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domenica 20 novembre 2011

ARIA PURA



Sgombriamo subito il campo da un paio di ingannevoli asserzioni. La nascita del nuovo governo non implica, come invece è stato detto da qualcuno in assoluta malafede, alcuna sospensione della democrazia. Tutto si è svolto secondo il pieno rispetto delle regole costituzionali e delle prerogative del Presidente della Repubblica. La nostra è una repubblica parlamentare. I governi non sono eletti direttamente dai cittadini, e tantomeno lo sono i Presidenti del Consiglio. L’esecutivo vive in virtù della fiducia accordata dal Parlamento, e dura finché tale credito non viene meno. Se una maggioranza parlamentare non è più in grado di sostenere un governo, è facoltà del Capo dello Stato esplorare tutte le strade possibili per garantire la formazione di un nuovo esecutivo. Soltanto nel caso in cui  tale tentativo risulti vano diventa inevitabile e improrogabile il ricorso alle urne.  In considerazione di tutto ciò è palese che sia impossibile determinare, a priori, la durata di un governo.
Nel caso in esame le eccezioni sono invece rappresentate da fatti ben diversi. Innanzitutto il tipo di governo, costituito interamente da ministri tecnici. La politica e i partiti hanno fatto, necessariamente, un passo indietro. E ciò non per benevolenza, bensì per evidente inadeguatezza al ruolo. La politica, dunque, ha fallito. Così come hanno fallito i cittadini, che non sono stati in grado di operare delle scelte opportune. Questo è bene ricordarlo sempre.
Il Paese è sull’orlo del baratro e l’ultima risorsa, nonché l’ultima opzione, è quella di affidarsi a tecnocrati la cui competenza è indiscutibile. Le capacità tecniche saranno tuttavia sufficienti per traghettare il Paese fuori dalle secche? Allo stato attuale non è possibile dirlo, le variabili in campo sono troppe.
Il nuovo governo gode dell’appoggio, sebbene in presenza di rilevanti riserve, della quasi totalità del Parlamento. Ed è proprio questa l’altra anomalia. I principali partiti, che per anni si sono combattuti in maniera aspra, esasperando conflittualità e divisioni, si ritrovano insieme a sostenere questo nuovo esecutivo per alcuni versi un po’ singolare. Il rischio di veti incrociati che ne potrebbero paralizzare l’attività è piuttosto elevato. D’altra parte nessuno vorrà assumersi la responsabilità di una sua caduta, che avrebbe conseguenze nefaste sia per quella forza politica ma soprattutto per il Paese stesso, condannato al fallimento. Un equilibrio precario, dunque, dentro al quale il nuovo Presidente del Consiglio dovrà operare con estrema circospezione. In ogni caso, la mancanza di alternative e il persistere della crisi economica potrebbero rappresentare proprio il punto di forza dell’esecutivo, a patto che le decisioni siano rapide, opportune, efficaci e soprattutto eque. Sarà inevitabile sopportare sacrifici, a patto che tali sofferenze siano ripartite in modo imparziale tra tutti gli strati della società. Chi ha di più dovrà contribuire in maggiore misura. Chi, pur avendo poco, ha già dato molto, dovrà essere risparmiato. Non è pensabile rimandare ancora le politiche ridistributive di cui il nostro Paese ha ineludibile bisogno. In caso contrario risulteranno del tutto inutili le scelte, anche quelle non più rinviabili, a favore della crescita.  
Qualsiasi cosa accada comunque una cosa è certa: in un modo o nell’altro abbiamo voltato pagina. Di sicuro, nella forma. Basta bunga-bunga, barzellette, attacchi ai magistrati e alle istituzioni; basta insulti, leggi personali, menzogne o affermazioni ridicole. Basta servi sciocchi, pernacchie e offese.
Naturalmente la forma non è tutto, ma può essere un buon inizio da cui ripartire. Poi, forse, verrà anche il resto.

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