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domenica 28 novembre 2021

LA SANZIONE (seconda e ultima parte)

 


La macchina procedeva lentamente. Rusconi si sforzava di mettere a fuoco quelle figure che, all’improvviso, apparivano di fronte a lui per poi scomparire inghiottite dalla nebbia spessa e lurida.
“Ehi! Che ci fanno tutte quelle persone sedute sui marciapiedi?”
“È gente senza lavoro che chiede l’elemosina, credo.”
“Dici? A me sembrano tanti sfaccendati. Possibile che non riescano a trovare un’occupazione? Ti pare dignitoso per un essere umano trascorrere la giornata in strada?”
L’autista diede un’occhiata nello specchietto retrovisore. Intendeva capire se il suo principale stesse celiando oppure parlando seriamente. Decise per la seconda ipotesi.
“Pare che lavoro per tutti non ci sia…” rispose infine.
“Eppure le mie aziende stanno continuando ad assumere…” obiettò l’ingegnere.
“Già, le vostre…”
“In ogni caso si tratta di uno spettacolo indecoroso! Quella gente non potrebbe almeno starsene a casa?” sbottò Rusconi.
“Non credo abbiano una casa” disse l’autista.
“Com’è possibile non avere una casa? Tutti hanno una casa!”
“Forse non proprio tutti…”
L’ingegner Rusconi, con stizza, spense l’interfono.
Dopo pochi minuti la vettura si arrestò di fronte all’ingresso principale dell’Ufficio Centrale del Fisco, un palazzo grigio e fatiscente. In paziente coda, in prossimità di un ingresso laterale, c’era una moltitudine di persone. L’ingegner Rusconi rivolse loro uno sguardo distratto, poi entrò nel portone dove trovò ad attenderlo un impiegato dell’amministrazione del fisco.
“Di qua, ingegnere” disse l’uomo. “Dov’è la vostra scorta?” aggiunse.
Rusconi si bloccò.
“Non ho bisogno di nessuna scorta” disse. “Che cosa dovrei temere?”
“All’interno del palazzo… nulla. Mi scusi, ingegnere. Prego, venga con me.”
“Chi è quella gente in fila? Fuori, dico…” domandò Rusconi.
“Quelli? Si tratta di contribuenti comuni che devono regolare pendenze con il fisco” rispose il solerte impiegato.
“Ma li ha visti? Sono vestiti di stracci!”
L’altro non rispose, si limitò a stringersi nelle spalle. Poi guidò l’ingegnere attraverso una selva di corridoi. Ovunque c’era umidità e odore di muffa. Alla fine i due giunsero di fronte alla porta di un ufficio, priva di maniglia e con il vetro incrinato.
“Prego, il direttore la sta aspettando…” disse l’impiegato, prima di socchiudere l’uscio e introdurre il visitatore.
L’interno dell’ufficio era freddo e buio. Seduto dietro a una minuscola scrivania c’era un uomo intento a esaminare un fascio di carte sotto la luce gialla di una vecchia lampada da tavolo. Indossava un pesante giaccone sgualcito in più punti. Sollevò lo sguardo verso l’ingegner Rusconi.
“Si accomodi” disse in tono stanco e piatto.
Rusconi emise un lieve grugnito di disapprovazione prima di sedersi su una scricchiolante sedia di legno posta di fronte alla scrivania.
“Buongiorno, ingegnere. Non mi aspettavo venisse proprio lei…”
“È un problema?” disse Rusconi, aggressivo.
“No, assolutamente. Il fatto è che - come può ben vedere - le nostre stanze non sono molto accoglienti. Sarebbe stato nostro desiderio riceverla in un ambiente più…”
“Non perdiamo tempo!” lo interruppe Rusconi. “Mi rendo conto di quanto questo posto sia schifoso. Mi chiedo come possiate svolgere il vostro lavoro in tali condizioni!”
Il direttore approvò.
“Lo Stato è sempre più povero, tuttavia noi cerchiamo di compiere ugualmente il nostro dovere con i pochi mezzi a nostra disposizione.”  
