Edoardo Cavazzoni osserva
la sua figura riflessa nel grande specchio dell'ingresso. L'uomo è
completamente nudo. Dapprima si sofferma sul volto. Il suo viso non gli piace,
non gli è mai piaciuto. Troppe ossa, e troppi spigoli. E poi gli occhi,
ravvicinati più del dovuto, e il lungo naso leggermente storto. No, proprio non
ci siamo.
Il resto del corpo,
invece, è tutt'altra cosa. Innanzitutto la statura, oltre il metro e novanta. E
la muscolatura, possente, a partire dalle spalle larghe, dai pettorali
scolpiti, dal ventre piatto e duro come l'acciaio. E infine le gambe, lunghe e
solide come tronchi, innestate sui fianchi stretti.
Edoardo Cavazzoni si
scosta dallo specchio, si siede sul letto, un letto che non ha mai condiviso
con nessuno. Un letto comodo, morbido, pronto per accogliere una donna. Il
fatto è che a lui le donne non piacciono. Lo attirano forse gli uomini? Chissà,
soltanto lui può dirlo, e finora non lo ha ancora fatto. Non lo ha mai
confessato neppure a se stesso.
Edoardo Cavazzoni si
ritiene una persona destinata a rimanere sola per tutta la vita. Soltanto lo
sport lo ha salvato dal precipitare nella disperazione totale. Ma fino a
quando?
Da giovane, Edoardo
Cavazzoni amava il calcio. Provò a praticarlo, ma ben presto scoprì di non
possedere le doti necessarie. Iniziò giocando da attaccante. Con i piedi non
era granché, di conseguenza cercava di sfruttare le sue notevoli doti fisiche,
prima fra tutte l'elevazione. Purtroppo gli mancava il tempismo. Saltava sempre
più in alto dei difensori, ma il pallone non lo prendeva mai. Sempre un attimo
di anticipo, o di ritardo. Fu spostato in difesa, nel ruolo di centrale. Non
andò meglio. Troppo impetuoso, troppi falli, e le poche volte che si ritrovava
il pallone tra i piedi non sapeva che farne. Si limitava a calciarlo, con
forza, il più lontano possibile.
"Perché non provi
a fare il portiere?" gli disse un giorno il suo allenatore. "Sai, con
il tuo fisico..."
Edoardo Cavazzoni smise
di giocare a calcio.
Un giorno il suo
insegnante di educazione fisica delle scuole superiori gli mise un braccio
sulla spalla e, accarezzandogli il bicipite già poderoso, gli domandò:
"Sei capace a nuotare?"
Edoardo Cavazzoni gradì
quel tocco leggero, non si scostò e rispose: "So nuotare bene. Mi ha
insegnato mio padre quando ero piccolo. È l'unica cosa che ho imparato da
lui".
"Perché non provi
con la pallanuoto?" disse il professore, e gli allungò un biglietto con
annotato l'indirizzo di una piccola società amatoriale.
Edoardo Cavazzoni disse
che ci avrebbe pensato. Alla fine decise di provare. La pallanuoto, in fondo, è
molto simile al calcio, rifletteva il ragazzo nei suoi lunghi pomeriggi
solitari. Ci sono due squadre. E c'è un campo, anche se è fatto di acqua e non
di erba; ci sono due porte, dentro le quali bisogna buttare il pallone.
D'accordo, la palla viene giocata con le mani e non con i piedi, ma tutto il
resto è praticamente uguale.
Edoardo Cavazzoni
iniziò, con entusiasmo, a praticare la pallanuoto. Ben presto si accorse che le
differenze con il calcio erano più di quelle che aveva creduto. Nel calcio il
pubblico assiste a tutto ciò che accade sul campo. Le giocate, i falli. Nella
pallanuoto invece lo spettatore vede soltanto quello che avviene sopra la superficie
dell'acqua. Non scorge le robuste trattenute subacquee, i calci nelle palle, i
tentativi, a volte riusciti, di ficcare la testa dell'avversario sotto, di
farlo bere e fargli provare quella spiacevole sensazione di soffocamento che
per qualche istante lo neutralizza.
Edoardo Cavazzoni
rimase soltanto un anno in quella piccola società. Pure quegli scalzacani di
periferia si resero conto che quel ragazzo poteva diventare un campione. E
infatti lo diventò. Adesso, ed è passato qualche anno, è il capitano della
nazionale. Una squadra che partecipa alle Olimpiadi, che lotta per una
medaglia. A Edoardo Cavazzoni delle Olimpiadi non importa molto. Per lui tutte
le gare sono uguali. Le vuole vincere tutte, al di là di che cosa ci sia in
palio. Si augura che i suoi compagni siano alla sua altezza. Quei compagni che,
al di fuori degli allenamenti, non vede mai. Si può dire che quasi non li
conosca. Sono ragazzi che indossano la calottina del suo stesso colore, nulla
di più. Sono persone che, alla fine di una dura partita, della quale portano i
segni su braccia, gambe, schiena e torace dicono: "Cazzo, la pallanuoto
non è mica uno sport per signorine o per frocetti!"
Edoardo Cavazzoni sta
zitto e sorride amaro. Che altro potrebbe fare?
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