Ecco la mia autobiografia.
Innanzitutto, sono
nato. Le circostanze della mia nascita, tuttavia, furono burrascose.
Quando mia madre
avvertì le prime doglie era sola in casa. Suo marito, nonché mio padre, era al
lavoro. Allora non avevamo il telefono, posseduto invece dalla nostra vicina di
casa, la signorina Eleonora, vecchia zitella acida. Mia madre si fece forza,
era una donna molto coraggiosa, uscì dall'appartamento e bussò a quello della
dirimpettaia. La signorina Eleonora, sempre di guardia dietro lo spioncino
dell'uscio, aprì subito. Appena si rese conto della situazione si mise una mano
sulla bocca, sgomenta. Lei odiava, nell'ordine: le donne sposate, le donne
gravide, qualsiasi tipologia di bambino. Offrì comunque a mia madre la generosa
possibilità di fare una telefonata, consigliando di lasciar perdere il marito,
gli uomini sono inutili in certe situazioni, e di preferire invece un tassì.
Mia madre, nel frattempo, si era un po' ripresa. Le doglie, così come
improvvise erano venute, allo stesso modo se n'erano andate. Ringraziò la
signorina Eleonora, tornò in casa, prese dal guardaroba una borsa, pronta da
mesi, e scese in strada. Si recò, con andatura prudente, alla vicina fermata
del tram. Fu fortunata, perché l'attesa fu breve.
Sbuffando, rossa in
viso, salì sulla vettura, che era piena. Dapprima, nessuno le cedette il posto.
Tutti fingevano indifferenza, parlavano, leggevano il giornale, guardavano dai
finestrini. Infine una donna si alzò e fece sedere mia madre. Quella donna,
nessuno lo sapeva tranne lei, era a sua volta incinta, ma soltanto al quarto
mese.
Quando il tram giunse
alla fermata precedente a quella dell'ospedale si fermò. Forse si era guastato
qualcosa, forse c'era stata un'interruzione di energia elettrica sulla linea,
fatto sta che non riuscì più a ripartire. Il conduttore costrinse i passeggeri
a scendere. Non c'era neppure la possibilità di attendere la vettura
successiva, perché i binari erano bloccati. Mia madre, ormai sfinita, si
sedette sul marciapiede. La sua grossa figura in difficoltà fu subito notata da
un gruppo di muratori impegnati a lavorare lì accanto. Appreso che la donna
doveva recarsi con urgenza in ospedale, distante non più di cinquecento metri,
decisero di aiutarla. Il loro camioncino, tuttavia, si era appena allontanato
per andare a recuperare dei mattoni. Dopo un breve conciliabolo, i muratori
stabilirono di utilizzare una carriola, sulla quale fu dispiegato un telo
pulito. Poi, usando estrema cautela, vi adagiarono sopra mia madre. Il viaggio
verso l'ospedale durò una decina di minuti. Ad accompagnare la donna gravida in
carriola, oltre ai tre muratori, si unirono molti passanti. Giunti al
nosocomio, mia madre fu affidata alle cure delle infermiere. Quel giorno, nel
reparto maternità, era di turno un dottorino al suo primo giorno di lavoro.
Appena vide la donna, e la sua condizione di imminenza al parto, fu preso dal
panico. Sapeva come nascono i bambini, lo aveva appreso durante il suo corso di
studi, ma la realtà era tutt'altra cosa. Per buona sorte era presente anche una
anziana ostetrica, la quale invitò il medico a levarsi di torno e prese in mano
la situazione. Dopo un paio d'ore di travaglio nacqui io. Tre chili e duecento
grammi di neonato urlante.
Dopo quel giorno, la
mia vita non fu più caratterizzata da alcun episodio di rilievo, per cui
termino qui la mia breve autobiografia.