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venerdì 30 marzo 2018

STUPIRSI


Da tanto tempo, ormai, si è persa la capacità di stupirsi.
Quella di sbalordirsi, di restare strabiliati di fronte a qualcosa, è una caratteristica tipica dell’età infantile. È raro ritrovarla in un adulto, in una persona vissuta, in chi ha avuto modo di saggiare e patire le innumerevoli asperità dell’esistenza.
Spalancare gli occhi, sostare incantati a osservare una giostra, una gru, oppure un buffo animale è cosa da bambini, peculiarità di uno sguardo innocente, limpido e non ancora corroso da brutture e da vicende tristi.
Nell’individuo maturo, in tali occasioni, scatta invece spontaneo il disincanto, la capacità di astrarsi, di provare il necessario distacco dalla situazione. E così la giostra si trasforma in un chiassoso marchingegno che ferisce i timpani, nulla di più, e niente che abbia invece a vedere con il divertimento, con un aspetto ludico che non può più essere colto. E la gru non è un magico macchinario, un attrezzo prodigioso bensì un bieco strumento di oppressione e di fatica per lo sventurato e infelice operaio addetto alla manovra. Infine il cane, quel grosso cane festante dal pelo ispido, ispira più tenerezza che gioia o sbalordimento.
Chi è colmo di cicatrici, di una dura scorza che ricopre ferite dell’anima ormai rimarginate ma che ne hanno intaccato l’essenza profonda, non può più trovare ricovero nella sorpresa, ma ineluttabili subentrano l’indifferenza e l’incapacità di rimanere colpiti, di meravigliarsi.
Eppure, quella corazza che riveste il fragile corpo, quell’armatura coriacea e invisibile è l’unico possibile congegno di difesa, un dispositivo immateriale che permette di attraversare l’esistenza senza subire danni estremi, definitivi.
In fondo, il fatto di non rimanere mai di stucco, di non sorprendersi più di nulla, né del bene né del male, è ciò che consente di vivere.
È triste, comunque, dover pensare di avere smarrito qualcosa, per sempre, in maniera irrimediabile.



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