Ero soltanto un ragazzino, ma avevo già i miei idoli. Non erano calciatori
o eroi dei fumetti. No, i miei eroi erano "i giovani". Quelli veri,
intendo. Quelli che incontravo al bar, quando andavo a comprare il gelato o a
giocare la schedina per papà.
Chi erano questi giovani? Erano quelli che sfrecciavano sui motorini truccati, e qualcuno di loro,
addirittura, guidava già la macchina.
Portavano i capelli lunghi, ed
erano sempre impeccabili, vestiti all'ultima moda. E poi bevevano alcolici. Per me questi personaggi
costituivano un mistero affascinante. Stavano sempre lì, al bar, a
chiacchierare e a scherzare tra di loro. Ma io ero convinto che, una volta
usciti da quelle quattro mura, facessero cose grandiose, cose importanti che
avrebbero cambiato il mondo.
Poi sono cresciuto. Poco per volta, senza quasi accorgermene, sono
diventato un "quasi giovane" anch'io. E pur avendo varcato quella
soglia invisibile, ho continuato ad ammirare quelli che consideravo i
"veri giovani", quelli storici, quelli che avevano modellato la mia
immaginazione infantile.
Ormai anch'io ero un frequentatore abituale del bar (in paese ce n'era uno
solo), e qualche alcolico lo bevevo anch'io, pur non avendo ancora l'età per
farlo. Il primo che incontravo, entrando, era sempre Silvano. Alto, magrissimo, con quei suoi capelli biondi sottili
che iniziavano a diradarsi sulla sommità del capo. E l'eterna sigaretta che gli
penzolava, quasi incollata, al labbro inferiore. Un autentico simbolo, per me. Mi
limitavo a salutarlo con un cenno, un gesto di rispetto muto. Ma una sera, non
so come, trovai il coraggio di rivolgergli la parola. Mi sentivo più maturo,
più consapevole di me stesso. Erano tempi difficili, era il Settantasette, l'anno della contestazione.
Sembrava che tutto dovesse esplodere da un momento all'altro.
"Silvano" gli chiesi, la voce forse un po' incerta. "Che
cosa avete intenzione di fare voi giovani?"
Silvano prosciugò il bicchiere di vermouth, un sorso secco. Poi scosse il
capo, mi guardò, poi osservò i miei amici che mi stavano accanto, e infine
emise la sua sentenza, con quella sua voce un po' roca.
"Siete voi i giovani. Tocca a
voi fare qualcosa".
Rimasi scioccato. Silvano aveva ragione. Aveva perfettamente ragione. E
così, cercammo di fare qualcosa. Ci provammo, sul serio. Ma, alla fine, non
riuscimmo a concludere nulla. Proprio come la generazione che ci aveva
preceduto. Tante parole, tanti discorsi accesi, ma nessun risultato concreto.
Poi gli anni cominciarono a fuggire via, veloci, inesorabili. La famiglia,
poi niente famiglia, poi un'altra famiglia ancora. E i giovani, i nuovi giovani
che si succedevano, li persi di vista, come se non esistessero più. Non ci
facevo più caso. La vita mi aveva inghiottito.
E adesso, che ormai sono anziano, mi sono accorto che i giovani continuano
ad esistere eccome. Ho ricominciato a notarli. Dopotutto, ho tanto tempo per
farlo. Tuttavia, i giovani che vedo oggi non mi piacciono. Non li capisco. Non
li ammiro per niente. Anzi, se proprio devo dire la verità, i giovani di adesso
mi fanno un po' paura.


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