Il giorno seguente David Luiz Antonio Da Silva, il grande saltatore, la gloria nazionale, riprese con umiltà ad allenarsi. Voleva farsi trovare pronto al grande appuntamento con la storia.
Cominciò facendo alcuni
giri dell'isolato, un po' camminando, un po' corricchiando in maniera sgraziata
e un po' zoppicando, trascinando come poteva la gamba offesa. Nella mano destra
reggeva una scopa di saggina, per abituarsi a portare il peso della fiaccola
olimpica. Non reagiva mai alle pesanti ironie, alle canzonature e ai dileggi
dei pochi passanti che lo riconoscevano.
"Intendi
partecipare alle Olimpiadi? Guarda che per vincere devi saltare ben più di
cinquanta centimetri!"
Oppure: "Sei stato
assunto come netturbino volante?"
Lui, stando sempre
zitto, sorrideva amaro. Tutti quei buontemponi il giorno della cerimonia di
apertura delle Olimpiadi sarebbero rimasti a bocca aperta.
Qualche giorno dopo
squillò il telefono.
"Vado io!"
urlò il vecchio catapultandosi dalla poltrona. Ebbe un giramento di testa, ma
si riprese subito e artigliò il microfono.
"Buonasera,
presidente. Come? Dice davvero? Sul serio? Oh, grazie! Grazie! Per me sarà un
autentico onore".
Sua figlia accorse
dalla cucina.
"Allora?"
domandò ansiosa. "Era lui?"
L'uomo sfoggiava un
sorriso a tutta dentiera.
"Certo che era
lui! Che ti avevo detto? Hanno scelto me!"
"Quanto sono
contenta, papà! Certo che gli altri due ci saranno rimasti male".
L'anziano scrollò le
spalle.
"Il nuotatore è
ricoverato in ospedale per una intossicazione alimentare e la donna pretendeva
di portare la fiaccola stando a cavallo! Bah, le donne..."
La figlia corse ad
abbracciarlo.
Poi venne il grande
giorno.
David Luiz Antonio Da
Silva era pronto, appena fuori dallo stadio. Il suo compito, in fondo, era
semplice. Dopo aver ricevuto la fiaccola dal penultimo tedoforo, un ex
schermidore, avrebbe fatto il suo ingresso nell'arena. Aveva insistito a lungo
per indossare canottiera e pantaloncini, gli stessi di quarant'anni prima, che
aveva conservato, ma gli organizzatori lo avevano convinto a cambiare idea.
"Signor Da Silva,
cerchi di capire, con le sue gambette..."
Alla fine aveva accettato
di infilarsi una tuta in acetato con i colori della nazionale. Aveva molto
caldo. Lo schermidore arrivò e gli consegnò la fiaccola. Da Silva la impugnò
con attenzione, non voleva certo che si spegnesse. Quanto era pesante! Strinse
i denti e iniziò a correre con andatura sghemba. Entrò nello stadio. Il boato
della folla lo tramortì. Quasi si fermò, si guardò attorno estasiato e quindi
proseguì la sua corsa da anatra zoppa. Salì alcuni gradini e si avvicinò alla
base del braciere. Adesso si trattava di avvicinare la torcia a un meccanismo
automatico che avrebbe consentito l'accensione della fiamma. Da Silva indugiò.
Un pensiero improvviso lo assalì. Quell'inaspettato momento di gloria sarebbe
durato soltanto un attimo. Il giorno dopo, quando sarebbero iniziate le
competizioni, la dura lotta per le medaglie, nessuno lo avrebbe più ricordato.
Di nuovo sarebbe stato dimenticato. E questa volta per sempre. Iniziò a salire
sulla scaletta di servizio, quella che conduceva al tripode. Piano piano, un
piolo dopo l'altro, reggendosi con una sola mano, perché nell'altra impugnava
la sacra fiaccola.
In sala regia tutti si
guardarono, sorpresi e attoniti.
"Ma che sta
facendo il vecchio? Dove sta andando? Non gli avete spiegato come doveva
comportarsi?" urlò il regista, congestionato in viso.
"Abbiamo fatto un
sacco di prove" disse un uomo accanto a lui, bianco in volto.
"E adesso che
facciamo? Come lo fermiamo? Mica possiamo mandare i poliziotti! E siamo pure in
mondovisione, cazzo!"
David Luiz Antonio Da
Silva, il più grande saltatore dimenticato del suo paese, era finalmente giunto
in cima alla scaletta di metallo. Si affacciò sul bordo dell'enorme braciere,
ancora spento. Poi si lasciò cadere dentro, reggendo forte la torcia infuocata.
Dal braciere si sprigionò un'enorme fiammata, e un potente ruggito.
Le Olimpiadi erano
iniziate.
(Fine)
Nessun commento:
Posta un commento