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lunedì 25 agosto 2025

FUGA D'AMORE

Un tempo, neppure troppo lontano, si diceva che le fughe d'amore, le cosiddette "fuitine", fossero un fenomeno diffuso in prevalenza al Sud, un retaggio di tradizioni antiche. Ma la verità, come spesso accade, era ben più sfumata e complessa. Queste fughe romantiche, in realtà, avvenivano un po' dappertutto, sebbene gli epiloghi potessero variare molto da regione a regione, da famiglia a famiglia.

Margherita e Italo, ad esempio, non erano meridionali. Erano due giovani montanari, cresciuti tra le vette silenziose e le valli meravigliose del Nord. Innamorati alla follia, o almeno così credevano, vivevano il loro idillio con la consapevolezza che i rispettivi genitori, all'oscuro di tutto, non avrebbero mai approvato la loro unione. Troppo diversi i mondi di provenienza, troppo radicate le aspettative familiari. Decisero così di agire, e di porre i loro cari di fronte al fatto compiuto.

Fu Italo a organizzare il piano. Essendo l'uomo, e anche un po' più grande di Margherita, sentiva che toccava a lui prendere il controllo della situazione. Era un inverno rigido, il freddo pungeva le ossa, eppure scelsero proprio quella notte gelida per la loro fuga. In sella alla Vespa di Italo, il loro romantico destriero rombante, si sarebbero diretti verso la Valle d'Aosta, la regione più vicina alla loro, un rifugio provvisorio per il loro amore.

Partirono in gran segreto, ma il loro sogno di riserbo durò poco. Il vecchio Bepi, l'occhio vigile del paese, li vide sfrecciare via. Erano le cinque del mattino e lui, per buona sorte, era ancora sobrio. Un miracolo, dato che soltanto un'ora più tardi non avrebbe riconosciuto neppure sua madre. La notizia volò di bocca in bocca e, prima che il sole fosse alto nel cielo, i genitori di Margherita e Italo, uniti nella preoccupazione, si presentarono dai carabinieri per denunciare la fuga dei ragazzi. Poiché Margherita era ancora minorenne, i militi si attivarono con immediata premura.

Nel frattempo, i due innamorati, infreddoliti e quasi assiderati dal viaggio in Vespa, giunsero finalmente in Valle d'Aosta. Quando i carabinieri li fermarono, pensarono si trattasse di un normale controllo di routine, invece si ritrovarono in caserma. Lì, furono trattenuti, ma anche rifocillati con un confortante brodo di pollo caldo, un inaspettato atto di gentilezza in una situazione così tesa.

Non passò molto tempo prima che i loro genitori, subito avvisati, arrivassero, con sguardi che promettevano tempesta. Caricarono la Vespa su un furgone e, dopo aver ritirato la denuncia, riportarono i ragazzi a casa. Per tutto il tragitto di ritorno, sotto gli sguardi severi e anche un po' minacciosi dei parenti, Margherita e Italo non pronunciarono una sola parola. Il silenzio era pesante, carico di rimpianto per il sogno infranto.

La storia d'amore di Margherita e Italo finì lì, in quel triste viaggio di ritorno a casa, con grande rammarico di entrambi. Fu un capitolo breve ma intenso nelle loro giovani vite, qualcosa di importante che avrebbero ricordato per sempre. Per tutti gli altri, invece, la loro vicenda non è più nulla, se non una storia raccontata ogni tanto nel bar di paese, di fronte a un bicchiere di vino.

Un eco lontano tra le montagne della loro valle.

 

martedì 19 agosto 2025

NEL BOSCO


Ed eccomi di nuovo qui, dopo tanti anni. Nel bosco della mia infanzia. Un fitto abbraccio di alberi che un tempo era il mio rifugio, il mio parco giochi, il mio mondo. Da bambino, tuttavia, non avrei mai osato avventurarmi da solo in questo groviglio di rami e ombre. Avevo paura, provavo una specie di brivido lungo la schiena. Ci pensava mio padre ad accompagnarmi, e ogni timore svaniva. Le sue mani grandi e forti, la sua voce rassicurante, trasformavano ogni sentiero in un'avventura sicura.