L’ingegner Rusconi scosse il capo, incredulo.
“Ma è pazzesco! La nostra nazione è tra le più ricche al mondo!” sbraitò.
“È vero” approvò l’altro. “Nel nostro territorio è concentrata una notevole fetta di ricchezza planetaria.”
“Quindi?” lo incalzò Rusconi.
“Lasciamo stare, ingegnere. Piuttosto, pensiamo a noi. Stavo appunto esaminando la questione delle sue aziende…”
“Allora? È possibile concordare subito la sanzione?”
Il direttore lo guardò, poi fece una smorfia.
“Non è prevista alcuna sanzione” disse.
Rusconi sorrise.
“Vuol dire che ci perdonate?” chiese, divertito.
“Non proprio. In casi del genere le nuove norme appena approvate non prevedono più pene pecuniarie.”
“Quali nuove norme?” domandò l’ingegnere.
“Mi scusi, ma non ha parlato con il suo avvocato prima di farci visita?” indagò il direttore, guardingo.
“Al diavolo l’avvocato! Sono in grado di occuparmi personalmente di qualsiasi questione che riguardi le mie aziende senza dover ricorrere a quei succhiasangue! Sono o non sono il più grande imprenditore di questo Paese?”
“Non lo metto in dubbio. In ogni caso dovremo applicare la nuova legge, nella sua universalità.”
“Eh?”
“Intendevo dire che la legge è uguale per tutti” precisò il direttore.
“Ah! Certamente. Vede, negli ultimi tempi non ho seguito molto le varie vicende politiche. Ovviamente ho saputo della vittoria di quello strano partito progressista alle ultime elezioni, ma ormai gli affari pubblici non mi appassionano più…”
“Capisco la sua posizione, tuttavia finché la politica eserciterà un’influenza nella vita di tutti noi ne dovremo tenere conto.”
“Sono d’accordo, mi piace essere considerato un cittadino consapevole e responsabile” disse Rusconi, che non riusciva più a celare una certa impazienza. Spesso sbirciava il lussuoso orologio d’oro che portava al polso.
Il direttore fu scosso da un brivido di freddo. Annuì, poi riprese le carte tra le mani. Le esaminò per qualche istante, quindi sollevò lo sguardo verso il suo inquieto interlocutore.
“Non le voglio far perdere ulteriore tempo, ingegnere. In caso di lievi violazioni del codice tributario, e mi riferisco a quanto rilevato dagli ispettori nelle sue aziende, è prevista una punizione alternativa.”
“Venga al sodo, direttore!”
“D’accordo. Lei, in qualità di presidente della holding che porta il suo nome, dovrà ospitare per un anno dieci senzatetto e provvedere a tutte le loro necessità. La legge tra l’altro prevede che gli ospiti soggiornino nell’abitazione del sanzionato o in locali immediatamente attigui. Quest’ultimo rappresenta l’aspetto… rieducativo della norma. Almeno, così ha lasciato intendere il legislatore.”
“Sta scherzando?” domandò l’ingegner Rusconi, il cui viso era diventato paonazzo.
“Assolutamente no.”
“Mi ritroverò un branco di puzzolenti straccioni per casa per un intero anno?” strepitò Rusconi.
“Mi perdoni, ingegnere. Credo che lei disponga di stanze da bagno e che sia in grado di fornire abiti dignitosi ai suoi futuri ospiti…”
“E se decidessi di non accettare questa… sanzione?” chiese Rusconi.
Il direttore scosse il capo.
“L’alternativa è il carcere. Un anno di reclusione, senza la concessione di alcuna attenuante.”
Rusconi, nonostante il freddo, stava sudando.
“Qual è lo scopo di tutto ciò?” domandò, soprattutto a se stesso. “Perché tormentare in questo modo la parte sana del Paese, l’unica produttiva, la sola che può garantire prosperità alla nazione?”
“E lo chiede a me?” disse il direttore. Si accorse di avere le mani ghiacciate. (FINE)

domenica 21 novembre 2021

LA SANZIONE (parte prima)


