È una calda sera
estiva. Tutte le finestre del mio appartamento sono spalancate. Tutte le luci
sono spente, tranne una, quella che illumina il libro che sto leggendo. A un
tratto sento un rumore. Un frullare vorticoso di piccole ali pesanti. In casa è
entrato un insetto.
La fastidiosa interferenza
mi fa perdere la concentrazione. I miei occhi scorrono sempre la stessa riga.
Indispettito, chiudo il
libro di scatto. Silenzio. Dopo pochi istanti, il disturbo riprende.
Mi alzo dalla poltrona
e vado alla ricerca del seccatore. Spengo la lampada da lettura, mi muovo al
buio attraverso il salotto, urtando mobili, inciampando nel tappeto. Per poco
non cado. L'insetto prosegue i suoi voli: sbatte contro il soffitto, contro le
pareti, poi riprende le sue folli acrobazie. La porta-finestra è aperta, ma lui
non ha nessuna intenzione di approfittare di quella facile via di fuga.
Decido di cambiare
strategia. Non posso affrontare il mio avversario avvolto dalle tenebre, quindi
accendo tutte le luci. L'appartamento è illuminato a giorno. Mi immobilizzo e
cerco di individuare l'insetto. Lo scorgo mentre sta svolazzando intorno al
lampadario: è bruno a abbastanza grosso. Rabbrividisco. Gli insetti provocano
in me un certo ribrezzo, anche se non li so riconoscere. Di sicuro non si
tratta di una falena, perché le sue ali sono minuscole, il corpo vagamente trapezoidale,
ben differente da quello delle disgustose farfalle notturne. Il rumore cessa
all'improvviso. Stupito, mi guardo attorno, e poi lo scorgo. È appoggiato sul
tavolo, immobile. Mi avvicino, timoroso, e lui non scappa. Quasi ipnotizzato da
quella inquietante presenza, accosto il mio viso al suo corpo. Lo scruto. Vedo
le sue antenne sottili e frementi, la sua piccola testa che si alza e si
abbassa. Sembra annuire. Mi sfida. Vuole che lo uccida, che lo schiacci, che
faccia di lui poltiglia, che sparga la sua broda (gialla? arancione?) sul piano
di cristallo. Potrei farlo facilmente, ho ancora tra le mani il pesante volume,
ma non mi decido ad agire. Non sarò io il suo boia. Non sarò io l'artefice del
suo martirio. Perché è proprio ciò che vuole: diventare un eroe, essere
ricordato per il suo ardimento. Mi faccio forza, vinco la ripugnanza, e lo
afferro con delicatezza tra le dita della mano libera. Lo schifoso contatto con
le sue zampette mi fa rizzare tutti i peli del corpo. Dall'insetto si diffonde un
odore nauseante che mi dà il voltastomaco. Resisto e, quasi di corsa, mi
precipito sul balcone. Allargo il pugno e libero il corpicino imprigionato,
lanciandolo nell'aria. Dopo una breve caduta libera prende a volare e si
allontana nel buio della notte.
Sono esausto, fradicio
di sudore. Rientro in casa e sigillo tutte le finestre. Non ho nessuna
intenzione di ripetere a breve una simile spaventosa esperienza. Appena i
battiti del mio cuore si sono calmati rifletto e ripenso a ciò che è appena
accaduto, al mio gesto di generosità. Un atto di bontà che non servirà a nulla,
che non mi assicurerà nessun sconto quando saranno loro, gli insetti, i padroni
del pianeta. Sì, perché sarà questo che avverrà, tra non molto tempo. Loro sono
tanti, sono ovunque, sono robusti, sono adattabili. Domineranno il mondo, e di noi non
avranno alcuna pietà.
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