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martedì 25 giugno 2024

LA DELUSIONE

 

Lui non usciva mai. La sera prima, tuttavia, aveva fatto un’eccezione. Una delle poche. Pregato, implorato dai suoi amici aveva acconsentito a trascorrere la serata in un locale. Dapprima, come sempre gli accadeva in quelle occasioni, si era annoiato. Quasi subito si era pentito. Lui non beveva. In più, la musica era molto fastidiosa. Il volume, alto in maniera esagerata, impediva di parlare. E poi tutta quella confusione era insopportabile. Provocava un fastidioso senso di stordimento. E di smarrimento. Perché la gente si ostinava ad accalcarsi in quei posti? Non riusciva proprio a comprenderlo, non ne  intuiva lo scopo. Eppure sembrava che tutti, tranne lui, si stessero divertendo. Un divertimento forzato, del tutto innaturale, ma quella era solo una sua sensazione.

A un certo punto della serata avevano incontrato alcuni amici. Non suoi, ma degli altri. Con loro c’era una ragazza. Aveva superato l’imbarazzo ed era riuscito, sebbene con grande fatica, a scambiare alcune parole con lei. E aveva scoperto di avere di fronte una persona piuttosto riservata ma simpatica. Si erano scambiati alcune informazioni. Le solite: i nomi, gli studi, i principali interessi. Il numero di telefono no, quello non aveva osato domandarlo. La ragazza, a differenza di tutte le altre presenti, non era molto appariscente, non attirava l’attenzione di nessuno. Era tutta per lui, e questo lo aveva reso contento. Odiava la competizione, soprattutto quando si trattava di ragazze. Preferiva non partecipare a quelle sfide, in tal modo la sconfitta risultava meno bruciante. Perché usciva sempre battuto, per manifesta inferiorità, come gli piaceva pensare con morbosa soddisfazione. Monica, quello era il suo nome, colto nel frastuono della sala, era vestita in modo semplice. Mentre le altre ragazze erano abbigliate secondo il consueto e banale stile finto-trasandato lei, pur nella sua essenzialità, appariva elegante. Aveva classe. Alla fine il tempo era trascorso in fretta e quasi non si era reso conto che si era fatto tardi, che era ormai ora di rientrare. I due gruppi di amici si erano riuniti all’uscita, e si erano accordati per rivedersi il giorno dopo, alla stessa ora, nel solito locale. E tutti erano rimasti molto sorpresi quando anche lui aveva acconsentito. Per mesi si era rifiutato di uscire, e ora quella decisione suscitava stupore. Ma nessuno aveva sottolineato più di tanto quella sua scelta. Erano stati scambiati dei fuggevoli sguardi, degli ammiccamenti, ma nulla di più.

Quella notte non era riuscito a prendere sonno. Non era stato capace di scacciare dalla mente l’immagine della ragazza. Che, di momento in momento, diventava sempre più bella, sempre più affascinante. Al mattino era rimasto a lungo a contemplarsi davanti allo specchio. Che cosa ci trovava una ragazza come quella in uno come lui, insignificante e tutt’altro che attraente? Forse aveva colto in lui quelle qualità che sapeva di possedere ma che non riusciva mai ad esprimere in pieno? Sì, forse era così, perché quella ragazza, Monica, era molto intelligente e perspicace. In ogni caso, era certo di essersi innamorato di lei. Era stato sufficiente lo spazio di una serata. Inoltre, era convinto di essere ricambiato nel suo sentimento. Poteva sembrare incredibile, ma era così. L’incredibile era accaduto. Chissà, forse aveva incontrato la donna della sua vita.

La giornata a scuola era stata un vero tormento. Distante, svagato, non era riuscito a concentrarsi su nulla. Per fortuna non era stato interrogato. Sarebbe stato un disastro. Per tutto il tempo aveva pensato a ciò che avrebbe potuto dire a Monica quella sera. A evocare argomenti di conversazione e a formulare pensieri profondi, argute considerazioni. Si era anche chiesto, provando un po’ di disagio, fino a che punto avrebbe potuto spingersi con lei. Non era un grande esperto di corteggiamento, tanto valeva ammetterlo, quindi sarebbe stato facile compiere passi falsi. In ultimo aveva deciso che, a un certo punto, ancora da stabilire, le avrebbe preso la mano e, tenendola tra le sue, l’avrebbe accarezzata a lungo. In seguito alla sua reazione avrebbe stabilito come procedere.  Era comunque consapevole che l’improvvisazione non era la sua dote più spiccata. Pensando a tutto ciò, sudava.

