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lunedì 27 maggio 2024

IL MURO

 

Scorgemmo quasi subito il muro. Rimanemmo attoniti, quella costruzione non doveva esserci, non poteva esserci. Non lì. Era alto quasi tre metri e si estendeva per almeno un chilometro. Era stato fabbricato con grossi mattoni, utilizzando quella sabbia rossiccia che era dappertutto intorno a noi. Sembrava antico, ma era ancora solido. Il capo della spedizione diede l'ordine ad alcuni di noi di aggirarlo, per vedere che cosa potesse esserci dietro. Non c'era nulla. Soltanto pietre e sabbia. Mentre mi trovavo dall'altra parte del muro provai una sensazione strana. Si trattava di una specie di risentimento per i compagni che erano rimasti dalla parte opposta. Provai addirittura odio per alcuni di loro, senza alcun motivo razionale. Avevamo passato anni ad addestrarci per quella missione. Eravamo tutti molto legati, tra noi c'era autentica amicizia. Avevamo condiviso gioie e dolori, speranze e delusioni, e proprio adesso che avevamo coronato il nostro sogno li detestavo. Senza condividere tra noi in maniera esplicita lo sgomento, nonostante la certezza che fosse sensazione comune, ci affrettammo a tornare dall'altra parte del muro. In qualità di responsabile della squadra, toccò a me fare rapporto al capo spedizione. Il maggiore mi apparve turbato. Appena mi ero avvicinato a lui si era scansato, come se avesse paura di me. Aveva subito ripreso l'autocontrollo, mi aveva invitato a riferire. Poco alla volta, mentre stavo parlando, la sua espressione si era rasserenata. Anch'io, a quel punto, sentivo di aver ritrovato la tranquillità. Ciò che era accaduto in precedenza era soltanto uno spiacevole ricordo. Anche le altre squadre avevano terminato la breve esplorazione di quel settore. Il muro era stato eretto nel nulla. Attorno, e oltre, non c'erano resti di altre costruzioni. Non riuscivamo a comprendere quale potesse essere la sua funzione. Ci avrebbero pensato gli esperti al nostro ritorno a tentare di decifrare quell'enigma. Prima di proseguire, documentammo con cura ciò che avevamo scoperto con rilevazioni, filmati e fotografie. Al termine il comandante ordinò di creare un varco nel muro, un'apertura che potesse permettere di vedere dall'altra parte. Sbigottiti, gli uomini protestarono in tutti i modi. Non si poteva rovinare un manufatto di tale importanza. Lui fu irremovibile, disse addirittura che la soluzione migliore sarebbe stata quella di abbattere completamente quella costruzione, ma che non avevamo gli strumenti adatti per farlo. In futuro occorrerà comunque procedere in tal senso, concluse. I miei compagni, a malincuore, scontenti, si apprestarono a eseguire l'ordine. L'unico che non aveva tentato di opporsi alla disposizione del capo spedizione ero stato io. Non l'avevo fatto perché avevo capito. Quel muro non doveva esserci, non poteva esserci. Non lì. Eppure c'era, incombeva su noi e in qualche modo condizionava le nostre coscienze, la nostra consapevolezza, la nostra percezione degli altri. Non potevamo permettere questo. Non anche su Marte.


lunedì 20 maggio 2024

RUOTE VELOCI


E tu chi saresti? Un giornalista? Ah, dimmi, dimmi...

Mi chiedi se siamo dei pazzi? Sarebbe questa la tua prima domanda? Certo che sei un bel tipo! Comunque la risposta è sì, siamo dei pazzi, noi velocisti, noi ruote veloci, siamo dei pazzi furiosi.

Devo spiegarlo? C'è bisogno di spiegarlo? Va bene, ti accontento, ti accontento perché mi sei simpatico. Siamo dei pazzi perché nessuno sano di mente si lancerebbe a settanta chilometri l'ora su un rettilineo, su due sottili ruote, grugnendo per lo sforzo, ondeggiando, sgomitando e sbavando, cercando di tagliare per primo il traguardo. Capito perché siamo un po' tocchi?

