Corre, lo spread corre. Oh
come corre!
Berlusconi: “L’Italia è il paese che amo.”
Una lunga distesa
pianeggiante. Lo spread accelera.
Berlusconi: “L’Italia è il paese che ho distrutto.”
Il concorrente francese e
quello tedesco sono ormai dietro. Sorridono.
Bossi: “La Lega si rifarà la verginità perduta. Prrr…”
Avanti, sempre avanti,
aggredendo la strada.
Bossi: “Secessione. Il parlamento del nord. I nostri
ministeri! I fucili! Fanculo il tricolore! Prrr… Prrr…”
Lo spread è sulla scia del
portoghese. Aumenta l’andatura. Lo supera.
Casini: “È necessario che tutti siano consapevoli della
gravità del momento. Occorre salvare l’Italia. Basta giochini.”
È di nuovo solo. Le gambe
girano bene.
Casini: “Freghiamo gli elettori al Pd oppure a quel pirla di
Berlusconi? Perché non a entrambi?”
Davanti a lui c’è un’ombra,
è ancora lontana, ma la distanza si riduce. Lo spread sbuffa, incassa le spalle
e aumenta l’andatura.
Fini: “C’è bisogno di politici con senso dello Stato, e che
abbiano a cuore la legalità e il rispetto per le istituzioni.”
In discesa. I muscoli sono
contratti, un po’ affaticati. Occorre soffrire.
Fini: “ Dimissioni, dimissioni. Ma alla fine si è dimesso
quel gran coglione. Se non ci fossero tutti ‘sti casini me ne andrei volentieri
qualche giorno a Montecarlo…”
Supera di slancio lo
spagnolo e quasi non se ne accorge. Lo spread ora si sente di nuovo bene. La
sua corsa è tornata fluida.
Bersani: “Il momento è gravissimo. Ognuno dovrà assumersi le
proprie responsabilità. Fino in fondo.”
Non manca molto. L’importante
è distribuire bene le ultime energie.
Bersani: “E adesso che cazzo facciamo? Ooohhhiiii….”
Una salita. Lo spread è
sorpreso, proprio non se l’aspettava. Una smorfia.
Di Pietro: “Appoggio no ma anche sì. Valuteremo la squadra e
i programmi, oppure no. O forse sì.”
Monti, monti e ancora
monti. Piano piano li scala tutti. Lui, lo spread, non molla mai.
Di Pietro: “Governo a tempo, poi il voto. Oppure il
referendum, poi il governo. No, referendum, governo e voto…”
Il terreno ridiventa
pianeggiante. Quanti ce ne sono ancora davanti? Uno, uno solo, gli dicono. Lo
spread sogghigna.
Vendola: “Un mezzo appoggio, un appoggino. Un appoggio a
parole, che tanto di deputati non ne ho. Aspettate che accendo il generatore
automatico di discorsi e poi…”
Eccolo! Ormai lo vede. Lo
spread deve fare un ultimo sforzo. Può ancora vincere, anche se non manca
molto.
Vendola: “La sinistra deve mescolare lo spasimo della
partecipazione con la carne della testimonianza, sradicando non soltanto gli
stigmi umanitari ma… Ma che sto dicendo? Non mi capisco!”
È scoppiato, barcolla,
sembra sul punto di svenire. Non lui, lo spread, ma l’altro, il suo avversario.
Il concorrente greco stramazza a terra ed è superato proprio in prossimità del
traguardo.
Lo spread ha vinto.
Il nostro.
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