E poi in tavola
arrivano i piselli.
“I piselli! I piselli!” urla mentre nessuno
bada a lui. I piccoli grumi verdastri portati alla bocca uno a uno, le
pellicine sottili trafitte dai denti e la sostanza farinosa disgustosa che si
appiccica al palato. Si volta. Il venditore d’auto viene incontro con il suo
abito blu da agenzia di pompe funebri, con il garofano rosso all’occhiello e i
capelli lisciati all’indietro con la brillantina.
“Se mi cede la sua
carretta in cambio le offro due automobili nuove. Guardi come si somigliano,
sono praticamente identiche, sono gemelle. Non vuole? Dice che è affezionato al
suo rottame? Non vuole o non può? Se è tale l’affetto che prova per quel
mucchio di lamiere perché non la porta alla casa di riposo?”
La casa è d’epoca.
Suona il campanello dorato sente uno scatto metallico entra. La portineria è un
salone con al centro una grande scrivania di mogano seduta dietro una donna
molto grassa con i riccioli neri e unti che stillano grasso le gocce cadono sul
piano lucido e lo incerano e lo rendono splendido splendente e l’avvocato è
lungo il corridoio a destra poi a sinistra poi di nuovo a destra con le scarpe
impolverate e stanche che finalmente provano sollievo nel camminare affondare
sul morbido tappeto con motivi psichedelici.
Sulla porta con avv.
Tal dei Tali c’è un campanaccio che scuote sbatte percuote finché non appare
una testa ornata da una parrucca di piume. Buonasera signor avvocato buonasera
come sta? Entri pure si accomodi si distenda sulla sedia a sdraio è più comoda
come vede non sono solo c’è anche la giudice è mia ospite così le potrà illustrare direttamente la questione
parli pure con lei che io ho bisogno di una doccia, si sa, le udienze sporcano.
La giudice smette di sferruzzare lo scruta con occhi di civetta, con pochi
abili colpi di forbice si scuce la bocca e gli porge qualcosa.
“Vada a prendere il
latte!” ordina sentenzia con voce maschile poi picchia sul tavolo con una mazza
e lo rompe in due. Giustizia è fatta.
La stradina di campagna
è ricoperta di ghiaia sottile che scricchiola sotto i sandaletti blu. Il
baracchino del latte è bianco a forma di anfora e lui toglie il coperchio che é
legato al manico con una cordicella e poi annusa l’interno e l’odore di plastica
calda è rivoltante subito richiude tappa sigilla. Apre la porticina di metallo
si ritrova sull’ampia aia polli tacchini anatre cani lerci che abbaiano che tentano
di mordere che rizzano il pelo.
“Non dicono niente”
dice il fattore con gli stivali di gomma la grossa pancia che deborda con il
bastone in mano che sventaglia davanti a sé si fa strada tra i pennuti come se
fosse cieco con i cani fedeli alle calcagna che mi guardano male che pensano se
potessimo affondare i denti nei tuoi polpacci teneri.
La lattaia esce dalla
stalla con l’odore di merda vaccina che si spande in tutta corte regge il
pesante secchio sbuffa con le due mani lo appoggia su un tavolino che traballa
sotto il sole delle cinque della tarde. E il toro rinchiuso legato che mai vide
luce emette suoni lugubri non pensa all’arena pensa alle vacche pezzate quelle
dei suoi sogni proibiti. La superficie del latte nel secchio è ricoperta da
mosche alcune morte altre che si agitano in preda ai primi sintomi di
annegamento il colo le sposta le allarga si fa strada tra di loro poi il
mestolo che accoglie il liquido giallognolo grasso e tiepido e lo introduce nel
contenitore dove subito si acquieta e lui che fruga nelle tasche alla ricerca
delle monete le afferra le conta le appoggia sul palmo calloso poco femminile
poco curato senza traccia di manicure invece grande nodoso e sudicio. E poi
scappa di corsa ma attenzione il latte non si deve versare il baracchino non
deve cadere altrimenti chi la sente la nonna e se accade poi lo rimanderà alla
cascina e tutto ricomincerà da capo, per sempre, prendendo una brutta piega.
“Guardami, sono tutta
una piega” piagnucola la tovaglia. Non ti preoccupare, non vedi? Il ferro è già
caldo appoggia la lingua sulla piastra rovente la lingua si incolla la stacca a
fatica poi inizia tra sbuffi enormi di vapore che raggiungono il soffitto a
massaggiare a passare e ripassare sull’asse finché lei si rilassa si spiana
ritrova la sua dignità dopo il trauma del lavaggio la vergogna dell’asciugatura
così esposta a tutti con la pelle che si secca con le rughe che diventano
sempre più marcate il momento dove ognuno dimostra la sua vera età.
Passa e ripassa, con
movimenti circolari, premendo schiacciando prima una piastrella poi un’altra fino
a che diventano lucide. Ma non troppo! Se il lucido è eccessivo poi si scivola
non va bene devi imparare a disciplinarti dice la madre puntando l’indice e lui
sfrega e sfrega con la mano destra che poi si stanca con la mano sinistra con
le ginocchia sul marmo freddo le ginocchia magre con le rotule appuntite che
dolgono premute sulla superficie dura spietata indifferente. Non si va a tavola
fino a quando non avrai finito ancora la genitrice a Cenerentolo con sguardo
arcigno, già non hai raccolto i fiori di malva, aggiunge, oggi toccava a te.
E poi in tavola
arrivano i piselli.
“I piselli! I piselli!”
urla mentre nessuno bada a lui. Minuscoli granelli verdastri accompagnati alla
bocca con cautela prudenza circospezione schiacciati tra le fauci sprizzano
materia farinosa mentre gli occhi sono umidi di pianto.