Il sole sta per
congiungersi con l’orizzonte. Il suoi ultimi stanchi bagliori donano alla
superficie dell’acqua un colore grigio brillante con lievi riflessi dorati.
E lei è là, in mezzo
alle sue amiche, nell’atrio della scuola. I miei occhi fissano il suo caschetto
di capelli neri, il suo viso pallido, le gambe inguainate nei jeans, l’avambraccio
nudo, ricoperto da invisibile peluria, che sorregge il pugno di libri legati
con una cinghia rossa.
“E quella ragazza sarebbe
bella? Lo hai visto il naso? Guardalo bene, ha una gobba” dice il vecchio, che
però non esiste.
Gli occhi di Antonella
sono scuri, sul suo nasino un po’ schiacciato è presente una minima gibbosità,
che non mi disturba affatto. Anzi, questo suo piccolo difetto la rende ancora
più bella. La perfezione assoluta non mi attira, mi annoia.
“E così hai deciso di
fartela piacere per forza, vero? Sei proprio uno stupido. Ma poi, mi domando, a
che serve tutto ciò, tutta questa costruzione mentale, se lei non ti guarda
neppure? Dai retta a me, scegline un’altra, che sia bella sul serio, e sbavaci
dietro. Tanto, è la stessa cosa”. Ancora il vecchio, che in realtà non esiste.
Mi avvicino al gruppo
di ragazze, intente a confabulare tra loro, a ridere e scherzare. La più seria
tra tutte è proprio lei, Antonella. La guardo, lei ricambia per un istante la
mia occhiata. I suoi occhi brillano. Ancora un passo, soltanto uno. Lo faccio, ma
nell’altra direzione.
“Coglione! Sei un povero
coglione. Ormai era quasi fatta, qualsiasi cosa avresti detto la bruttona
sarebbe caduta ai tuoi piedi. Non aspettava altro. D’altra parte, chi la vuole
una come quella? Accidenti quanto è bassa!” Taci, vecchio, che tanto non
esisti.
Sfilo la scarpa destra.
In superficie la sabbia è ancora tiepida. Sotto, è umida.
Lui dorme sul ciglio
della strada. La coperta tirata sul capo, per difendersi dal freddo, per
proteggersi dagli sguardi pietosi, che fanno male. Al mattino, quando il suo
spirito si risveglia, il corpo intirizzito fatica a rimettersi in moto. Il
letto viene rifatto, le coperte sudicie vengono lisciate con cura, i pochi
oggetti, uno zaino logoro, un bicchiere di plastica, una bottiglietta d’acqua, vengono
allineati accanto al misero giaciglio.
“Tu racconti balle. Non
dorme sul bordo della strada, ma sotto il portico, al riparo delle grandi colonne.
Ti piace esagerare, adori costruire uno scenario più tragico di come sia in
realtà? Quel miserabile è felice, è libero. Oppure quella visione quotidiana
rimorde la tua delicata coscienza? Vuoi donargli qualche monetina? Fallo!
Vorresti per caso prendere il suo posto? Accomodati!” Queste le parole del
vecchio, e non esiste.
A volte mi chiedo se
riuscirei a condurre una vita simile. Mangiare quando capita, aspettare
paziente gli spiccioli di elemosina, dormire la notte quando il termometro
scende sotto lo zero, e il gelo poco alla volta ti afferra e ti strapazza, ti
annienta. Mi chiedo quali sarebbero i miei sogni. Morirei. Non voglio morire,
voglio continuare a essere un vigliacco, voglio detestarmi, e tiro dritto.
“Hai visto? Non avevo
forse ragione?” il vecchio, che non esiste.
È nuda, o quasi. Mi
guarda. Mi sfida. Sollevo il frustino e inizio a percuoterla, con colpi deboli.
Le frange di cuoio colpiscono la sua pelle con sempre minore forza, pelle che
nemmeno si arrossa. Lei è delusa, lo sento, ma non dice nulla. Tacitamente mi
invita a riprovare, cerca di incoraggiare la mia inettitudine, allo stesso
tempo è sconcertata dalla mia mollezza. Ma il mio braccio è rigido, pesante,
faccio fatica a sollevarlo, lo contrasto quando ricade.
“Frustala! Colpisci!
Falle male! È quello che vuole, no? Ti chiede soltanto di batterla, di causarle
dolore. È questo ciò che le piace, quello che si aspetta da te” dice il
vecchio, che non esiste.
Rivoli di sudore freddo
rigano la mia fronte. Ho la nausea. È inutile, ho paura di farle del male,
abbandono il frustino.
“Dovevi insistere!
Ancora qualche colpo ben assestato e avresti scatenato il piacere. Sei un
incapace, non osi mai.” Zitto, vecchio, se non esisti.
Tolgo la scarpa
sinistra, affondo entrambi i piedi nella sabbia. Sento fresco.
Parole, nel corso della
mia vita di parole ne ho pronunciate tante. C’è chi dice, al contrario, che
siano state poche. Io ritengo siano state troppe.
“Non è una questione di
quantità ma di qualità. Ma, soprattutto, è una questione di opportunità” dice
il vecchio, con voce finalmente tranquilla, anche se non esiste.
Sono d’accordo, ciò che
importa è il contesto e, soprattutto, sapere scegliere il momento giusto. Quasi
mai si riesce a farlo, e si fallisce di continuo. Finché si arriva al momento
in cui le parole non sono più necessarie, non servono più. Perché tutte le
occasioni sono perdute.
“Bravo, vai adesso”
dice il vecchio, che pur non esiste.
Mi incammino verso il
mare. Entro in acqua, che ormai è una immensa distesa scura. Chissà fino a dove
riuscirò ad arrivare. E il vecchio non c’è più. Non c’è mai stato. Non esiste.
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