Ormai sono adulto, e le trepidazioni infantili sono soltanto un ricordo sbiadito, frammenti di un tempo lontano. Mi addentro tra gli alberi, spinto da una curiosità mista a nostalgia. Il bosco è ancora più fitto di quanto ricordassi, un intrico di tronchi e foglie attraverso il quale la luce del sole filtra a stento. L'aria è densa e buia. Se fossi ancora un bambino, avrei paura, eccome! Ma non lo sono più, dunque mi spingo oltre, desideroso di riabbracciare il passato.

Seguo uno dei sentieri, l'odore di terra umida e muschio mi avvolge. I miei occhi si posano su qualcosa al suolo: molliche di pane, sparse a intervalli regolari. Curioso, mi chiedo chi le abbia lasciate. Non dureranno molto, penso. E infatti dagli alberi scendono subito piccoli predatori alati che becchettano le briciole con rapidità sorprendente.

Proseguo, e a un certo punto, con mia grande sorpresa, incontro un bambino. È solo, seduto su un tronco caduto.

"Che cosa fai tutto solo nel bosco?" chiedo, la mia voce un po' troppo brusca, quasi un rimprovero.

Lui mi guarda con diffidenza, i suoi occhi grandi e scuri mi scrutano a lungo.

"Mi faccio un giro, perché? Hai qualcosa in contrario?" risponde infine, la voce sottile ma ferma.

"Non hai paura di smarrirti?" domando, cercando di mascherare la mia apprensione.

Lui mi guarda con aria furba, un sorriso sornione gli increspa le labbra.

"Tranquillo, nonno. Ho preso le mie precauzioni". E in quel momento, noto il sacchetto che stringe in mano, pieno di molliche di pane.

"Fossi al tuo posto, inizierei a preoccuparmi" dico, e poi mi allontano, lasciandolo alle sue briciole. Lui mi alza il dito medio, un gesto di sfida che mi fa sorridere.

Vado avanti, e poco dopo incontro un uomo. Accidenti! penso, oggi sono tutti qui! Lui mi saluta, con un cenno del capo. Ricambio il saluto. È alto e grosso, con una mascella e una mandibola molto allungate e una bella dentatura che spicca. Ciuffi di peli gli spuntano dalle orecchie.

"Ha per caso visto una bambina?" chiede, con voce profonda.

"Una bambina?" dico, riflettendo. "No, ho visto un bambino, poco fa".

Lui scuote la testa, il suo sguardo si fa spazientito.

"Ho detto una bambina! Con un vestitino rosso! L'ha vista sì o no?"

Un po' spaventato da tanta veemenza, rispondo di no, lo saluto in fretta e proseguo. Con la coda dell'occhio, vedo che si mette a correre. Per un attimo ho l'impressione che corra... a quattro zampe. È pieno di gente strana, penso, prima di continuare il cammino.

Ma oggi è davvero una giornata particolare. Dopo pochi passi, incontro un bambino e una bambina. Il bambino non è quello di prima, e la bambina non indossa un vestitino rosso. Tutti e due stanno mangiando dei dolci, hanno le bocche sporche di zucchero. Sembra marzapane.

"Che cosa ci fate nel bosco?" chiedo. "Dove sono i vostri genitori?"

Mi guardano con indifferenza.

"Non sono affari tuoi" mi rispondono quasi in coro.

"Fossi in voi, non mangerei troppo di quella roba. Fa ingrassare" dico, la voce intrisa di un monito che a loro sembra indifferente.

"E allora?" dice il bambino, stringendosi nelle spalle.

"Secondo me, finché rimanete nei paraggi, vi conviene essere magri" rispondo, e poi me ne vado, accelerando il passo. Non vedo l'ora di uscire da questo bosco. I ricordi della mia infanzia erano ben diversi. In questo luogo c'era pace e tranquillità, e non tutto questo affollamento di figure strane e misteriose.

Sono quasi fuori. Appena sto per uscire dall'intrico di alberi, però, sento in successione urla disperate di bambini, ululati e latrati, e infine un colpo di fucile!

