Il ragazzo ha trascorso
l'intera estate correndo tra i campi, da solo o in compagnia dei suoi cani. Ha
visto trebbiare il grano e ha preso parte all'ultima fienagione. Adesso è tutto
finito, è arrivato il momento del ritorno a scuola.
Quel mattino si desta a
fatica. Con gli occhi ancora cisposi siede al tavolo per la colazione. A
differenza dei giorni precedenti, non ha fame. Manda giù qualche biscotto, beve
un po' di latte, poi si veste. Indossa una maglietta a righe orizzontali un po'
fuori moda, con le punte del colletto troppo lunghe, poi infila i calzoni di
cotone leggero stirati alla perfezione. I capelli, che non ha lavato, avrebbero
bisogno di una aggiustata.
"Vai dal
barbiere!" Sua madre ha trascorso l'intera ultima settimana a pronunciare
quell'esortazione ma lui non ne ha voluto sapere. Adesso, mentre si osserva
allo specchio, è pentito. Ma è troppo tardi.
"Vuoi che ti
accompagni?" domanda suo padre, premuroso. Lui rifiuta. Preferisce
camminare, per cercare di alleviare quella strana tensione nervosa che lo sta
assalendo. Sta per iniziare il secondo anno delle superiori, non il primo. Non
dovrebbe sentirsi così in apprensione.
Quando arriva nel
piazzale della scuola tutta quella folla lo confonde. Il rumore delle voci è
assordante. Le risate e gli schiamazzi lo stordiscono. Scorge Giulio, che
l'anno prima è stato suo compagno di banco, e si avvicina a lui. Gli sembra più
alto, più grosso, più uomo. Giulio quasi non gli dà retta, impegnato com'è a
guardarsi attorno, a salutare altri ragazzi.
"Avremo dei
compagni nuovi" dice all'improvviso, poi si distrae di nuovo.
Inizia l'appello delle
classi. Il ragazzo sente pronunciare il numero e la lettera che corrispondono
alla sua e si avvia su per lo scalone, entra nell'atrio. Nessuno dei suoi vecchi
compagni, a parte Giulio, lo ha salutato.
Entra in classe, la stessa
vecchia aula, e si accomoda allo stesso banco. Giulio invece si siede in un
altro banco, giù in fondo. Il ragazzo osserva i suoi compagni, quasi non li
riconosce. Quando vede Giuseppe rimane meravigliato. Lo zimbello della classe
sembra un'altra persona. È più alto di almeno dieci centimetri, o quasi, e non
è più grasso. Anche il suo viso si è trasformato. Le sue gote non sono più
paffute bensì affilate e ricoperte da una lieve peluria. Non indossa più il
solito maglione informe ma una camicia portata fuori dai pantaloni e dei jeans
sbiaditi. Subito alcune ragazze gli si avvicinano. Lo toccano, lo baciano,
scherzano con lui. Le ragazze! Le ragazze, le sue vecchie compagne, fanno paura
per come sono abbigliate e truccate e per come si muovono sicure. Il ragazzo
vede alcune facce nuove, i nuovi compagni di cui parlava Giulio. Sono nuovi
perché l'anno precedente sono stati bocciati. I loro volti tuttavia non sono
contriti come dovrebbero essere ma allegri. Tutti si affollano intorno a loro,
li vogliono conoscere. Sono trattati come degli eroi. Nota in particolare una
ragazza un po' robusta, con la pelle scura e lunghi capelli neri. Parla e parla
e gesticola, sembra impegnata in un comizio. Cazzo, sembra mia madre, pensa il
ragazzo.
Alla fine nessuno dei
compagni si è seduto accanto a lui. Nemmeno uno di loro è venuto a parlare con
lui, a chiedergli come aveva trascorso l'estate.
Suona la campanella, la
prima ora di scuola del secondo anno sta per iniziare. Sarà un anno lungo,
pensa il ragazzo, sarà un anno lungo e pieno di sofferenza. Durante quell'estate
che a lui è sembrata così meravigliosa e spensierata si è prodotto un danno.
Lui ha perso qualcosa, è rimasto indietro rispetto a tutti gli altri. E
recuperare è sempre difficile.
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