia mente si rifiutava di accettare quel fatto. La chiamata continuava a trillare, il mio cuore batteva forte, il dolore e l'angoscia per ciò che era accaduto a Clelia tornavano a farsi sentire. Mentre stavo per riattaccare la voce di Clelia si fece sentire dall’altra parte. Il mio mondo si fermò. Per un attimo fu tutto buio.

"Pronto?" disse lei, e io rimasi come paralizzato. Non sapevo che cosa dire, che cosa rispondere. La mia mente era un caos di emozioni, e il mio cuore si strinse.

"Clelia… sei tu?" riuscii soltanto a balbettare, attonito e incredulo.

"Ciao" rispose lei, con quella dolcezza che ricordavo così bene.

"Come... come stai?" Quelle parole assurde mi uscirono di bocca senza pensarci.

"Ci manchi tanto. Manchi a tutti noi. Ogni giorno, sempre" dissi poi, con un filo di voce.

Era tutto così irrazionale. Stavo parlando al telefono con una persona che era morta!

La mia voce tremava sempre di più, finché non si spense del tutto. Non riuscii ad aggiungere altro.

"Grazie" disse semplicemente lei, e la sua voce era calda e rassicurante.

"Non vi dovete affliggere troppo" proseguì poi Clelia. "Non sto così male. Si tratta soltanto di… un’altra dimensione. Forse".

Seguì un silenzio imbarazzante, al quale io non sapevo come reagire.

"Non chiamarmi più, per favore" disse infine Clelia, con un tono che mescolava amabilità e fermezza.

"Devi andare avanti. Dovete tutti andare oltre" aggiunse.

Le sue parole mi colpirono come un fulmine. Sapevo che aveva ragione, ma il pensiero di non poter più contare su di lei mi lasciò un vuoto incolmabile. Quella verità, che fino a quel momento non avevo voluto accettare del tutto, si riversò di colpo su di me.

"Va bene" dissi, cercando di mantenere la calma.

"Ma non scorderò mai quanto sei stata importante per me".

"E io non dimenticherò mai voi" rispose lei, e poi la linea si interruppe.

Riattaccai, il cuore pesante ma con una strana sensazione di pace. Sapevo che avrei dovuto affrontare il lavoro da solo, in quel momento e in seguito, però sentivo che Clelia era ancora con me, sebbene in un modo e in un mondo tutto suo. Piansi per qualche minuto, poi iniziai a riordinare le carte sul piano della scrivania.