Stava con il naso incollato al vetro della grande finestra, al trentaduesimo piano dell’imponente e lussuoso palazzo. La spessa cappa di smog si diradò per un attimo e lui riuscì a scorgere, in basso, l’ampio viale brulicante di automobili e di persone, queste ultime affaccendate e frenetiche come tante formiche. Nell’ufficio non penetrava alcun rumore, neppure smorzato, e l’atmosfera era di quiete assoluta.
L’uomo si sedette alla sontuosa scrivania, ne osservò compiaciuto il piano del tutto sgombro di carte. Sospirò, poi accese un sigaro. Ne aspirò soddisfatto alcune boccate e inondò l’ambiente di fumo. Proprio in quel momento squillò l’interfono. Premette un tasto.
“Sì? Dimmi Melody…”
“Ingegnere, ma io mi chiamo Franca…”
“Preferisco chiamarti Melody. Allora?”
“Come vuole lei, ingegnere. C’è il dottor Boschi, vorrebbe parlare con lei.”
“Riccardo? Il mio amico Riccardo? E c’è bisogno di farsi annunciare? Accompagnalo subito da me!”
“D’accordo, ingegnere.”
Dopo qualche istante il dottor Boschi, scortato da una vistosa ragazza, fece il suo ingresso nell’ufficio dell’ingegner Rusconi. Il nuovo venuto, un ometto stempiato infagottato in un abito grigio, appariva un po’ timoroso. Si guardò intorno, circospetto, poi si accomodò su una comoda poltrona, tenendo le mani raccolte in grembo. Era il responsabile della contabilità di tutte le aziende dell’ingegnere ma, al cospetto del potente principale, si sentiva sempre come uno scolaretto al suo primo giorno di scuola.
Rusconi lo squadrò a lungo, poi annuì.
“Un sigaro?” domandò.
“No, grazie. Sai che non fumo…”
“Davvero? Me n’ero scordato. Qualcosa da bere? Melody, vai a preparare due caffè!”
“Certo ingegnere. Però il mio nome…”
“Ancora? Abbiamo già affrontato la questione, no? Sbrigati!”
La ragazza chinò il capo e uscì, ancheggiando suo malgrado.
“Bella ragazza” disse il dottor Boschi, per rompere il ghiaccio. “E deve essere pure brava” aggiunse.
Rusconi scoppiò a ridere.
“Brava? Non sa fare nulla!”
“Ma allora…”
“L’ho assunta perché è ornamentale.”
“Ah!”
Poi l’ingegnere assunse un’espressione seria.
“Novità?” domandò in modo brusco.
Boschi, prima di rispondere, inghiottì un po’ di saliva.
“C’è stata l’ispezione degli uomini del fisco.”
“Bene. Com’è andata?”
“Hanno scoperto quella parte di contabilità in nero. Solo quella, ovviamente.”
“Ottimo, proprio ciò che volevo.”
Il dottor Boschi approvò senza capire.
“Se non fossimo stati avvertiti sarebbe stato un vero guaio” disse.
“Prima o dopo doveva capitare. Adesso per un po’ ci lasceranno in pace.”
“Posso fare una domanda un po’ delicata?”
“Riccardo! Non lo devi neppure chiedere. Tra di noi non ci sono segreti!”
“Non era facile scoprire quelle operazioni illegali, e loro sapevano esattamente che cosa cercare. Chi è stato a fornire quei particolari?”
L’ingegner Rusconi ammiccò, sornione. Poi soffiò una enorme nube di fumo puzzolente in direzione del contabile, che non riuscì a trattenere un accesso di tosse.
“Semplice! Lo stesso che li ha mandati, vale a dire io!”