Il pomeriggio, invece, era trascorso in fretta. Naturalmente non era riuscito a studiare. Si era limitato a stare seduto sul divano, a pensare. Forse aveva anche dormito un po’. Era stanco, nel corpo ma soprattutto nella mente. Non era riuscito a cenare e i suoi genitori si erano meravigliati. Di solito il suo appetito era molto robusto. Ultimati i preparativi, tra i quali un’accurata rasatura e un’attenta vestizione, era finalmente uscito. Era impossibile frenare i battiti del cuore. Le mani erano gelate. Quasi in trance, aveva raggiunto gli amici nel luogo di ritrovo stabilito poi, tutti insieme, si erano diretti al locale, dove avevano appuntamento con l’altro gruppo. E con Monica.

Durante il tragitto, compiuto camminando con rigidità e senza pronunciare una sola parola, aveva notato i suoi amici osservarlo con preoccupata attenzione. Allora aveva cercato di sorridere per rassicurarli ma non c'era riuscito. I suoi muscoli facciali avevano smesso di funzionare.

Infine erano arrivati, gli altri li stavano già aspettando.

Lei non c'era. 


martedì 18 giugno 2024

TENERLA BASSA


Fin da ragazzino, quando ogni giorno scappava all’oratorio per disputare interminabili partite, era stato colpito da quel particolare e importante elemento del gioco del calcio: il tiro. Perché, alla fine, ciò che contava era proprio quello: calciare la palla con forza e precisione e indirizzarla nella rete avversaria. Certo, allora su quel campo polveroso le porte non esistevano. Ma questo, per lui e per gli  altri ragazzi, non rappresentava una grande complicazione. Per delimitare quell'indispensabile spazio si utilizzavano bastoncini conficcati nel terreno oppure semplicemente maglie e borse ammucchiate. La traversa, di conseguenza, non c’era. A quel punto diventava necessario seguire il consiglio che don Mario non si stancava mai di ripetere. Tienila bassa, suggeriva il giovane prete, tira rasoterra, urlava staccando per un attimo il fischietto dalle labbra. In quel modo si limitavano le dispute infinite sull’altezza del tiro. L’assenza della barra trasversale rendeva difficile stabilire se il tiro era da considerarsi buono oppure no. Una conclusione a pelo d’erba invece semplificava il problema, anzi lo annullava. E niente discussioni, soprattutto.

Più tardi era riuscito a realizzare il sogno della sua vita, diventare un calciatore professionista. Non era stato uno dei migliori, non era mai stato considerato un vero campione, tuttavia aveva ricevuto da quella pratica grandi soddisfazioni. Aveva militato in diverse squadre di una certa importanza, sempre con ruolo da comprimario, tuttavia aveva avuto la possibilità di girare il mondo, di vedere tanti luoghi e di incontrare molte persone. In tutti quegli anni la sua vecchia ossessione aveva però continuato a tormentarlo: il tiro. Si rifiutava sempre, con incomprensibile ostinazione, di alzare il pallone da terra. La palla era fatta per viaggiare sull’erba, pensava, e non per essere lanciata in aria a percorrere improbabili e imprevedibili traiettorie. E questa regola diventava assoluta quando si trattava di calciare a rete. Bassa, lui la palla continuava a tenerla bassa. Non potevano esserci eccezioni.  

La sua carriera purtroppo si era interrotta presto. Un grave infortunio lo aveva costretto a fermarsi prima del tempo e le scarpette erano finite, malinconicamente, appese al fatidico chiodo. Ma gli anni trascorsi sui campi da gioco gli avevano permesso di acquisire un notevole bagaglio di esperienza, perché lui era un tipo riflessivo, che amava analizzare tutte le situazioni di gioco, le tattiche e le strategie. Aveva così deciso che non doveva sprecare quella competenza, ed era diventato allenatore. Aveva avuto così la possibilità di sperimentare tutte quelle teorie che, nel corso degli anni, aveva elaborato. Come sempre, però, si era concentrato su quell’aspetto che lo aveva così tanto affascinato: la balistica del tiro. Si era convinto sempre di più che un pallone calciato non doveva perdere, per nessun motivo, contatto con il terreno. Un tiro alto, anche se indirizzato nello specchio della porta, era comunque da considerarsi come un tiro sbagliato. Per non parlare poi di quegli sventurati palloni che andavano a finire in curva, tra gli spettatori o, addirittura, di quelli calciati alle stelle. Un vero orrore, che lo faceva soffrire. Proprio per evitare tali sconvenienti situazioni non si stancava mai di ripetere ai suoi giocatori, proprio come faceva l’ormai compianto don Mario con lui  tanti anni prima, che la vera essenza del tiro consisteva nella totale aderenza della palla al tappeto erboso. Poco per volta, aveva mutato il modo di pensare di un’intera generazione di calciatori, e aveva trasformato quelle giovani promesse in suoi fedeli adepti: gli adoratori del tiro rasoterra.

