Beniamino aprì gli
occhi e si meravigliò di essere ancora vivo. Scostò i cartoni e le coperte che
lo coprivano poi, lentamente, si alzò in piedi. Era del tutto intirizzito.
Dapprima sciolse le gambe, poi le braccia, infine le schiena. Poco alla volta
riuscì a riattivare il suo corpo vecchio e stanco. Sentì prudere il cuoio
cappelluto sotto il lercio berretto di lana. Mi sono pure preso i pidocchi,
pensò. Alzò le spalle, quindi rimise in ordine il suo misero giaciglio. Guai se
qualcuno gli avesse sottratto quelle povere cose, guai se quei bastardi dei
vigili urbani lo avessero costretto a sgomberare, allora sì che sarebbe davvero
morto. Afferrò la stampella che era appoggiata al muro e iniziò a camminare,
zoppicando. Percorse un centinaio di metri sotto il porticato e raggiunse il
bar. Non entrò, andò invece ad accomodarsi a uno dei due tavolini che erano
posti fuori e che, a causa del gran freddo, ormai nessun cliente più
utilizzava. Il ragazzo che gestiva il locale era una gran brava persona,
tuttavia Beniamino preferiva non creargli dei problemi, dunque se ne stava
fuori. Le poche volte che era entrato aveva notate le smorfie disgustate degli
altri avventori. In fondo avevano ragione, dal momento che lui puzzava
parecchio. Dopo pochi istanti si materializzò Dario, il barista. Posò sul
tavolino di Beniamino un caffè fumante e un croissant. Beniamino, indicando
l'invitante pasta, fece segno di diniego, poiché non se la poteva permettere.
Nello stesso tempo tentava di contare, tra le dita intorpidite, alcune monete:
il prezzo del caffè.
"Lascia stare,
Beniamino. Va bene così" disse Dario con un sorriso, rifiutando il denaro.
Beniamino biascicò
qualcosa, quindi inchinò più volte il capo in segno di ringraziamento.
Sì, quel Dario era
proprio un bravo ragazzo, pensò Beniamino, e si meritava tutto il bene del
mondo. E lui era sicuro che un giorno sarebbe riuscito a ricompensarlo, poco ma
sicuro.
Confortato dal caffè e
dal dolce, che gli avevano ridato un po' di energia, Beniamino riprese il suo
vagabondaggio. L'uomo camminava lento, sia a causa della gamba offesa, sia
perché il tempo non gli mancava. Decise di andare da Arrigo, per scambiare due
parole, per sentirsi un po' meno solo. Arrancò per più di mezz'ora, finché non
giunse al garage dell'amico. In realtà più che un vero e proprio garage quello
di Arrigo era un minuscolo box. Lo aveva ereditato da un vecchio zio che era
morto, del quale era l'unico erede. Da quel momento aveva lasciato la strada e
si era trasferito a vivere in quel cubicolo.
Beniamino batté alcuni
colpi con la stampella sulla lamiera della porta basculante del box.
"Chi è?"
domandò una voce cavernosa.
"Sono
Beniamino".
"Aspetta, ti
apro".
Arrigo sollevò un poco
la porta. Beniamino si chinò, con una certa fatica, e riuscì a scivolare nel
piccolo ambiente. All'interno la temperatura non era di molto superiore a
quella esterna, tuttavia ritrovarsi all'interno di quattro mura, benché di nudo
cemento, dava al pover'uomo un senso di sicurezza che non provava mai. Il box
era colmo di ciarpame, e lo spazio calpestabile era esiguo. C'era appena posto
per una minuscola brandina, un vecchio tavolino quadrato e due sedie
scompagnate recuperate chissà dove.
"Siediti"
disse Arrigo. "Mi sembri stanco".
"Camminare mi
affatica molto. Sai, la gamba..."
"E mi sembri pure
mezzo congelato".
"In questi giorni
il freddo è tremendo" disse Beniamino, sfregando le mani per riattivare la
circolazione.
"Beniamino, sei un
autentico testone. Perché non passi qualche notte all'asilo?"
"Nossignore, io al
ricovero non ci vado. Ci sono troppe regole, e troppe persone sgradevoli. Piuttosto
muoio congelato".
Arrigo scosse il capo,
sconsolato.
"E tu, come te la
passi?" domandò Beniamino all'amico.
"Di merda"
rispose Arrigo. "Mi vogliono fare sloggiare" aggiunse, poi sputò a
terra e vi passò sopra la scarpa più volte.
"Che cosa? Ma è
casa tua!"
"Certo che è casa
mia, ma loro, quei miserabili fottuti figli di puttana dei condomini, dicono
che qui non ci posso vivere, che questo è un box e che quindi ci posso mettere
soltanto l'auto".
"Ma le auto possono
anche stare fuori, al freddo, mentre i cristiani se stanno fuori ci lasciano la
pelle".
"Hai capito,
Beniamino? Ti rendi conto in che mondo viviamo? Si preferiscono le automobili
alle persone! E poi, tra l'altro, io la macchina mica ce l'ho!" Arrigo scoppiò
in una risata catarrosa.
"Che tempi. Senti
Arrigo, hai mica qualcosa da bere?" chiese Beniamino.
