“Ormai lo sanno tutti!” dice lei, tutto di un fiato.
Quelle parole mi colpiscono come una
stilettata in pieno petto. Freddo, gelo immediato. Per un attimo interminabile
boccheggio, nell’inutile tentativo di introdurre aria nei polmoni. Tutto il mio
corpo è assalito da un tremore che non riesco a controllare. Il cuore martella
impazzito, sento l’eco di quei colpi sordi fino in gola. Morirò. La fine, ma
anche la salvezza. Scaccio in fretta quell’idea malsana, vile. Poco alla volta
riprendo il controllo della mia mente sconvolta, della mia carne scombussolata.
“Perché non dici nulla?” Ancora quella
voce di donna che mi trapassa i timpani, che li perfora con le sue acute
vibrazioni.
“Sto pensando” rispondo. La mia voce è
ridotta a un flebile pigolio. Ho bisogno di tempo. Devo riflettere, ho assoluta
necessità di riordinare le idee. Ma i suoi occhi mi fissano, implacabili. Tento
di sostenere quello sguardo di fuoco, cerco di scorgere in quelle pupille
chiare un lampo di incertezza, un’esitazione, l’umana paura. Non è così. Il
terrore attanaglia soltanto le mie viscere, le rende liquide e impalpabili, le
scioglie.
“Che cosa c’è da pensare? Dimmi qualcosa…”
Ecco, finalmente colgo in lei un
tentennamento. Il mio atteggiamento remissivo la disorienta. I miei indugi, la
mia reticenza producono in lei una insicurezza insolita. Si apre un varco, nel
quale dovrò cercare di infilarmi. Devo approfittarne subito, ma non ci riesco.
Mi sente debole e scosso, non possiedo alcuna lucidità.
“Come l’hai saputo?” chiedo. Una domanda
interlocutoria, sussurrata senza nerbo, per prendere tempo. Mi maledico.
Lei non risponde. Mi squadra a lungo. Poi
sospira e finalmente distoglie lo sguardo. Si accende una sigaretta. Le sue
mani tremano, e quella visione mi sgomenta. Respiro a lungo, più volte. Perché
continuo a essere affamato d’aria?
Infine lei scrolla le spalle, e subito
dopo si affloscia, tutto il suo corpo si sgonfia all’improvviso. Un sacco
vuoto, con i riccioli biondi.
“Tutti lo sanno” dice. La sua voce ha
mutato inflessione. Rassegnazione? Oppure semplice disgusto? Non lo so, faccio
fatica a decifrare questa nuova intonazione. È come se di fronte a me ci fosse
una sconosciuta, e non quella donna che ho a lungo desiderato. Non importa se
non l’ho mai avuta. Non ancora. E non l’avrò più. Mi mancherà, sono sicuro che
mi mancherà. Ma questo non lo posso dire, perché sarei perso. Non posso
perdermi, proprio non me lo posso permettere. Perché? La domanda che rivolgo a
me stesso è retorica, ne conosco bene la risposta. La mia mente dissestata per
un istante, per un solo drammatico istante, richiama l’immagine sbiadita di mia
moglie, dei miei figli. Di fronte a quell’opacità di sentimenti inorridisco,
provo ripugnanza. Nutro pena. Non trascorrerò più ore interminabili a parlare
con lei, a ridere e scherzare, a confidarmi. Non inalerò più il suo profumo,
scorderò la sua allegria, il suo sorriso. Non mi perderò più nei suoi occhi
luminosi. No, nulla di tutto questo. Il senso di perdita mi annienta, mi
annichilisce.
“È meglio se non ci vediamo più” dice lei.
Tristezza, ora percepisco tanta tristezza, ma anche risoluta dignità. Quella
che io non possiedo. È stata lei a pronunciare quelle parole, quelle che si
aspettava da me. Coraggio, tanto coraggio, quello che io non ho.
Raddrizzo la schiena, mi schiarisco la
voce ma non parlo. Non parlo e neppure piango. Invece annuisco, mesto.