Un piccolo motocarro si
avvicinò lentamente al cassonetto dei rifiuti. Lo sgangherato veicolo era di
color verde pallido, isole di ruggine ne maculavano la carrozzeria. Si arrestò
e ne scese un uomo. Circospetto, si guardò attorno. Una leggera foschia sfumava
i contorni degli alberi e delle case. L'uomo si diresse risoluto verso il cassonetto,
le mani in tasca, con atteggiamento di finta indifferenza. Accanto al grosso
contenitore di plastica languiva da tempo la carcassa di una lavatrice. C'era
soltanto la scocca, perché il motore, le parti elettriche e le altre viscere
meccaniche erano state asportate da tempo. L'uomo sfilò le mani dalle tasche
sfondate dei calzoni. Vi sputò sopra e poi le strofinò a lungo. Forza!
All'opera, si disse. Issò il rottame sulle spalle, fece pochi passi e poi lo
scaraventò sul pianale del motocarro. Si udì un gran frastuono, seguito da una
successiva eco che si perse nella nebbia. Risalì alla guida, avviò con fatica
il motore e ripartì. Dopo un breve tragitto il veicolo svoltò sulla destra,
quindi imboccò uno stretto vialetto dal fondo molto sconnesso. All'improvviso
apparve una casupola sbilenca, del tutto circondata da una recinzione metallica
arrugginita. La motoretta fu sistema sotto una tettoia che appariva
pericolante. L'uomo scaricò i testi della lavatrice. Proprio in mezzo all'ampio
cortile, tra pozzanghere e ciuffi di erba ingiallita, c'era una montagnola dal
diametro di almeno cinque metri e alta circa tre, composta completamente da
rottami: frigoriferi, televisori, cucine a gas, biciclette, scaldabagni, pezzi
e tubi di ferro di ogni foggia e dimensione. Questi ultimi contorti e pieni di
ruggine, e tutti in precario equilibrio. L'uomo buttò l'ultimo rottame arrivato
il più in alto possibile. Le lamiere scivolarono leggermente verso il basso e
poi si incastrarono tra gli altri rottami. Compiaciuto e soddisfatto l'uomo
osservò a lungo la sua montagna, il suo tesoro. Poi si voltò di scatto. Il
sorriso scomparve a poco a poco dal suo volto e si trasformò in una smorfia
dolorosa. Sfilò dalla giubba una piccola chiave ed entrò in casa. Il primo ambiente,
la cucina, era poco spazioso, buio e opprimente. Il pavimento era coperto da
linoleum tutto rovinato. Le pareti, spoglie, non erano mai state ripulite.
C'erano un misero tavolo, con quattro sedie malamente impagliate, un antico
fornello a gas, un lavello di maiolica tutto scheggiato e alcuni mobiletti di
formica grigia. L'uomo non si sciacquò neppure le mani, che erano sporche di
grasso, e aprì il frigorifero. Aveva fame. Prese del formaggio e poi del pane
dalla credenza. Un coltello. Affettò lentamente il formaggio e, accompagnandolo
con il pane ormai raffermo, mangiò. Cristo, quel bastardo del panettiere è sempre
tra i coglioni e io devo mangiare il pane vecchio, pensò l'uomo, e subito dopo
imprecò. Sul tavolo, in perfetta e splendida solitudine, troneggiava il
bottiglione del vino, pieno a metà. L'uomo afferrò dal lavello un grosso
bicchiere, che da tanto tempo non era stato lavato, e lo riempì fino all'orlo.
Tracannò il liquido rosso e denso tutto di un fiato provando un immenso
piacere. Quindi, con gesti rapidi e nervosi, sfilò gli scarponi infangati e si
diresse verso la stanza da letto. Questo era un ambiente ancora più desolato
della cucina. Il letto era sfatto, le lenzuola erano sudice e stropicciate. Non
c'era neppure il comodino, ma soltanto un piccolo armadio di compensato. L'uomo
si sdraiò completamente vestito. (continua)