Sgombriamo subito il campo da un paio di ingannevoli asserzioni.
La nascita del nuovo governo non implica, come invece è stato detto da qualcuno
in assoluta malafede, alcuna sospensione della democrazia. Tutto si è svolto
secondo il pieno rispetto delle regole costituzionali e delle prerogative del Presidente
della Repubblica. La nostra è una repubblica parlamentare. I governi non sono
eletti direttamente dai cittadini, e tantomeno lo sono i Presidenti del
Consiglio. L’esecutivo vive in virtù della fiducia accordata dal Parlamento, e
dura finché tale credito non viene meno. Se una maggioranza parlamentare non è
più in grado di sostenere un governo, è facoltà del Capo dello Stato esplorare
tutte le strade possibili per garantire la formazione di un nuovo esecutivo. Soltanto
nel caso in cui tale tentativo risulti
vano diventa inevitabile e improrogabile il ricorso alle urne. In considerazione di tutto ciò è palese che
sia impossibile determinare, a priori, la durata di un governo.
Nel caso in esame le eccezioni sono invece rappresentate da
fatti ben diversi. Innanzitutto il tipo di governo, costituito interamente da
ministri tecnici. La politica e i partiti hanno fatto, necessariamente, un
passo indietro. E ciò non per benevolenza, bensì per evidente inadeguatezza al
ruolo. La politica, dunque, ha fallito. Così come hanno fallito i cittadini,
che non sono stati in grado di operare delle scelte opportune. Questo è bene
ricordarlo sempre.
Il Paese è sull’orlo del baratro e l’ultima risorsa, nonché
l’ultima opzione, è quella di affidarsi a tecnocrati la cui competenza è
indiscutibile. Le capacità tecniche saranno tuttavia sufficienti per
traghettare il Paese fuori dalle secche? Allo stato attuale non è possibile
dirlo, le variabili in campo sono troppe.
Il nuovo governo gode dell’appoggio, sebbene in presenza di rilevanti
riserve, della quasi totalità del Parlamento. Ed è proprio questa l’altra anomalia.
I principali partiti, che per anni si sono combattuti in maniera aspra,
esasperando conflittualità e divisioni, si ritrovano insieme a sostenere questo
nuovo esecutivo per alcuni versi un po’ singolare. Il rischio di veti
incrociati che ne potrebbero paralizzare l’attività è piuttosto elevato. D’altra
parte nessuno vorrà assumersi la responsabilità di una sua caduta, che avrebbe
conseguenze nefaste sia per quella forza politica ma soprattutto per il Paese
stesso, condannato al fallimento. Un equilibrio precario, dunque, dentro al
quale il nuovo Presidente del Consiglio dovrà operare con estrema circospezione.
In ogni caso, la mancanza di alternative e il persistere della crisi economica
potrebbero rappresentare proprio il punto di forza dell’esecutivo, a patto che
le decisioni siano rapide, opportune, efficaci e soprattutto eque. Sarà
inevitabile sopportare sacrifici, a patto che tali sofferenze siano ripartite
in modo imparziale tra tutti gli strati della società. Chi ha di più dovrà
contribuire in maggiore misura. Chi, pur avendo poco, ha già dato molto, dovrà
essere risparmiato. Non è pensabile rimandare ancora le politiche
ridistributive di cui il nostro Paese ha ineludibile bisogno. In caso contrario
risulteranno del tutto inutili le scelte, anche quelle non più rinviabili, a
favore della crescita.
Qualsiasi cosa accada comunque una cosa è certa: in un modo
o nell’altro abbiamo voltato pagina. Di sicuro, nella forma. Basta bunga-bunga,
barzellette, attacchi ai magistrati e alle istituzioni; basta insulti, leggi
personali, menzogne o affermazioni ridicole. Basta servi sciocchi, pernacchie e
offese.
Naturalmente la forma non è tutto, ma può essere un buon
inizio da cui ripartire. Poi, forse, verrà anche il resto.
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