Ogni giorno, al
risveglio, il suo primo pensiero è sempre lo stesso: la fine del mondo. L'uomo,
dopo avere aperto gli occhi, si domanda mattino dopo mattino perché l'umanità,
a dispetto della sua natura corrotta e malvagia, continui a esistere. La
risposta è sempre la stessa: il merito è dei giusti, una esigua minoranza di
esseri illuminati i quali, con i loro piccoli e in apparenza insignificanti
atti quotidiani, rallentano e impediscono la folle corsa del genere umano verso
l'autodistruzione.
L'uomo si alza e apre
la finestra. Osserva le persone che camminano per la strada, si chiede se fra
loro ci sia qualche giusto. Forse sì, oppure no. Loro sono così pochi. Non ne
hai mai incontrato uno, o non è stato in grado di riconoscerlo.
L'uomo si avvia in
bagno e, mentre si rade, guarda la propria immagine riflessa nello specchio. Il
volto che vede, stanco e sofferente, con gli occhi ancora gonfi di sonno, è
quello di un giusto? Non sa rispondere con esattezza, ma pensa di no.
Poi afferra la borsa ed
esce per andare al lavoro. Durante il tragitto verso l'ufficio si ferma in un
bar per fare colazione. Le persone che lo circondano sembrano tutte avere
fretta. Ognuna di loro non bada agli altri. Tutti guardano senza vedere,
concentrati soltanto sui propri impegni, chiusi nel proprio egoismo, prigionieri della loro indifferenza.
No, tra di loro non c'è nessun giusto, ne è sicuro.
Quando l'uomo arriva in
ufficio si sente già stanco. L'umanità, da un po' di tempo, lo affatica. Si
domanda se tra i suoi colleghi di lavoro possa esserci qualche giusto.
Frequenta quegli uomini e quelle donne da tanto tempo, ne conosce i pregi e
soprattutto i difetti. Nessuno di loro si distingue per bontà o generosità o
per qualche altra rimarchevole qualità. In apparenza, comunque, sembrano essere
tutti brave persone. Invece, appena offre loro la schiena, l'uomo viene
pugnalato senza pietà. Nessuno di loro è un giusto. E neppure lo è il suo capo,
un uomo che pensa soltanto a se stesso, al suo gretto tornaconto, che non perde
occasione di umiliare i suoi collaboratori, di sopraffarli, di farli sentire
inadeguati.
La giornata di lavoro
trascorre lenta, vuota e triste. Finalmente giunge l'ora di scappare da quella
prigione, la pena è sospesa fino all'indomani.
L'uomo si ritrova di nuovo
per strada, tra le gente che cammina intorno a lui, fredda e distaccata. Cerca
di incrociare gli sguardi delle persone, di cogliere in quella moltitudine di
occhi indizi di amabilità, scintille di nobiltà umana, schegge di integrità.
Invano. Rassegnato e sconfortato, l'uomo si dirige mesto verso casa. Un altro
giorno è trascorso, un altro giorno inutile. Non ha incontrato nessun giusto.
Si augura che non siano tutti scomparsi, che qualcuno di loro ci sia ancora, che
continui ad agire per il bene dell'umanità. In caso contrario, la fine del
mondo sarà prossima e inevitabile.
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