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lunedì 15 luglio 2024

GIUDIZIO UNIVERSALE

Una formica non può combattere contro un gigante. Non ha nessuna possibilità di spuntarla: il suo destino è quello di rimanere schiacciata, annientata. Le formiche siamo noi, i poveri abitanti del pianeta Terra.

Accidenti, li abbiamo aspettati da sempre, abbiamo sperato di incontrarli, li abbiamo quasi invocati, e alla fine sono arrivati davvero. Ma con loro è arrivato per noi il giorno del giudizio. Un giudizio che non sarà benevolo. Toccherà a me, oggi, accompagnare il Presidente Harvey, il responsabile pro-tempore del governo mondiale, all'incontro con il capo di... quelli. Non sappiamo il suo nome, forse perché loro non hanno nomi. Toccherà a me, in qualità di principale assistente del vecchio Harvey.

Paura? No, non ho assolutamente paura. Non nutro alcun timore perché loro sono buoni. Sono talmente buoni che hanno deciso di distruggerci. Lo faranno, se davvero lo faranno, per il nostro e per il loro bene, per il bene di tutti gli abitanti dell'Universo, che abbiamo scoperto essere numerosi.

Dicono di noi che siamo malvagi, che uccidiamo i nostri simili, che siamo avidi, egoisti e prepotenti. Che non siamo generosi, che ci cibiamo di altri esseri viventi, che stiamo devastando il pianeta, e che non abbiamo il diritto di farlo. Hanno ragione, corrisponde tutto al vero. Non meritiamo di esistere.

Sappiamo che il verdetto finale ci sarà sfavorevole, siamo consapevoli che il giudizio ci condurrà allo sterminio. Non nutriamo più speranze, siamo ben coscienti di essere colpevoli.

Avremmo potuto reagire? Avremmo potuto contrastare questi esseri giunti dalla profondità del cielo? Queste strane creature tanto diverse da noi ma tanto più intelligenti e più evolute sul piano etico?

No, non lo avremmo potuto fare, e infatti non ci abbiamo neppure provato. Ci siamo arresi senza condizioni, ci siamo limitati a implorare pietà. Non è questione di compassione, ci hanno spiegato con pazienza. Loro provano una grande pena nei nostri confronti, perché sono esseri molto empatici. Si tratta piuttosto di una questione di giustizia, di giustizia universale, e dunque la nostra condanna è inevitabile.

Siamo arrivati. Siamo soli, soltanto io e il Presidente, perché così hanno voluto. Nessun altro accompagnatore, nessuna cerimonia, nessuna scorta. Loro sono molto sobri, pretendono la stessa cosa anche da noi. Harvey è livido in volto, privo di ogni colore. È vero, è un uomo anziano, stanco, ha più di cent'anni, ma mai avrebbe pensato di essere lui, nel corso del proprio mandato, il liquidatore della specie umana. La portinaia dello stabile ci sta aspettando, con la scopa in mano. Sta pulendo le scale.

Gli alieni hanno scelto come loro quartier generale terrestre un alloggio sfitto in un modesto condominio di periferia. Erano state offerte loro le sedi diplomatiche più prestigiose, più lussuose, i più bei palazzi, castelli, ville storiche, situati in tutto il mondo, ma loro hanno rifiutato. Che cosa c'è che non va in questo palazzo?, avevano detto, sinceramente stupiti dalla nostra insistenza.

Soltanto due di loro sono scesi sul nostro pianeta, il capo e un assistente. Tutti gli altri sono rimasti sulle migliaia e migliaia di navi che stazionano in cielo, talmente tante che non si vede più il sole.

La portinaia fa un inchino al Presidente, ci indica di salire. Vi stanno aspettando, dice, poi riprende a spazzare i gradini.

Entriamo nel piccolo appartamento. Le due creature sono nel soggiorno, sedute, anzi appoggiate sul logoro divano. Quello che deve essere il capo inizia a parlare.

Come facciamo a comprenderci? Non chiedetelo a me. So soltanto che, grazie ai loro tecnici, e ai loro scienziati, fin dal loro arrivo siamo stati in grado di scambiare informazioni. Fosse stato per noi, per la nostra primitiva civiltà, non ci sarebbe mai stata alcuna possibilità di dialogo.

L'alieno ci conferma ciò che già ci era stato anticipato: abbiamo troppe colpe, abbiamo commesso troppe nefandezze, non meritiamo di vivere. È rimasto loro soltanto un piccolo dubbio, aggiunge.

Proprio in quell'istante, dall'appartamento vicino (il palazzo è popolare, i muri sono sottili) filtra una musica, una dolce melodia, una voce di tenore accompagnata dal pianoforte.

Un attimo, dice la creatura. Poi comincia a emettere degli strani gemiti, ruota su se stessa, secerne dalla sua pelle un liquido vischioso e maleodorante. Lo stesso, anche se in misura minore, succede al suo assistente, che ci prega con un sussurro di accomodarci nella stanza accanto.

Dopo quasi mezz'ora ci richiamano. Nel frattempo, io e il Presidente Harvey non abbiamo scambiato una sola parola. Non riusciamo a capire ciò che sta accadendo.

Scusate, ci dice l'alieno, il capo.

Vi siete sentiti male?, domanda Harvey.

No, tutt'altro, risponde l'assistente. Ascoltando quei suoni, io e il mio capo ci siamo... commossi, come dite voi. Quei suoni hanno un nome?

Non saprei, risponde il Presidente, guardando me, e sperando in un mio aiuto. Che arriva, perché ho riconosciuto la melodia.

È un'aria d'opera, dico. Se vi può interessare, è tratta da un lavoro del compositore Georges Bizet.

Il nome, il nome del pezzo, dice la creatura, devo catalogarlo!

Je crois entendre encore, dico. Harvey mi guarda, annuisce riconoscente e sollevato.

L'alieno riprende a parlare.

Vedete, dice, il dubbio nei confronti della vostra civiltà era proprio legato a ciò che voi chiamate musica. In tutto l'universo conosciuto nessun popolo è in grado di accostare i suoni come fate voi. Esistono artisti geniali in tutti i campi, ma non in questo. Voi rappresentate una unicità che forse, e sottolineo forse, va conservata. Abbiamo intenzione di darvi ancora una possibilità, una piccola possibilità. Voi tutti, nei prossimi cent'anni terrestri, dovrete dedicarvi esclusivamente alla musica. Dopodiché noi torneremo e vi giudicheremo di nuovo. Andate, adesso, e diffondete il nostro messaggio. Noi ce ne andremo, e sarete di nuovo soli. Ricordate, questa è la vostra ultima opportunità di sopravvivere. E dite a quel vostro Bizet di fabbricare molte altre musiche come quella che abbiamo ascoltato.

Usciamo. Sono contento di avere contribuito, in un certo senso, alla salvezza dell'umanità. Cerco di condividere questa mia immensa gioia con Harvey, ma vedo che il Presidente è cupo e affranto.

Cent'anni!, dice. E poi la distruzione non potrà comunque essere evitata. Ti immagini? Tutti a comporre musica per cent'anni. Ma quanti sono gli esseri umani in grado di comporre musica? Uno su mille? Uno su diecimila? Uno su un milione? Abbiamo semplicemente prolungato la nostra agonia!

Sconsolato, rifletto. Forse il Presidente ha ragione. Era meglio farla finita subito. Tra l'altro, non abbiamo neppure avuto il coraggio di dire all'alieno che Bizet è morto da più di duecento anni.


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