Quanto è importante per noi velocisti l'ultimo uomo? L'uomo-guida? Insomma, il compagno che ci lancia la volata? Ma che razza di domanda! Ma tu lo segui il ciclismo? Il rimorchiatore, perché l'ultimo uomo io lo chiamo così, è fondamentale! Senza di lui siamo dei pesci fuor d'acqua, non sappiamo che fare, dove andare. Abbiamo bisogno di essere presi per mano, per così dire, di essere guidati fino a pochi metri dalla linea d'arrivo. Soltanto allora si può scatenare la bestia che è in noi! Quando giunge il momento di produrre l'ultimo sforzo, di pestare le ultime tremende pedalate, quelle che fanno tremare la bicicletta, quelle che minacciano di sbriciolare il telaio, prima dell'ultimo colpo di reni. E sai qual è la cosa più buffa? Se ho vinto anche per un solo centimetro io lo capisco subito, non ho bisogno del fotofinish, tutto il mio corpo lo sente.

La salita? Che cosa c'entra la salita? Perché mi fai questa domanda del cazzo? Lo sai bene che in salita io cerco solo di salvarmi, di non accumulare troppo ritardo, di non andare fuori tempo massimo. Hai presente le gambette degli scalatori? Sì? Bene, allora guarda le mie cosce. Come faccio a portare su, percorrendo strade con pendenze al quindici per cento e più, questi prosciuttoni? Tanti muscoli, vero, ma anche più peso, molto più peso. Capito? Non hai qualche domanda più intelligente da fare?

Se ho paura? Certo che ho paura! Sarò pazzo, ma sono pur sempre un essere umano. Ne ho ben due di paure! Come dici? Paura di cadere? Tutti i ciclisti hanno paura di cadere, quindi è un po' come se non ce l'avesse nessuno. Comunque un po' timore di cadere ce l'ho, ma il mio vero terrore è quello di essere travolto da quella mandria di bisonti impazziti su due ruote che mi sta dietro durante le volate. Di essere fatto a pezzi, sepolto sotto corpi e rottami di biciclette. Come faccio a superare quest'ansia? Penso che non cadrò mai. Finora ha funzionato...

L'altra paura? Ah, questa è davvero brutta. A volte immagino di arrivare per primo alla linea bianca, di tagliare il traguardo, e poi... Scusa, fatico un po' a proseguire, per me si tratta di un vero e proprio incubo. Va bene, continuo. Immagino che subito dopo il traguardo ci sia una barriera, una barriera trasparente che non ho potuto vedere e... Scusa, finiamola qua... Stammi bene, devo andare a fare la doccia e poi i massaggi...

lunedì 13 maggio 2024

L' AUTOMOBILE NUOVA

Ho tra le mani i documenti di acquisto. Li scorro, nell'ultima pagina è indicato il prezzo dell'autovettura: cinquecento euro. La mia intenzione non era quella di spendere così poco. Non è per risparmiare che alla fine ho accettato di acquistare questa automobile. L'ho fatto, e non so il perché. La macchina, in realtà, non l'ho neppure vista. Sto andando adesso all'autosalone a ritirarla. Mi dovrà piacere per forza, non c'è possibilità di tornare indietro. Io volevo acquistare un'auto come quelle di adesso, con tanta plastica e tanta elettronica, ma non ci sono  riuscito. Gli eventi sono andati in una direzione che non ho potuto fare a meno di seguire. Ecco, sono arrivato a destinazione. Il venditore che mi accoglie porta le basette lunghe, come si usava alcuni anni fa, e indossa un completo blu un po' stazzonato.

"La sua automobile è sotto, al coperto" dice.

Lo seguo. Un grande ascensore ci conduce nel seminterrato.

Camminiamo per qualche decina di metri in mezzo a un mare di autovetture. Quando siamo quasi arrivati in fondo all'immenso salone il basettone si ferma.

"Ecco, la sua è questa" dice, con enfasi.

Guardo l'auto. È di colore rosso, e io odio il colore rosso, almeno quanto il giallo. Riconosco il modello, si tratta di una FIAT 124 familiare. Davanti, sul frontalino, sono avvitati due fari antinebbia, rotondi. Sul tettuccio è montato un enorme portabagagli.

"Se vuole, ci può caricare pure un armadio" dice il venditore.

Non ho armadi da caricare, per cui non gli bado. Noto che la carrozzeria, un po' rovinata, è stata lucidata in maniera approssimativa, le numerose cromature sono opache. Sbircio l'interno, attraverso un finestrino socchiuso. Il volante è rivestito di cuoio. I sedili in finta pelle, soprattutto quello del guidatore, appaiono consumati. Quando mi sposto sul lato sinistro della vettura non riesco a trattenere una esclamazione di stupore. Sotto la fiancata, tra le ruote, spunta una marmitta color ottone. Sembra la parte finale di un sassofono e sporge di almeno una ventina di centimetri. La indico al venditore, senza dire nulla. Lui annuisce, compiaciuto.

