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giovedì 25 luglio 2024

IL TRIONFO DEL TEDOFORO (Seconda e ultima parte)


Il giorno seguente David Luiz Antonio Da Silva, il grande saltatore, la gloria nazionale, riprese con umiltà ad allenarsi. Voleva farsi trovare pronto al grande appuntamento con la storia.

Cominciò facendo alcuni giri dell'isolato, un po' camminando, un po' corricchiando in maniera sgraziata e un po' zoppicando, trascinando come poteva la gamba offesa. Nella mano destra reggeva una scopa di saggina, per abituarsi a portare il peso della fiaccola olimpica. Non reagiva mai alle pesanti ironie, alle canzonature e ai dileggi dei pochi passanti che lo riconoscevano.

"Intendi partecipare alle Olimpiadi? Guarda che per vincere devi saltare ben più di cinquanta centimetri!"

Oppure: "Sei stato assunto come netturbino volante?"

Lui, stando sempre zitto, sorrideva amaro. Tutti quei buontemponi il giorno della cerimonia di apertura delle Olimpiadi sarebbero rimasti a bocca aperta.

Qualche giorno dopo squillò il telefono.

"Vado io!" urlò il vecchio catapultandosi dalla poltrona. Ebbe un giramento di testa, ma si riprese subito e artigliò il microfono.

"Buonasera, presidente. Come? Dice davvero? Sul serio? Oh, grazie! Grazie! Per me sarà un autentico onore".

Sua figlia accorse dalla cucina.

"Allora?" domandò ansiosa. "Era lui?"

L'uomo sfoggiava un sorriso a tutta dentiera.

"Certo che era lui! Che ti avevo detto? Hanno scelto me!"

"Quanto sono contenta, papà! Certo che gli altri due ci saranno rimasti male".

L'anziano scrollò le spalle.

"Il nuotatore è ricoverato in ospedale per una intossicazione alimentare e la donna pretendeva di portare la fiaccola stando a cavallo! Bah, le donne..."

La figlia corse ad abbracciarlo.

Poi venne il grande giorno.

David Luiz Antonio Da Silva era pronto, appena fuori dallo stadio. Il suo compito, in fondo, era semplice. Dopo aver ricevuto la fiaccola dal penultimo tedoforo, un ex schermidore, avrebbe fatto il suo ingresso nell'arena. Aveva insistito a lungo per indossare canottiera e pantaloncini, gli stessi di quarant'anni prima, che aveva conservato, ma gli organizzatori lo avevano convinto a cambiare idea.

"Signor Da Silva, cerchi di capire, con le sue gambette..."

Alla fine aveva accettato di infilarsi una tuta in acetato con i colori della nazionale. Aveva molto caldo. Lo schermidore arrivò e gli consegnò la fiaccola. Da Silva la impugnò con attenzione, non voleva certo che si spegnesse. Quanto era pesante! Strinse i denti e iniziò a correre con andatura sghemba. Entrò nello stadio. Il boato della folla lo tramortì. Quasi si fermò, si guardò attorno estasiato e quindi proseguì la sua corsa da anatra zoppa. Salì alcuni gradini e si avvicinò alla base del braciere. Adesso si trattava di avvicinare la torcia a un meccanismo automatico che avrebbe consentito l'accensione della fiamma. Da Silva indugiò. Un pensiero improvviso lo assalì. Quell'inaspettato momento di gloria sarebbe durato soltanto un attimo. Il giorno dopo, quando sarebbero iniziate le competizioni, la dura lotta per le medaglie, nessuno lo avrebbe più ricordato. Di nuovo sarebbe stato dimenticato. E questa volta per sempre. Iniziò a salire sulla scaletta di servizio, quella che conduceva al tripode. Piano piano, un piolo dopo l'altro, reggendosi con una sola mano, perché nell'altra impugnava la sacra fiaccola.

In sala regia tutti si guardarono, sorpresi e attoniti.

"Ma che sta facendo il vecchio? Dove sta andando? Non gli avete spiegato come doveva comportarsi?" urlò il regista, congestionato in viso.

"Abbiamo fatto un sacco di prove" disse un uomo accanto a lui, bianco in volto.

"E adesso che facciamo? Come lo fermiamo? Mica possiamo mandare i poliziotti! E siamo pure in mondovisione, cazzo!"

David Luiz Antonio Da Silva, il più grande saltatore dimenticato del suo paese, era finalmente giunto in cima alla scaletta di metallo. Si affacciò sul bordo dell'enorme braciere, ancora spento. Poi si lasciò cadere dentro, reggendo forte la torcia infuocata. Dal braciere si sprigionò un'enorme fiammata, e un potente ruggito.

Le Olimpiadi erano iniziate.

                                                       (Fine)

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