Il
crepuscolo si insinuava lento tra le case della grande città. Yuki aspettava
sotto il porticato di un vecchio palazzo, il colletto del soprabito alzato per
ripararsi dalla brezza umida che saliva dal fiume. La temperatura non era
rigida, ma quel venticello portava con sé una indistinta percezione di foglie
morte e di qualcosa di non espresso, una sensazione che Yuki conosceva bene.
La
ragazza arrivò silenziosa come un gatto, la figura esile avvolta in un cappotto
scuro che le nascondeva il viso. Si chiamava Akari. I due si incontravano in
quel posto, in un tempo sospeso tra il giorno e la notte, due volte alla
settimana. Non si erano mai chiesti perché proprio quel luogo, né perché quel
preciso momento. Era come se un filo invisibile, intrecciato di malinconia
condivisa e silenzi significativi, li avesse condotti lì.
Si
erano conosciuti alcuni mesi prima, in aeroporto. Due anime sperse che
provenivano dallo stesso Paese, il Giappone. Un impegno comune: lo studio.
Avevano deciso di rivedersi e lo avevano fatto. A una prima volta ne erano
seguite tante altre.
"Ciao"
disse lei, la voce un sussurro leggero.
"Ciao,
Akari," rispose il ragazzo.
Non
si baciarono, non si abbracciarono, né si presero per mano. Stavano lì, l'uno
di fronte all'altra, come due personaggi usciti da un racconto incompiuto. Poi,
senza bisogno di altre parole, iniziarono a camminare.
Le
strade della grande città a quell'ora avevano un qualcosa di surreale. Le
vetrine dei negozi riflettevano luci debole e figure indistinte, creando un
paesaggio da sogno in cui il tempo sembrava rallentare. I due ragazzi camminavano
fianco a fianco, mantenendo una distanza rispettosa, come se avessero paura
anche soltanto di sfiorarsi.
A
tratti si fermavano davanti a una vetrina illuminata, osservando in silenzio un
oggetto qualsiasi: un manichino con un vestito di seta color violetto, una pila
di libri con copertine sbiadite. In quei momenti, Yuki sentiva un legame
particolare con Akari, un'intesa che andava oltre le parole.
Una
sera, mentre passeggiavano lungo il fiume, con l'acqua che scorreva scura e
silenziosa, riflettendo le luci tremolanti dei lampioni, Akari all'improvviso
si arrestò. Si appoggiò alla ringhiera di ferro battuto.
"Yuki"
disse, la voce appena percepibile sopra il leggero rumore dell'acqua. "A
volte ho l'impressione che le nostre vite siano come dischi rotti che
continuano a suonare la stessa vecchia canzone".
Il
ragazzo la guardò. I suoi occhi scuri brillavano nella semioscurità, pieni di
una tristezza antica. Lui condivideva quella sensazione. Anche la sua vita, a
volte, gli sembrava un ripetersi infinito di gesti e di sogni sbiaditi.
"Forse
hai ragione" disse Yuki. "Incontrarci è come trovare per un istante una
nuova traccia da ascoltare".
Akari
accennò un sorriso appena percettibile. Poi si voltò e riprese a camminare, i
suoi passi leggeri sull'acciottolato un po' umido. Yuki la seguì, sentendo per
la prima volta da molto tempo una fragile speranza fiorire dentro di sé.
Non
sapevano che cosa sarebbe accaduto in futuro, né dove li avrebbe portati quel
loro strano rituale. Tuttavia, in quei momenti, i due ragazzi trovavano un
rifugio sicuro. Un luogo in bilico nel tempo dove le loro solitudini si
incontravano. E forse potevano comprendersi.


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