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martedì 6 agosto 2024

LA SOLITUDINE DEL PALLANUOTISTA


Edoardo Cavazzoni osserva la sua figura riflessa nel grande specchio dell'ingresso. L'uomo è completamente nudo. Dapprima si sofferma sul volto. Il suo viso non gli piace, non gli è mai piaciuto. Troppe ossa, e troppi spigoli. E poi gli occhi, ravvicinati più del dovuto, e il lungo naso leggermente storto. No, proprio non ci siamo.

Il resto del corpo, invece, è tutt'altra cosa. Innanzitutto la statura, oltre il metro e novanta. E la muscolatura, possente, a partire dalle spalle larghe, dai pettorali scolpiti, dal ventre piatto e duro come l'acciaio. E infine le gambe, lunghe e solide come tronchi, innestate sui fianchi stretti.

Edoardo Cavazzoni si scosta dallo specchio, si siede sul letto, un letto che non ha mai condiviso con nessuno. Un letto comodo, morbido, pronto per accogliere una donna. Il fatto è che a lui le donne non piacciono. Lo attirano forse gli uomini? Chissà, soltanto lui può dirlo, e finora non lo ha ancora fatto. Non lo ha mai confessato neppure a se stesso.

Edoardo Cavazzoni si ritiene una persona destinata a rimanere sola per tutta la vita. Soltanto lo sport lo ha salvato dal precipitare nella disperazione totale. Ma fino a quando?

Da giovane, Edoardo Cavazzoni amava il calcio. Provò a praticarlo, ma ben presto scoprì di non possedere le doti necessarie. Iniziò giocando da attaccante. Con i piedi non era granché, di conseguenza cercava di sfruttare le sue notevoli doti fisiche, prima fra tutte l'elevazione. Purtroppo gli mancava il tempismo. Saltava sempre più in alto dei difensori, ma il pallone non lo prendeva mai. Sempre un attimo di anticipo, o di ritardo. Fu spostato in difesa, nel ruolo di centrale. Non andò meglio. Troppo impetuoso, troppi falli, e le poche volte che si ritrovava il pallone tra i piedi non sapeva che farne. Si limitava a calciarlo, con forza, il più lontano possibile.

"Perché non provi a fare il portiere?" gli disse un giorno il suo allenatore. "Sai, con il tuo fisico..."

Edoardo Cavazzoni smise di giocare a calcio.

Un giorno il suo insegnante di educazione fisica delle scuole superiori gli mise un braccio sulla spalla e, accarezzandogli il bicipite già poderoso, gli domandò: "Sei capace a nuotare?"

Edoardo Cavazzoni gradì quel tocco leggero, non si scostò e rispose: "So nuotare bene. Mi ha insegnato mio padre quando ero piccolo. È l'unica cosa che ho imparato da lui".

"Perché non provi con la pallanuoto?" disse il professore, e gli allungò un biglietto con annotato l'indirizzo di una piccola società amatoriale.

Edoardo Cavazzoni disse che ci avrebbe pensato. Alla fine decise di provare. La pallanuoto, in fondo, è molto simile al calcio, rifletteva il ragazzo nei suoi lunghi pomeriggi solitari. Ci sono due squadre. E c'è un campo, anche se è fatto di acqua e non di erba; ci sono due porte, dentro le quali bisogna buttare il pallone. D'accordo, la palla viene giocata con le mani e non con i piedi, ma tutto il resto è praticamente uguale.

Edoardo Cavazzoni iniziò, con entusiasmo, a praticare la pallanuoto. Ben presto si accorse che le differenze con il calcio erano più di quelle che aveva creduto. Nel calcio il pubblico assiste a tutto ciò che accade sul campo. Le giocate, i falli. Nella pallanuoto invece lo spettatore vede soltanto quello che avviene sopra la superficie dell'acqua. Non scorge le robuste trattenute subacquee, i calci nelle palle, i tentativi, a volte riusciti, di ficcare la testa dell'avversario sotto, di farlo bere e fargli provare quella spiacevole sensazione di soffocamento che per qualche istante lo neutralizza.

Edoardo Cavazzoni rimase soltanto un anno in quella piccola società. Pure quegli scalzacani di periferia si resero conto che quel ragazzo poteva diventare un campione. E infatti lo diventò. Adesso, ed è passato qualche anno, è il capitano della nazionale. Una squadra che partecipa alle Olimpiadi, che lotta per una medaglia. A Edoardo Cavazzoni delle Olimpiadi non importa molto. Per lui tutte le gare sono uguali. Le vuole vincere tutte, al di là di che cosa ci sia in palio. Si augura che i suoi compagni siano alla sua altezza. Quei compagni che, al di fuori degli allenamenti, non vede mai. Si può dire che quasi non li conosca. Sono ragazzi che indossano la calottina del suo stesso colore, nulla di più. Sono persone che, alla fine di una dura partita, della quale portano i segni su braccia, gambe, schiena e torace dicono: "Cazzo, la pallanuoto non è mica uno sport per signorine o per frocetti!"

Edoardo Cavazzoni sta zitto e sorride amaro. Che altro potrebbe fare?


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