“Tu?”
“Certo! Non potevamo continuare ad apparire sempre virtuosi. Ciò, alla lunga, avrebbe alimentato troppi sospetti. In una azienda come la mia è normale che ci possa essere qualche irregolarità. Ci dimostreremo pentiti di fronte alle istituzioni, onoreremo il nostro debito, e tutto il resto potrà continuare come prima. Era questo, in realtà, il vero obiettivo.”
“Già, hai ragione. Tuttavia ci sarà una sanzione da pagare.”
“Naturale. E lo faremo, da buoni cittadini. Chi sbaglia paga, no?”
“Abbiamo ricevuto una convocazione dall’Ufficio Centrale del Fisco per discutere la faccenda e definirla. Che faccio? Dico all’avvocato Sbrogli che se ne occupi lui?”
“No!”
“No?”
“Ci andrò di persona, in quel cazzo di Ufficio…”
“Tu? Stai parlando sul serio?” domandò Boschi, piuttosto meravigliato.
L’ingegnere, prima di rispondere, spense il sigaro.
“Certamente, mio caro Riccardo. Sai, a volte mi annoio terribilmente, perché non ho mai nulla da fare. Guarda la mia scrivania, è del tutto vuota! Da anni ormai…”
Proprio allora la segretaria portò i caffè. Il contabile osservò con vivo interesse il posteriore della ragazza, fasciato in un abito aderente.
“Posa qui, Melody” disse brusco Rusconi. “E poi sgomma in fretta che ci stai disturbando. Sciò!”
“Subito, ingegnere…” disse lei, umiliata.
“Ah! Melody! Chiama Aurelio e digli di venire a prendermi tra mezz’ora. Questo lo sai fare, vero?”
La ragazza, sempre più mortificata, annuì e uscì.
“Perché la tratti così male?” chiese il dottor Boschi al suo principale.
L’altro sbuffò, infastidito.
“Ha parlato il paladino delle povere fanciulle indifese! Riccardo, se ti piace così tanto questo modello di donna, perché non te ne compri una? Con tutti i soldi che ti becchi! Taccagno! Vergogna!”
Il viso di Boschi diventò color porpora. L’uomo si rannicchiò nell’enorme poltrona, spaventato.
“Forse è il caso che io vada…” sussurrò.
“Eh? Come dici? Guarda che sono io che ti congedo.”
“Certo, certo…”
Boschi si alzò e, quasi strisciando, raggiunse l’uscita. Rusconi scosse il capo, sconsolato. La maggior parte dei suoi dipendenti erano dei veri buoni a nulla, uomini senza spina dorsale, considerò.
Dopo meno di mezz’ora l’ingegnere stava con il naso incollato al finestrino della lussuosa berlina blindata. Aurelio, il suo autista, cercava di farsi largo in mezzo a un traffico infernale di mezzi, di pedoni e di ombre. Il mantello di smog si era abbassato ed era molto fitto. Anche se era ancora giorno, la vettura procedeva con tutti i fari accesi, nel faticoso tentativo di aprirsi una strada di luce attraverso quell’ambiente da incubo, al quale tutti sembravano comunque assuefatti.
L’ingegner Rusconi azionò l’interfono dell’automobile.
“Aurelio, è così tutti i giorni? In queste strade, dico…” domandò all’autista.
“Uh? Da quanto tempo non esce dal suo quartiere, ingegnere?”
“Non lo so, non ricordo più. Lo sai, quando occorre mi sposto con l’aereo, o con l’elicottero.”
“Già.”
(fine prima parte)