Realtà o fantasia? Nel dubbio, affretto ancora di più l'andatura.


martedì 12 agosto 2025

TRIANGOLO


Ero in attesa del suono della campanella di inizio lezioni. In classe, come ogni mattina, regnava il caos. Urla, risate, stridore di sedie trascinate sul pavimento. Mi trovavo nei pressi del mio banco, in piedi, ad aspettare che il frastuono venisse interrotto dall'usuale rintocco. Poi la mia compagna Bianca mi si avvicinò. Quella ragazza aveva un odore particolare. Forse erano i capelli, sempre un po' unti, che non lavava quasi mai. Tentai di scostarla con la spalla, ma lei non vi badò. Non vedeva l'ora di dirmi qualcosa.

"La sai l'ultima?" mi chiese, gli occhietti vivaci che brillavano.  

Sospirai.

"Dimmi, Bianca". Uno dei soliti pettegolezzi, pensai.

Lei si avvicinò ancora di più, e l'odore divenne più forte.

"Si dice che Alfredo si sia messo con Giada. È vero? Tu di sicuro lo saprai..."

Mi prese un mezzo colpo. Sentii il cuore mancarmi un battito, poi riprendere a correre a rotta di collo. Alfredo era il mio migliore amico, l'unico che avessi. Giada invece era ragazza che mi piaceva da sempre, da quando l'avevo vista la prima volta, nonostante lei non mi avesse mai degnato di uno sguardo. Loro due, insieme! Erano un anno avanti a me, e stavano nella stessa classe, perché io ero stato bocciato in prima. Non sapevo nulla di questa storia. Vedevo Alfredo quasi tutti i giorni dopo la scuola, e lui non mi aveva detto niente. Forse, sapendo del mio interesse per Giada, temeva di ferirmi. O forse non gliene importava un accidente. In ogni caso, ci ero rimasto malissimo.

Cercai di dissimulare il colpo, di mantenere la calma.

"Ah, sì?" dissi, cercando di assumere un'espressione misteriosa.

"Sai, le cose non sempre sono come sembrano" proseguii. "Bianca. Se proprio lo vuoi sapere, anch'io sto con Giada. Ti ricordi di Jules e Jim?"

Gli occhi di Bianca si spalancarono. Aveva colto il riferimento cinematografico. In quel momento, l'odore mefitico si intensificò. Forse non erano i capelli, riflettei, bensì il sudore. Mi domandò ancora qualcosa, ma la ignorai. Presi posto nel banco, proprio mentre la campanella finalmente suonava, assordante.

Non rammento nulla delle tre ore di lezione che seguirono. Non ricordo niente di ciò che dissero i professori, e neppure quali fossero gli insegnanti che si alternarono. Per fortuna, non venni interrogato. La mia mente era altrove, intrappolata in un unico pensiero: Alfredo e Giada. E poi rimuginavo sulla mia stupida, impulsiva bugia. Non avevo considerato le conseguenze.

Nel frattempo, i miei compagni non erano stati con le mani in mano. Il passaparola era stato molto veloce. Tutti sapevano ciò che avevo detto a Bianca. Quando, durante l'intervallo, uscii dalla classe, camminando nel corridoio, vidi studenti di altre classi che mi guardavano in maniera strana. Tutti erano a conoscenza di ciò che mi riguardava. Di sicuro anche Alfredo e Giada, che per fortuna non incontrai. Forse erano rimasti in classe a sbaciucchiarsi, quei maledetti.

A un tratto, un ragazzo dell'ultimo anno si avvicinò. Prima d'allora non mi aveva mai rivolto la parola. Mi diede una pacca sulla spalla.

"Bravo" disse con un sorriso che non compresi se fosse di scherno o ammirazione.

"Ho saputo che ti sei ficcato in un triangolo" aggiunse.

Alzai le spalle, cercando di sembrare noncurante.

"Meglio in tre che in due" dissi. Lui approvò, compiaciuto. Fu un momento strano, quasi surreale.

Dopo altre due interminabili ore di lezione, anche quella mattinata tremenda finalmente giunse al termine.

Cercai di uscire da scuola alla chetichella, non volevo incontrare Giada e tantomeno Alfredo. Intendevo stare da solo, dovevo ripensare a perché il mio amico non mi avesse detto nulla. Ma proprio in quel momento, vidi Giada. Lei stava venendo verso di me. All'ultimo momento, scartò e mi evitò, non disse nulla, ma mi lanciò uno sguardo di puro disprezzo.

