L’uomo socchiude l’uscio
della sua misera abitazione e si affaccia. Sposta lo sguardo prima da un lato e
poi dall’altro, come un animale timoroso di uscire dalla propria tana. Infine
spalanca la porta ed esce. Si sistema la cintura dei pantaloni, si aggiusta una
spallina della canottiera blu e si avvia verso il cortile. Lo oltrepassa e
raggiunge la strada, la attraversa e si arresta al margine di un campo di
grano. Le piante di frumento non ci sono più, sono state tagliate il giorno
prima. Durante la notte, perché fa molto caldo, e il contadino e i suoi
occasionali aiutanti hanno deciso di sfruttare le ore più fresche. L’operazione
di mietitura è avvenuta sotto la luce della luna, e dei potenti fanali della
trebbiatrice meccanica.
L’uomo impugna un piccolo
coltello a serramanico, nell’altra mano ha del pane e del formaggio, la sua
cena. Ma non inizia il pasto, bensì sta immobile e osserva. Contempla assorto.
Non sappiamo che cosa stia pensando, quali pensieri gravi, tristi o faceti attraversino
la sua mente. Oppure, se il suo distacco sia totale, se si trovi in una
condizione di sospensione assoluta dalla realtà, o soltanto da ciò che lo
circonda.
L’uomo ha le spalle molto
abbronzate, quasi bruciate dall’impietoso sole estivo. Il suo viso, al
contrario, ha una tonalità marrone, una tinta sporca e malsana. Spicca, in quel
volto sconfitto, un appariscente naso rubizzo, che ne allieta in parte
l’insieme e lo rende meno malinconico. I capelli, scuri e fissi, sono lisciati
all’indietro sul capo e impregnati di una qualche sostanza unta.
L’uomo, all’improvviso, si
riscuote. In un istante il suo corpo si rianima, riprende vita. Con gesti
precisi e meccanici muove il coltello, affetta con precisione il pane e, subito
dopo, stacca una scaglia di formaggio. Li porta insieme alla bocca. Dopo un po’
ripete la stessa azione. Coltello, pane, formaggio, bocca. Nel mentre aguzza lo
sguardo, prima in direzione dell’orizzonte, poi più vicino, a pochi metri dai
suoi piedi. Guarda con attenzione alcuni uccellini che si sono avvicinati,
dapprima paurosi, poi sempre più sfacciati. Alcuni di loro zampettano sul
campo, e becchettano con finta indifferenza i chicchi di grano che sono rimasti
a terra. Altri ancora spasimano per un cibo più insolito, e per questo ancora più
appetibile: le briciole di pane, che l’uomo dispensa loro con generosità.
L’uomo ha terminato il suo
sobrio pasto, lo stesso di tutte le sere estive. Sfrega più volte il coltello
sui pantaloni e lo pulisce, lo richiude e lo mette in tasca. Strofina poi le
mani sulla canotta, prima di impugnare il grosso binocolo che porta appeso al
collo. Senza staccare gli occhi dallo strumento, avanza nel campo, incurante
delle stoppie che potrebbero farlo inciampare. Non sappiamo che cosa stia
osservando attraverso quelle potenti lenti. Forse uccelli che si librano in
cielo, oppure la scia di un aereo. Dopo pochi minuti l’uomo adagia il binocolo
sul petto, si volta e torna verso casa. Dove troverà sua moglie, fiacca per il
gran caldo e con i capelli in disordine, con addosso il vecchio grembiule a
fiori. A casa dove, dopo aver bevuto due o tre bicchieri di vino, troverà il
solito muto sguardo di rimprovero. Lo stesso di tutta una vita. E dove troverà,
soprattutto, il sofà sfondato sul quale si appisolerà.
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