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domenica 6 dicembre 2015

OCCASIONI PERDUTE


Il sole sta per congiungersi con l’orizzonte. Il suoi ultimi stanchi bagliori donano alla superficie dell’acqua un colore grigio brillante con lievi riflessi dorati.
E lei è là, in mezzo alle sue amiche, nell’atrio della scuola. I miei occhi fissano il suo caschetto di capelli neri, il suo viso pallido, le gambe inguainate nei jeans, l’avambraccio nudo, ricoperto da invisibile peluria, che sorregge il pugno di libri legati con una cinghia rossa.
“E quella ragazza sarebbe bella? Lo hai visto il naso? Guardalo bene, ha una gobba” dice il vecchio, che però non esiste.
Gli occhi di Antonella sono scuri, sul suo nasino un po’ schiacciato è presente una minima gibbosità, che non mi disturba affatto. Anzi, questo suo piccolo difetto la rende ancora più bella. La perfezione assoluta non mi attira, mi annoia.
“E così hai deciso di fartela piacere per forza, vero? Sei proprio uno stupido. Ma poi, mi domando, a che serve tutto ciò, tutta questa costruzione mentale, se lei non ti guarda neppure? Dai retta a me, scegline un’altra, che sia bella sul serio, e sbavaci dietro. Tanto, è la stessa cosa”. Ancora il vecchio, che in realtà non esiste.
Mi avvicino al gruppo di ragazze, intente a confabulare tra loro, a ridere e scherzare. La più seria tra tutte è proprio lei, Antonella. La guardo, lei ricambia per un istante la mia occhiata. I suoi occhi brillano. Ancora un passo, soltanto uno. Lo faccio, ma nell’altra direzione.
“Coglione! Sei un povero coglione. Ormai era quasi fatta, qualsiasi cosa avresti detto la bruttona sarebbe caduta ai tuoi piedi. Non aspettava altro. D’altra parte, chi la vuole una come quella? Accidenti quanto è bassa!” Taci, vecchio, che tanto non esisti.
Sfilo la scarpa destra. In superficie la sabbia è ancora tiepida. Sotto, è umida.
Lui dorme sul ciglio della strada. La coperta tirata sul capo, per difendersi dal freddo, per proteggersi dagli sguardi pietosi, che fanno male. Al mattino, quando il suo spirito si risveglia, il corpo intirizzito fatica a rimettersi in moto. Il letto viene rifatto, le coperte sudicie vengono lisciate con cura, i pochi oggetti, uno zaino logoro, un bicchiere di plastica, una bottiglietta d’acqua, vengono allineati accanto al misero giaciglio.
“Tu racconti balle. Non dorme sul bordo della strada, ma sotto il portico, al riparo delle grandi colonne. Ti piace esagerare, adori costruire uno scenario più tragico di come sia in realtà? Quel miserabile è felice, è libero. Oppure quella visione quotidiana rimorde la tua delicata coscienza? Vuoi donargli qualche monetina? Fallo! Vorresti per caso prendere il suo posto? Accomodati!” Queste le parole del vecchio, e non esiste.
A volte mi chiedo se riuscirei a condurre una vita simile. Mangiare quando capita, aspettare paziente gli spiccioli di elemosina, dormire la notte quando il termometro scende sotto lo zero, e il gelo poco alla volta ti afferra e ti strapazza, ti annienta. Mi chiedo quali sarebbero i miei sogni. Morirei. Non voglio morire, voglio continuare a essere un vigliacco, voglio detestarmi, e tiro dritto.
“Hai visto? Non avevo forse ragione?” il vecchio, che non esiste.
È nuda, o quasi. Mi guarda. Mi sfida. Sollevo il frustino e inizio a percuoterla, con colpi deboli. Le frange di cuoio colpiscono la sua pelle con sempre minore forza, pelle che nemmeno si arrossa. Lei è delusa, lo sento, ma non dice nulla. Tacitamente mi invita a riprovare, cerca di incoraggiare la mia inettitudine, allo stesso tempo è sconcertata dalla mia mollezza. Ma il mio braccio è rigido, pesante, faccio fatica a sollevarlo, lo contrasto quando ricade.
“Frustala! Colpisci! Falle male! È quello che vuole, no? Ti chiede soltanto di batterla, di causarle dolore. È questo ciò che le piace, quello che si aspetta da te” dice il vecchio, che non esiste.
Rivoli di sudore freddo rigano la mia fronte. Ho la nausea. È inutile, ho paura di farle del male, abbandono il frustino.
“Dovevi insistere! Ancora qualche colpo ben assestato e avresti scatenato il piacere. Sei un incapace, non osi mai.” Zitto, vecchio, se non esisti.
Tolgo la scarpa sinistra, affondo entrambi i piedi nella sabbia. Sento fresco.
Parole, nel corso della mia vita di parole ne ho pronunciate tante. C’è chi dice, al contrario, che siano state poche. Io ritengo siano state troppe.
“Non è una questione di quantità ma di qualità. Ma, soprattutto, è una questione di opportunità” dice il vecchio, con voce finalmente tranquilla, anche se non esiste.
Sono d’accordo, ciò che importa è il contesto e, soprattutto, sapere scegliere il momento giusto. Quasi mai si riesce a farlo, e si fallisce di continuo. Finché si arriva al momento in cui le parole non sono più necessarie, non servono più. Perché tutte le occasioni sono perdute.
“Bravo, vai adesso” dice il vecchio, che pur non esiste.
Mi incammino verso il mare. Entro in acqua, che ormai è una immensa distesa scura. Chissà fino a dove riuscirò ad arrivare. E il vecchio non c’è più. Non c’è mai stato. Non esiste.

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