"Sentisse che rumore!" esclama. "Occorre soltanto fare attenzione ai pedoni, a non falciarli".

Sono sempre più sbigottito. Che cosa ho fatto? Che automobile ho comprato?

Per buona sorte mi sveglio. Sì, era soltanto un sogno. Mi sono destato all'improvviso, prima che la visione si trasformasse in incubo. È piena notte, decido di alzarmi per bere un po' d'acqua. Giunto in cucina, noto sul tavolo i documenti di acquisto dell'automobile nuova. L'ho comprata ieri, l'operazione mi ha impegnato tutto il pomeriggio, ecco spiegato il perché di quel sogno. E poi, soddisfatto per l'acquisto, ieri sera ho un po' esagerato a cena. Mentre bevo l'acqua, sfoglio distrattamente i documenti. Da nessuna parte vedo indicati marca e modello dell'auto nuova. Un po' in affanno proseguo e, arrivato ormai all'ultima pagina, leggo il prezzo di acquisto dell'automobile nuova: cinquecento euro. 

 

lunedì 6 maggio 2024

LA SCELTA


 

Nessuno ormai ha memoria di quando fu fatta la scelta, e di quella decisione non esiste alcuna traccia scritta. Noi non lasciamo nessun segno, nessun segno che possa rimanere. Quel che è sicuro è che, all'epoca, la discussione fu lunga e la risoluzione finale sofferta. Non tutte le comunità esistenti erano d'accordo, talune protestarono con forza, difesero le loro idee, alla fine si piegarono a malincuore a quanto stabilito dalla maggioranza. Da allora la scelta non fu più messa in discussione.

Si decise di non sviluppare la scienza e la tecnologia. Eppure ne avremmo avuto così bisogno! Allora, come adesso, molti di noi muoiono in giovane età, non c'è alcuna possibilità di curare la gran parte delle malattie. La mancanza di ingegnosità pesa di meno. Avremmo potuto costruire macchine di ogni tipo, per spostarci, per alleviare le nostre fatiche, ma non lo abbiamo fatto. Ci piace pensare che, se ci fossimo applicati, saremmo stati in grado di farlo. Qualcuno, tuttavia, lo mette in dubbio. Chissà se ha ragione oppure no.

La scelta comportò, inevitabilmente, l'adozione di una misura che può apparire crudele. Tutto sarebbe stato inutile senza un rigido controllo delle nascite. È stato messo in pratica, ha funzionato. Il totale degli individui presenti sul pianeta non supera mai i due milioni di unità. Non si può andare oltre, sarebbe pericoloso.

Abbiamo rinunciato a scienza e tecnologia, ma non ad ampliare il pensiero, non ad accrescere lo studio delle arti. Non si può rinunciare alla bellezza. Si è sviluppata, in particolare, quella che viene chiamata creatività effimera. Pittori, scultori, letterati e musicisti producono opere che hanno durata transitoria. Dopo poco tempo sculture e dipinti svaniscono, la musica è diffusa soltanto nell'aria, le opere letterarie tramandate oralmente. Della nostra civiltà non deve rimanere alcuna traccia, perché prima o dopo spariremo, tutto ha un inizio e una fine.

A volte, la sera attorno al fuoco, i ragazzi rivolgono qualche domanda audace. Chiedono che cosa sarebbe accaduto se non fosse stata fatta la scelta. Nessuno lo sa, tuttavia i più anziani azzardano qualche risposta, per cercare di soddisfare l'innata curiosità degli individui più giovani, che sono pochi e preziosi.

Forse la Terra sarebbe un Paradiso, dicono, con miliardi di persone a popolarla. Ci sarebbero grandi insediamenti umani ovunque, la tecnologia e la scienza permetterebbero di fare qualsiasi cosa, viaggiare a grande velocità, addirittura in cielo e nei mari, comunicare a distanza, diventare immortali o quasi, essere onnipotenti.

Oppure la Terra sarebbe un Inferno, aggiungono, i troppi individui esaurirebbero in breve tempo le riserve del pianeta, lo inquinerebbero fino a renderlo invivibile, finirebbero con il farsi la guerra, a uccidersi, a distruggere tutto.

Di fronte a queste ultime parole i giovani spalancano la bocca, increduli, spaventati. Non sanno cos'è l'inquinamento, che cos'è la violenza, come non lo sa nessuno di noi, ma ne hanno paura, tutti ne abbiamo terrore. Sono percorso da brividi, mi stringo nella pelliccia d'orso e mi avvicino al fuoco.

Dio benedica una volta di più gli uomini saggi che diedero vita alla scelta.