Alla fine erano arrivati anche i risultati. Aveva finalmente raccolto i frutti di quella sua instancabile predicazione. La sua carriera di allenatore era stata un successo. Aveva diretto le più grandi squadre, raggiungendo fama, ricchezza, onori e gloria.

Prima di ritirarsi, aveva deciso di togliersi un’ultima soddisfazione. Aveva accettato di guidare la nazionale del proprio Paese ai Campionati del Mondo, per conquistare l’unico trofeo che ancora gli mancava. Il cammino nella competizione era stato più facile del previsto. Raggiungere la finale era stato quasi un gioco da ragazzi.

E adesso si trovava molto vicino al trionfo. Mancavano meno di cinque minuti alla fine dell’incontro. La partita, fino a quel momento, era stata piuttosto equilibrata. La situazione era di parità. Ma, pochi istanti prima, l’arbitro aveva concesso un calcio di rigore alla sua squadra.

Era fatta, la vittoria non poteva più sfuggire. Luiz Armando Ferreira Ramos Da Silva, detto Diablito, aveva sistemato con grande cura la palla sul dischetto. Diablito era un tiratore eccezionale. Le sue conclusioni, violente e dalle traiettorie… diaboliche, rasavano l’erba fino alla terra. Diablito, voltando il capo, aveva scambiato con lui un ultimo fuggevole sguardo d'intesa. Nei suoi occhi si leggeva tutta la sua sicurezza. E la sua grande determinazione. Anche se non era per nulla indispensabile, lui aveva risposto con il solito cenno, il cui significato era sempre lo stesso: tienila bassa, il più possibile. L’arbitro aveva fischiato, Diablito aveva preso una breve rincorsa, come suo solito. E poi aveva calciato, con una potenza impressionante. Il pallone per un tratto aveva arato il terreno, poi era penetrato in esso e si era perso, diretto verso chissà quali lontane profondità.

L’intero stadio si era ammutolito. Centomila tifosi sbalorditi. Attoniti. Sgomenti.

Bassa. Troppo bassa, aveva pensato. 


lunedì 10 giugno 2024

LA CREATURA


Fuori era ancora buio quando entrai nella stalla per la prima mungitura. La creatura era distesa sullo sgabello. Mi avvicinai senza fare rumore. Non era un animale, come avevo pensato, ma aveva sembianze umane. Lunga poco più di dieci centimetri, pelle scura ricoperta da peli corti e ispidi. Ciò che mi fece davvero impressione, a parte la sua nudità, fu il suo viso. Un volto in miniatura, dai lineamenti delicati, quasi belli. La creatura stava dormendo. Allungai il braccio, la afferrai di scatto all'altezza della vita. Si svegliò, spalancò gli occhi e tentò di divincolarsi, ma io la tenevo ben stretta. Emetteva dei suoni, degli strani squittii, cercò anche di mordermi. Lesto, spalancai una gabbia dei conigli, vuota, e vi gettai dentro lo strano essere. Mi sedetti sullo sgabello, a riprendere fiato, ad aspettare che i battiti del cuore si calmassero. Era accaduto tutto così in fretta. Mi affacciai alla gabbia, osservai la creatura attraverso la rete di metallo. Era in piedi, e mi guardava. Nei suoi minuscoli occhi mi parve di scorgere un lampo d'odio. Non avevo mai visto nulla del genere, non sapevo che cosa fare. Decisi di chiamare mio fratello, che forse stava ancora dormendo. Uscii dalla stalla, le vacche muggivano, tornai nell'aia e iniziai a urlare il suo nome. Più volte. Dopo una lunga attesa, ero tutto infreddolito, vidi venirmi incontro Remo. Aveva i capelli arruffati, stava tentando di mettere la camicia nei pantaloni, la grossa pancia ostacolava la sua manovra.

"Si può sapere che diavolo c'è?" mi apostrofò con durezza.

"Vieni nella stalla" dissi. Entrammo. Lo condussi nei pressi della gabbia.

"Guarda" dissi, invitandolo ad accovacciarsi.

"Che bestia è?" disse Remo, dopo una rapida occhiata.

"Non è una bestia. È fatto come noi, soltanto più piccolo".

"Noi non andiamo in giro senza vestiti" disse mio fratello.

"Che cosa facciamo? Conviene parlare con il prete?" chiesi.

"Il prete? Sei pazzo? E cosa direbbe la gente?".

