Dura la vita da
scapolo. Giorno dopo giorno si cerca di protrarre il più possibile l'ora di
uscita dal lavoro, dove si è in piacevole compagnia, dopodiché si vagabonda a
vuoto attraverso la città per almeno un paio di ore, tanto che si esaurisce la
voglia di andare in qualche supermercato allo scopo di raccattare a casaccio
cibo spazzatura destinato a occupare in maniera triste i ripiani del
frigorifero, luogo freddo e desolato.
Adesso sono quasi le
otto di sera, ho una fame tremenda, dunque non mi rimane che recarmi dal mio
amico Oreste, il gestore dell'omonimo bar-trattoria. Un epilogo scontato, ormai
abituale, delle mie giornate.
Il locale è rumoroso,
pieno di gente, caotico, ammorbato da odore di cibo. Mi avvicino al bancone
dietro al quale Oreste dirige la sua dissonante orchestra.
"È rimasto un
posticino per me?" gli domando.
Lui mi guarda
preoccupato, poi dà un'occhiata verso i tavoli, sempre più corrucciato.
"È pieno
zeppo" dice. "Non sei capitato in un bel momento".
"Merda, ma io ho
fame!" mi lamento con tono infantile.
Oreste mi zittisce con
un gesto.
"Aspetta, potresti
chiedere a quel signore che sta cenando da solo se è disposto a ospitarti al
suo tavolo".
"Chi è?"
"Oh, è uno di
quelli" dice il mio amico, abbassando la voce.
"Un omosessuale?"
"Ma no! È un
mangiatore d'erba".
"Un vegetariano?
Un vegano?" domando, curioso.
"Non chiedere a
me, di quelle cose non capisco nulla. So soltanto che non mangia né carne né
pesce né uova né formaggio. Mi limito a servirgli roba verde e lui sembra
soddisfatto. Non ho mai capito se mangia le patate oppure no e non ho mai avuto
il coraggio di chiedere".
"Credo le mangi, e
pure le carote" inizio a dire quando intravedo Marzia, la giovane cuoca di
Oreste, che sbuca dall'inferno della cucina. Il suo viso, sebbene sudato e
congestionato, è grazioso come sempre. La ragazza si sporge dal bancone e mi
stampa un bacio in fronte. Poi appoggia le mani ai fianchi.
"Allora, che cosa
ti preparo?" chiede.
Sorrido.
"Il solito: una
bistecca enorme, spessa tre dita e cotta al sangue, con una montagna di
patatine fritte".
Lei annuisce, allunga
la linguetta maliziosa e sparisce in cucina, di corsa.
Mi reco al tavolo
indicato da Oreste.
"Buonasera"
dico. "Mi ospiterebbe al suo tavolo? Sa, il locale è pieno e..."
L'uomo smette di
masticare, posa la forchetta e mi guarda. Avrà cinquant'anni, i tratti del viso
affilati, i capelli radi e già grigi, una barbetta a punta della stesso colore.
Sembra una capra.
"Volentieri"
dice con voce sottile e dal timbro metallico. "È sempre piacevole mangiare
in compagnia".
Lo ringrazio.
"Le devo dire una
cosa" aggiungo. "Io non sono vegetariano, o vegano, spero quindi non
le dia fastidio se..."
Mi zittisce con un
cenno.
"Non ho nessun
problema" dice. Rincuorato, mi siedo.
"Lei è molto
tollerante" dico.
"Perché?"
chiede lui inforcando delle foglie di insalata.
"Di solito chi non
mangia carne assume posizioni integraliste, stigmatizza i comportamenti diversi
dai suoi, tenta di insinuare negli altri sensi di colpa, oppure cerca di fare
proseliti".
"Non è il mio
caso" dice, attaccando un enorme piatto di spinaci. "Mi limito a non
cibarmi di alcuna specie animale, le altre persone sono libere di fare quel che
meglio credono".
Annuisco compiaciuto.
Il cameriere, trafelato, mi porta il piatto. Dalla mia bistecca si spande un
profumo invitante. Per me. Sbircio un po' allarmato il mio commensale: è
impassibile. Taglio la spessa fetta di carne a metà, vedo minuscole gocce di
sangue che trasudano dalla polpa, giudico la cottura perfetta. Brava Marzia.
Porto alla bocca un grosso pezzo di carne, mastico estasiato. E poi le
patatine, fritte nel grasso, e una lunga sorsata di birra ghiacciata.
"È da tanti anni
che non mangia carne?" domando al mio compagno di tavolo dopo aver
inghiottito il boccone.
"Sì, tanti"
risponde lui rimanendo con la forchetta a mezz'aria, colma di zucchine.
"Quindi non si
ricorda più com'é il sapore".
"No, non me lo ricordo
più".
"E dunque non si
ricorda nemmeno più se un tempo le piaceva" aggiungo.
Lui smette di
masticare, posa forchetta e coltello con un gesto brusco e mi pianta gli occhi
addosso.
"Certo che mi
piaceva" dice alzando un po' la voce. "E mi piace tutt'ora! Non ho
mai detto che non mi piace la carne! Ho detto soltanto che non mangio carne di
alcuna specie animale!"
Alcuni avventori si
girano a guardare. Mi sento un po' in imbarazzo.
"Io amo la
carne umana!" prosegue faccia di capra, sempre più infervorato. "La adoro!
Il fatto è che non la posso mangiare. No, non la posso mangiare, purtroppo. È
proibito, dicono". Poi rivolge il suo sguardo a un piattino colmo di
cetrioli, ne infilza uno con rabbia e lo porta alla bocca.
Colto da nausea
improvvisa, mi alzo e scappo di corsa verso la toilette.
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