Cercai di fare qualcosa, di fermarla, e proprio in quell'istante scorsi Alfredo, in piedi di fronte a me. Cercai di abbozzare un sorriso, un gesto di pace, ma il suo pugno fu più veloce. Sentii il "crac" del naso che si rompeva, subito dopo persi i sensi.

Mai finire in un triangolo, vero o falso che sia.

martedì 5 agosto 2025

BANDIERA GIALLA


Era una splendida giornata d'estate, l'aria era frizzante e il cielo di color azzurro intenso. Un gruppo di amici, carichi di entusiasmo, aveva deciso di affrontare una camminata in montagna. Tra loro c'erano Alberto e Paola. Per Alberto, il solo pensiero di passare del tempo con Paola era un'emozione forte. La ragazza gli piaceva molto, un sentimento che covava da tempo, ma le occasioni di vederla erano rare, capitavano soprattutto durante i mesi estivi. Nonostante la sua evidente cotta, Alberto non era mai riuscito a capire se Paola ricambiasse il suo interesse; lei si comportava in maniera amichevole e spensierata con tutti i ragazzi della comitiva. Paola era una ragazza graziosa, non molto alta, un po' rotondetta ma con una figura armoniosa e forme generose.

La destinazione scelta dai giovani era un vecchio santuario, immerso nel verde delle montagne. La meta richiedeva un paio d'ore di cammino lungo un sentiero che si snodava tra boschi e radure. Durante tutto il tragitto, Alberto si ritrovò a camminare costantemente dietro a Paola. Ogni passo era un'occasione per ammirarla, ma il coraggio di rivolgerle la parola lo abbandonava ogni volta. Si sentiva intimidito più del solito. Era evidente che la sua infatuazione per la ragazza era cresciuta ancora. Per la prima volta, inoltre, un'emozione nuova si fece strada nel suo cuore: la gelosia. Ogni volta che Paola scambiava battute o risate con qualche altro ragazzo, o quando qualcuno si avvicinava a lei con familiarità, Alberto sentiva una morsa stringergli lo stomaco.

Finalmente, terminata la salita, arrivarono al santuario. Il sole picchiava implacabile e la fatica si faceva sentire. Tutti erano spossati e assetati. Senza esitazione, si diressero verso un piccolo ma limpido laghetto che rifletteva il cielo. Un ragazzo, dopo averne saggiato la freschezza, rassicurò tutti: "Nessun problema, l'acqua è pulita e si può bere!".

Alberto si accovacciò per dissetarsi. Proprio di fronte a lui, senza dire una parola, anche Paola fece lo stesso. Mentre lei si sporgeva in avanti, accovacciata, formando una coppa con le mani per raccogliere l'acqua, Alberto, con uno sguardo furtivo, la osservò. L'angolo in cui si trovava gli permise una visione improvvisa e del tutto inaspettata: le gambe abbronzate della ragazza, le sue cosce robuste e i suoi slip gialli. Quella visione, così intima, lo turbò a tal punto da fargli mancare il fiato. Una vertigine lo colse all'istante, e per poco non perse l'equilibrio, rischiando di cadere nel lago. Paola, del tutto ignara del tumulto interiore che aveva scatenato nel ragazzo, si alzò e si allontanò, rinfrescata.

Quell'episodio, in apparenza insignificante, si sarebbe rivelato un punto di svolta senza ritorno nell'esistenza di Alberto. Dopo quel giorno, le strade dei due non si incrociarono più. Un po' per le circostanze della vita, un po' per una precisa, dolorosa volontà di Alberto. Era rimasto troppo sconvolto da quell'attimo. L'immagine di quegli slip gialli si era impressa a fuoco nella sua mente, diventando un feticcio assoluto. Per una triste ironia del destino, Alberto non sarebbe mai riuscito ad amare una donna in pieno. E non ne incontrò mai nessuna che indossasse degli slip gialli. Per Alberto, l'amore rimase per sempre un'ombra sfuggente, intrappolata nel ricordo di un fugace e sensuale momento estivo.