"Nulla" dissi, un po' incerto.

"Ti sbagli di grosso. Direbbero cose brutte, molto brutte".

"Allora?"

"Tu l'hai trovata e tu te ne devi sbarazzare" ordinò Remo, perentorio.

"Ma come?"

Remo si guardò attorno, mentre le vacche muggivano sempre più forte, le mammelle dolenti.

"Prendi la trappola, quella per le pantegane. Metti dentro questa bestia, vai al torrente e la affoghi".

Poi sputò per terra e uscì dalla stalla.

Decisi di far aspettare ancora le vacche. Intendevo risolvere subito la faccenda e non pensarci più. Aprii la gabbia dei conigli, afferrai la creatura per gambe e la infilai nella gabbietta di legno, che usavamo per catturare i ratti. Da un lato della trappola sporgeva una specie di maniglia, la afferrai e andai fuori. Mi diressi verso il ruscello. La creatura non emetteva più alcun suono, né si dibatteva, forse rassegnata al proprio destino.

Stava schiarendo, e mentre camminavo nell'erba bagnata pensavo a che diritto avessi di sopprimere quello strano essere. Era una creatura di Dio, fatta a sua immagine, come me, e forse senziente. All'improvviso cambiai direzione e mi diressi verso il bosco. Decisi che non avrei ammazzato la creatura, ma che sarebbe stata di nuovo libera. Mio fratello non lo avrebbe saputo. Dopo che mi fui inoltrato tra gli alberi per quasi cinquecento passi, mi fermai in prossimità di una radura erbosa. Appoggiai a terra la gabbia di legno e aprii lo sportello. La creatura uscì. Pensavo che, ritrovata la libertà, sarebbe scappata veloce come un fulmine. Invece non si allontanò. Sollevò la minuscola testa verso di me, cercando di attirare il mio sguardo. Poi iniziò a muovere il braccio destro, desiderava che la seguissi. Dove mi voleva condurre? Dai suoi simili? Intendeva forse ringraziarmi in qualche modo per avergli salvato la vita? Iniziai a seguirla. Dopo appena qualche istante la terra mi mancò da sotto i piedi. Precipitai in una buca, sul fondo della quale erano piantati decine di steli di legno, sottili e molto appuntiti. Il mio corpo fu trapassato da parte a parte da quelle crudeli bacchette. Non potevo più muovermi. Prima di morire dissanguato mi parve di udire, proveniente dai bordi della fossa, lo squittio della creatura. Un suono che sembrò beffardo.   


lunedì 3 giugno 2024

SPACE INVADERS

Vi ricorderete di quel vecchio videogioco, un po' primitivo, che si chiamava Space Invaders. Ebbene, è accaduto davvero, ma questo non è affatto un gioco. Da qualche mese è in atto un tentativo di invasione aliena. Una moltitudine di navicelle extraterrestri ha dato l'assalto al nostro pianeta. Sono milioni e milioni, in tutte le parti del globo, arrivano a tutte le ore del giorno, senza sosta. Fino a questo momento, tuttavia, sono state tutte abbattute. La nostra contraerea, le nostre difese missilistiche, in azione in tutti i continenti, sono sempre riuscite ad avere la meglio. Le navi aliene vengono distrutte già nell'atmosfera, pertanto non abbiamo mai avuto la possibilità di recuperare i loro rottami, dispersi nello spazio. Non sappiamo, di conseguenza, se a bordo di quei veicoli ci sono delle creature aliene, oppure se si tratti di semplici mezzi manovrati da chissà dove. Nel primo caso avremmo compiuto un'autentica strage, ma non è il momento di tormentarci con problemi etici, occorre invece pensare alla sopravvivenza del genere umano. Per quanto tempo potremo resistere senza soccombere? Poco, dicono gli esperti di tutto il mondo. Tutte le nostre risorse, quelle dell'intero pianeta, sono state destinate alla difesa. Un miliardo di uomini e donne è impegnato direttamente, tutti i giorni, ad affrontare gli invasori. L'economia mondiale è crollata, tutte le industrie, a parte quelle alimentari, sono state riconvertite per produrre armamenti. Il tracollo è ormai vicino. I vecchi dicono: "Cerchiamo di resistere il più possibile, tentiamo di arrivare al secondo livello, poi si vedrà. Un poco alla volta, con pazienza, si può vincere". Li lasciamo parlare, non comprendiamo bene ciò che dicono, forse si riferiscono a quel vecchio videogioco. Ma quello che stiamo vivendo non è un gioco, è la realtà. E passare dalla realtà al GAME OVER, si sa, è questione di un attimo.