Periodicamente si torna
a parlare, quasi sempre in maniera allarmistica, del calo di natalità che interessa
la società occidentale. A fare la voce più grossa, in queste occasioni, sono i paladini
della difesa dell'identità nazionale. La diminuzione del numero di nascite
significa, per loro, una minaccia seria alla tipicità della nazione. Sgombriamo
subito il campo da qualsiasi fraintendimento e diciamo che, in assoluto e con
il significato di solito attribuito, l'identità nazionale non esiste. Così come,
logica conseguenza, non sussiste il concetto di razza, se non nella mente disturbata
di qualche fanatico.
L'identità nazionale,
se proprio la si vuole in qualche modo definire, non è altro che la cultura di
una nazione. E per cultura si intende l'insieme delle manifestazioni della vita
materiale, sociale e spirituale di un popolo, collegate ai vari passaggi
evolutivi, al contesto storico e alle condizioni ambientali. In sintesi gli
aspetti culturali sono in continua trasformazione e, soprattutto, prodotti e
alimentati dalla contaminazione, la quale contribuisce in maniera determinante
ad arricchirli e ad incrementarne il valore.
Tutt'altra questione è
quella rappresentata dall'aspetto puramente demografico del problema. Il nostro
pianeta conta, allo stato attuale, quasi sette miliardi e mezzo di abitanti.
Stime attendibili dell'ONU prevedono che, nel 2050, i dimoranti sulla terra
saranno circa nove miliardi. Una cifra enorme, alla quale contribuiranno in
special modo i paesi in via di sviluppo. La domanda è: il nostro esausto
pianeta è in condizione di ospitare una tale esorbitante massa di abitanti? In
teoria sì, in pratica la faccenda è assai diversa, e seria. Le risorse
potrebbero essere, secondo ipotesi, sufficienti. Tuttavia l'enorme disparità
nella distribuzione di tali risorse, e della derivante ricchezza, destinata a
pochi, suscita preoccupazione riguardo la sorte delle future generazioni. E tutto
fa prevedere che la sperequazione rimarrà tale, anzi sarà destinata ad avere un
ancora maggiore incremento.
Alla luce di tutto ciò
gli allarmismi riguardanti i massicci fenomeni migratori in atto negli ultimi
anni appaiono essere eccessivi, fermo restando la necessità di un loro, seppure
minimo, governo. La redistribuzione regolata sul pianeta di una quantità di
abitanti (molti dei quali giovani) non può che rappresentare una salutare
valvola di sfogo per ridurre la pressione demografica in zone del pianeta
povere o tormentate da conflitti nonché contribuire a trasfondere energia nuova
in realtà vecchie, stanche e immobili.
Pur nell'esistenza di
un quadro così inquietante è comunque opportuno tenere sempre conto di un punto
di vista tutt'altro che trascurabile, vale a dire la libertà, per qualsiasi
essere umano, di poter mettere al mondo un figlio. Prerogativa che, per nessuna
ragione, può essere limitata o, ancora peggio, negata.
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