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martedì 10 giugno 2025

INCONTRI

Il crepuscolo si insinuava lento tra le case della grande città. Yuki aspettava sotto il porticato di un vecchio palazzo, il colletto del soprabito alzato per ripararsi dalla brezza umida che saliva dal fiume. La temperatura non era rigida, ma quel venticello portava con sé una indistinta percezione di foglie morte e di qualcosa di non espresso, una sensazione che Yuki conosceva bene.

La ragazza arrivò silenziosa come un gatto, la figura esile avvolta in un cappotto scuro che le nascondeva il viso. Si chiamava Akari. I due si incontravano in quel posto, in un tempo sospeso tra il giorno e la notte, due volte alla settimana. Non si erano mai chiesti perché proprio quel luogo, né perché quel preciso momento. Era come se un filo invisibile, intrecciato di malinconia condivisa e silenzi significativi, li avesse condotti lì.

Si erano conosciuti alcuni mesi prima, in aeroporto. Due anime sperse che provenivano dallo stesso Paese, il Giappone. Un impegno comune: lo studio. Avevano deciso di rivedersi e lo avevano fatto. A una prima volta ne erano seguite tante altre.

"Ciao" disse lei, la voce un sussurro leggero.

"Ciao, Akari," rispose il ragazzo.

Non si baciarono, non si abbracciarono, né si presero per mano. Stavano lì, l'uno di fronte all'altra, come due personaggi usciti da un racconto incompiuto. Poi, senza bisogno di altre parole, iniziarono a camminare.

Le strade della grande città a quell'ora avevano un qualcosa di surreale. Le vetrine dei negozi riflettevano luci debole e figure indistinte, creando un paesaggio da sogno in cui il tempo sembrava rallentare. I due ragazzi camminavano fianco a fianco, mantenendo una distanza rispettosa, come se avessero paura anche soltanto di sfiorarsi.

A tratti si fermavano davanti a una vetrina illuminata, osservando in silenzio un oggetto qualsiasi: un manichino con un vestito di seta color violetto, una pila di libri con copertine sbiadite. In quei momenti, Yuki sentiva un legame particolare con Akari, un'intesa che andava oltre le parole.

Una sera, mentre passeggiavano lungo il fiume, con l'acqua che scorreva scura e silenziosa, riflettendo le luci tremolanti dei lampioni, Akari all'improvviso si arrestò. Si appoggiò alla ringhiera di ferro battuto.

"Yuki" disse, la voce appena percepibile sopra il leggero rumore dell'acqua. "A volte ho l'impressione che le nostre vite siano come dischi rotti che continuano a suonare la stessa vecchia canzone".

Il ragazzo la guardò. I suoi occhi scuri brillavano nella semioscurità, pieni di una tristezza antica. Lui condivideva quella sensazione. Anche la sua vita, a volte, gli sembrava un ripetersi infinito di gesti e di sogni sbiaditi.

"Forse hai ragione" disse Yuki. "Incontrarci è come trovare per un istante una nuova traccia da ascoltare".

Akari accennò un sorriso appena percettibile. Poi si voltò e riprese a camminare, i suoi passi leggeri sull'acciottolato un po' umido. Yuki la seguì, sentendo per la prima volta da molto tempo una fragile speranza fiorire dentro di sé.

Non sapevano che cosa sarebbe accaduto in futuro, né dove li avrebbe portati quel loro strano rituale. Tuttavia, in quei momenti, i due ragazzi trovavano un rifugio sicuro. Un luogo in bilico nel tempo dove le loro solitudini si incontravano. E forse potevano comprendersi.

 

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