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domenica 21 aprile 2019

DARE UN SENSO



É una bella mattinata di primavera e sto percorrendo in automobile una strada di campagna.
All'improvviso trovo la carreggiata ostruita da una vettura che sta effettuando una manovra. All'auto è agganciato un carrello e l'uomo al volante sta tentando di imboccare in retromarcia uno stretto viottolo. L'operazione, sia per la sua complessità, sia per l'evidente imperizia del conducente, si presenta piuttosto difficile. L'uomo prova e riprova più volte, ma ogni suo tentativo non è premiato dal successo. A un certo punto mi guarda, abbozza un sorriso imbarazzato, poi si ributta in un nuovo tentativo di manovra. Anche se non le vedo, riesco a immaginare le gocce di sudore che ormai imperlano la sua fronte spaziosa. Dietro di me adesso si arresta un'altra automobile, e questo rende ancora più febbrili e concitati gli sforzi dell'inesperto autista.
Io ho arrestato la vettura, ho messo in folle e tirato il freno a mano. Sbircio con la coda dell'occhio i ripetuti fallimenti dell'automobilista ma, nello stesso tempo, mi guardo attorno. Vedo il cielo azzurro, le minuscole foglie degli alberi, di colore verde acceso; sulla mia destra scorgo alcune galline che, con grande impegno grattano il terreno con le zampe alla ricerca di cibo. Sono paziente, mi sento molto paziente e, soprattutto, mi sento in pace con me stesso.
Di colpo la situazione si sblocca. L'uomo è riuscito, chissà se per abilità tardiva o intervenuta fortuna, a indirizzare il carrello nella giusta direzione e a liberare finalmente la strada. Mi rimetto in moto. Lui mi indirizza un cenno, come a chiedere scusa per il tempo che mi ha fatto perdere. Io sorrido e ricambio il gesto, ma il mio non è un segno di accettazione puro e semplice, bensì un ringraziamento. Sono davvero riconoscente a quell'autista incapace, perché mi ha permesso di dare un senso a cinque minuti della mia esistenza che altrimenti sarebbero stati insignificanti.

domenica 7 aprile 2019

I DISPENSATORI



Quando alcuni decenni fa qualcuno intendeva soddisfare qualche particolare curiosità oppure appagare la sua sete di conoscenza non aveva altra possibilità se non quella di ricorrere ai Dispensatori di Sapere.
Chi erano, chi potevano essere questi Dispensatori?
Innanzitutto ci si rivolgeva ai genitori. I genitori degli Anni Sessanta e Settanta del secolo scorso, però, erano un po' diversi dai genitori di adesso o anche soltanto da quelli delle generazioni immediatamente successive. Per loro, tutto ciò che non era ritenuto concreto non era considerato importante. Le domande dei figli, per esempio. Tali domande erano sempre sciocche o inopportuno era il momento nel quale venivano rivolte. Il genitore era sempre affaccendato in qualcosa oppure doveva riposarsi. In più non tutti i genitori, supponendoli disposti a rispondere, disponevano delle conoscenze necessarie per esaudire i quesiti dei pargoli. Qualcuno di questi ultimi disponeva di fratelli maggiori, ma non era buona cosa rivolgersi a loro. Quasi sempre si otteneva da loro gelida indifferenza oppure uno sganassone. C'erano poi gli amici e i compagni di scuola, ma a loro ci si rivolgeva soltanto per chiedere lumi su questioni di sesso, per poi scoprire che nella maggior parte dei casi regnava nelle loro acerbe menti una inestricabile confusione che contribuiva a mettere in discussione pure le poche acquisite certezze. L'ultima spiaggia era l'istituzione. Gli insegnanti, in primo luogo. Il fatto è che con gli insegnanti il rapporto all'epoca era del tutto unilaterale: loro parlavano, gli allievi ascoltavano. Nessuno osava rivolgere qualsiasi tipo di domanda, tanto meno richieste curiose, particolari. Si parlava con loro soltanto quando si era interrogati, e unicamente di argomenti legati ai programmi scolastici. L'ultima spiaggia era la biblioteca pubblica. Molti la temevano, e non osavano entrarci. Chissà, forse temevamo di essere presi prigionieri, di non potere uscire più. I più coraggiosi invece entravano per consultare le enciclopedie (alcuni di loro disponevano di una enciclopedia anche a casa - comprata a rate - ma quella non si poteva toccare), per scopiazzare a caso da quegli enormi tomi alcune informazioni da utilizzare per le ricerche scolastiche, ma nessuno pensava che quei temibili e austeri libri erano in grado di esaudire anche altre mille e più curiosità.
Adesso tutto è cambiato. Ciò che si vedeva nei film di fantascienza degli Anni Sessanta e Settanta è realtà. Se si è alla ricerca di una qualsiasi informazione è sufficiente premere un tasto e il "cervello elettronico" risponde con prontezza. La Rete è in grado di soddisfare qualsiasi curiosità, qualsiasi necessità di conoscenza. É la Rete il vero Dispensatore di Sapere del modo di oggi. Chiunque può rivolgersi a Lei, Lei risponde sempre. Ciò che invece oggi manca, purtroppo, è la curiosità.