L'altro scosse il capo.
"Ti posso fare una
bevanda calda. Ne hai bisogno".
Beniamino acconsentì.
L'amico mise a scaldare un pentolino d'acqua su un fornello elettrico che era
appoggiato sul tavolo, e il cui filo di alimentazione era collegato, in qualche
misterioso modo, alla lampadina che spandeva una fioca luce nell'ambiente. Quando
l'acqua bollì, Arrigo la versò in una grossa scodella che poi porse a Beniamino.
"Scusa, ma non ho
nulla da metterci dentro" si giustificò Arrigo.
"Tutto va bene,
pur di scaldarsi" rispose l'amico.
"Tu avresti
bisogno di una bella vacanza" disse all'improvviso Arrigo.
"Eh? Una
vacanza?"
"Certo, una bella
vacanza in un luogo caldo".
"Sicuro"
disse Beniamino. "Che ti pare dei Caraibi? Farà abbastanza caldo?"
"No, stavo
pensando a qualcos'altro" disse Arrigo, che non stava affatto scherzando.
Beniamino se ne rese
conto e guardò interessato l'amico.
"Spiegami"
disse.
"Oh, c'è poco da
spiegare" disse Arrigo. Poi si alzò e iniziò a frugare in un grosso sacco
di plastica nero. Dopo molto rovistare estrasse una bottiglietta piena per un
quarto di un liquido denso di color marrone.
"Bevi questo,
tutto di un fiato, e la tua vacanza al caldo è assicurata" disse Arrigo.
"Ma..."
"No, non aggiungo
altro. Ti devi fidare".
"D'accordo,
Arrigo. Vuol dire che lo farò". Beniamino prese la bottiglietta, la stappò
e ingollò il liquido tutto di un fiato, proprio come gli aveva detto di fare
l'amico. La bevanda era amara, molto amara.
"E adesso?"
domandò Beniamino.
"Adesso ti
conviene uscire. Sai, fa effetto quasi subito".
"Quale
effetto?"
"Ho detto niente
spiegazioni" ribadì Arrigo.
"Va bene, come
vuoi tu. Grazie amico" disse Beniamino. Poi si alzò, con l'aiuto di Arrigo
sollevò la porta e si congedò.
"Buona
vacanza!" gli augurò Arrigo.
Beniamino avanzò con
fatica per non più di due isolati, dopodiché si bloccò all'improvviso, colto da
un forte senso di nausea. Subito dopo subentrarono violenti crampi che gli
squassarono il ventre. L'uomo, il volto imperlato di sudore freddo, impallidì,
poi le forze gli mancarono. Ebbe appena il tempo di abbandonare la stampella, si
inginocchiò a terra, poi si adagiò sul selciato della strada e perse i sensi.
In un primo momento nessuno dei passanti badò a lui. Infine si avvicinò un
omone distinto che reggeva una borsa di cuoio. Lo toccò con la punta della
scarpa.
"I soldi per il
vino lo trovano sempre" disse tra i denti, prima di allontanarsi
disgustato.
Poi passò una ragazza.
Osservò Beniamino a occhi spalancati, notò il filo di bava che colava dalle sue
labbra smorte, si spostò si qualche metro e compose un numero sul cellulare.
Altre persone finalmente si accostarono allo sventurato disteso a terra in posa
scomposta.
L'ambulanza arrivò dopo
pochi minuti. Ne scese una dottoressa con corti capelli biondi, accompagnata da
un titubante ragazzo. La donna, con gesti sicuri, esaminò Beniamino, sempre
privo di conoscenza. Si accertò che respirasse, poi si rivolse al suo aiutante.
"Lo portiamo via
subito. Avvisa l'ospedale: codice rosso". L'altro eseguì, quindi i due
soccorritori, aiutanti anche dall'autista, adagiarono Beniamino sulla lettiga e
lo caricarono sul mezzo di soccorso. Partirono a sirena spiegata. Intanto, in
tutto quel trambusto, Beniamino si era risvegliato. Si guardò attorno,
smarrito.
"Dove sono?"
riuscì a domandare. Due occhi azzurri si avvicinarono al suo viso.
"Stia tranquillo"
disse la dottoressa. "La stiamo portando in ospedale". Poi Beniamino
sentì una puntura sul braccio.
In ospedale! Beniamino
socchiuse gli occhi, e si godette in pieno quel momento. I suoi pensieri
corsero immediatamente al caldo tropicale delle stanze d'ospedale, ai pasti
abbondanti (pazienza se non veniva servito il vino) alla premura delle
infermiere. Si commosse.
"Il signore si è
ripreso" disse la donna rivolgendosi al giovane volontario. "Chiama
di nuovo l'ospedale: codice giallo. Forse si tratta di una banale
intossicazione. Avrà mangiato qualche schifezza".
Poi mise una mano
ricoperta dal guanto di lattice sulla spalla di Beniamino.
"Vedrà, due o tre
giorni al massimo e la rimetteranno in sesto. Potrà tornare subito a casa"
disse a Beniamino. Alcune lacrime sgorgarono all'improvviso tracciando scie chiare
sul volto sudicio dell'uomo.
"Guarda"
disse ancora la dottoressa all'assistente. "È talmente contento che piange".