TE' DI MEZZOGIORNO




É quasi mezzogiorno quando bussano alla porta del mio ufficio.
"Avanti!".
Entra Pamela, una collega dell'ufficio acquisti. Regge tra le mani una tazza di tè. Con Pamela ci conosciamo da quasi vent'anni, da quando siamo stati assunti in questa grande azienda. Non ci vediamo spesso, tuttavia il nostro rapporto di amicizia ha retto nel tempo. A volte scambiamo qualche parola al telefono oppure ci incontriamo di persona, per caso, negli immensi corridoi dell'azienda. Non ci siamo mai frequentati fuori dall'orario di lavoro, anche perché entrambi siamo sposati.
Rimango un po' sorpreso, dal momento che sarà la seconda o terza volta che Pamela entra nel mio ufficio. E ancora di più mi stupisce il fatto che mi abbia portato un tè all'ora di pranzo.
"Grazie Pamela. Appoggia pure sulla scrivania" dico.
"Attento, è bollente" dice lei. Poi mi guarda, accenna un sorriso, gira attorno alla scrivania e si avvicina a me. Io rimango seduto.
"Come va?" domando. "É un po' che non ci vediamo" dico, un po' in imbarazzo per quello starno comportamento.
"Potrebbe andare meglio" risponde lei.
"Qualche problema di lavoro?"
"Non me ne parlare".
"Si tratta di Tommaso?" chiedo.
"Ci puoi giurare".
Tommaso è il suo capo. Lui in azienda è un mio pari grado, e lo conosco bene: avanzando di età diventa sempre più stronzo.
"Si comporta male?" chiedo ancora.
"Si comporta da stronzo quale è" risponde Pamela. Su questo non avevo dubbi.
"E il progetto?" domando. Mi riferisco a un importante progetto di riorganizzazione delle rete degli acquisti in cui è da tempo impegnata la mia collega.
"Va abbastanza bene" dice lei, distratta. Poi si avvicina ancora di più a me. É vestita con leggings neri e una camicetta lunga. Penso che proprio ieri ho letto un articolo in cui si parlava della bruttezza dei leggins e della loro presunta immoralità, poiché rivelano troppo le forme femminili. Da parte mia non li considero né brutti né immorali; la bellezza o la bruttezza non sono altro che l'espressione del senso estetico soggettivo mentre nessuno può permettersi giudizi in materia di moralità. Ma torniamo a Pamela, che ormai si è avvicinata a me talmente tanto che la sua coscia sfiora il mio ginocchio. La mia collega è una ragazza graziosa, dai lineamenti del viso molto sottili e con una figura interessante. In ogni caso l'ho sempre considerata troppo magra, e la sua presenza non mi ha mai provocato turbamenti fisici di alcun tipo. Stavolta è diverso.
"E tu come te la passi?" mi chiede passandosi la lingua sulle labbra. Non riesco a rispondere. Lei ormai preme la sua coscia contro il mio ginocchio. Subito dopo struscia entrambe le cosce contro il mio ginocchio! Più volte! La pressione delle sue gambe su di me aumenta, mi sembra quasi di sentire la sua pelle attraverso il tessuto sottile. Chiudo gli occhi.
"Adesso deve andare" dice lei all'improvviso. "Mi raccomando, fatti sentire" aggiunge, prima di uscire. Di lei rimangono una sottile fragranza, inquinata dalla puzza del mio sudore, e una tazza di tè.