domenica 7 novembre 2021

IL MAESTRO

 

Quando lo vedemmo la prima volta, ne fummo tutti intimoriti. Non che fossimo dei novellini, quello era già il nostro quinto anno di scuola e, negli anni trascorsi, avevamo avuto quattro diversi insegnanti. Cambiare maestro era divenuta di conseguenza per noi faccenda assai consueta. Al di fuori di qualche piccolo contrattempo nel corso del primo anno (la maestra assegnata per il nostro esordio scolastico era persona con evidenti e manifesti problemi di equilibrio psichico), gli anni successivi erano filati lisci, allietati da maestre serene e pacifiche e con spiccate doti materne. Adesso, invece, ci trovavamo di fronte quell'uomo dall'aria severa e provvisto di minacciosa barba nera. In realtà il Maestro era un ragazzo di poco più di venticinque anni, impegnato in una delle sue prime esperienze di insegnamento; ma noi lo percepimmo, da subito, come persona molto adulta. In fondo noi non eravamo che bambini.
La nostra era una piccola scuola di campagna, frequentata per lo più da figli di contadini e operai. Cinque classi e cinque aule in un grazioso edificio di inizio secolo. Non c'era la palestra, naturalmente, ma soltanto un minuscolo cortile ricoperto di ghiaia, utilizzato per la ricreazione.
Il Maestro vestiva maglie dolcevita, pantaloni dal taglio antico, grosse scarpe, e sfoggiava una inusitata risolutezza, rara in una persona così giovane. La sua voce, dal timbro grave e sicuro, riusciva nello stesso tempo a mettere soggezione e a calamitare all'estremo la nostra attenzione. Era ipnotica. Il suo metodo di insegnamento era moderno e innovativo. Rispettava i programmi scolastici desueti del tempo, insistendo molto sull'apprendimento dell'aritmetica e della buona e corretta scrittura, tuttavia dedicava quantità rilevanti di tempo anche ad altri aspetti della nostra educazione didattica. Il suo scopo principale era quello di allargare la nostra conoscenza del mondo. A tale proposito ogni giorno si presentava in classe con almeno due quotidiani, uno dei quali era sempre la sua prediletta Unità. Intendiamoci, all'epoca il giornale fondato da Antonio Gramsci era un quotidiano con i fiocchi, che dedicava ampio spazio, oltre che alla politica interna, agli avvenimenti internazionali. D'accordo, era pure un foglio di partito, ma a noi quell'aspetto interessava poco. Non così fu per alcuni dei nostri genitori. Ci furono delle rimostranze.. Non si riteneva giusto che tali letture venissero sottoposte a ragazzini. Il Maestro, di fronte a tali proteste, non batté ciglio. Non si scompose neppure quando qualcuno minacciò di rivolgersi alle autorità scolastiche. Alla fine non se ne fece nulla e fu una fortuna. Continuammo a sfogliare e leggere i giornali che ci proponeva il Maestro, compresa la discussa Unità, e tale attività rivestì un ruolo di rilievo nella nostra preparazione, che ci consentì poi di frequentare le scuole medie senza il minimo affanno. Era pure interessante e sorprendente, ai nostri occhi di bamboccetti, l'atteggiamento del Maestro nei confronti dell'insegnamento della religione. Quando, una volta la settimana, veniva in classe il vecchio don Felice per la sua lezione di religione, il Maestro lo salutava con gentilezza e rispetto e poi usciva dall'aula, per tornare soltanto quando il prevosto aveva terminato.
Quelli erano gli anni della guerra del Vietnam, e in quel bellissimo e appagante anno scolastico noi, attraverso le notizie dei giornali, ne avevamo seguito il tragico svolgimento in maniera attenta. Un giorno di primavera il Maestro richiamò la nostra attenzione. Disse che aveva per noi una sorpresa: l'indomani avrebbe portato in classe una sua amica, una famosa giornalista che era stata inviata di guerra per un giornale milanese che ben conoscevamo. Poi, serissimo come sapeva essere lui, aggiunse che avremmo dovuto preparare delle domande da rivolgere alla giornalista, e il tema era proprio il Vietnam, perché quella donna la guerra l'aveva seguita proprio sul campo, e sarebbe stata in grado di soddisfare tutte le nostre curiosità. Ma che le domande fossero precise, interessanti e ben pertinenti, disse ancora, altrimenti gli avremmo fatto fare brutta figura. Concluse dicendo che aveva parlato molto bene di noi alla sua amica. Il giorno successivo tutti noi eravamo molto emozionati. Il Maestro arrivò in classe accompagnato da una donna molto bella, che dimostrava meno dei suoi quarant'anni, vestita in maniera sportiva, con la fronte spaziosa e capelli lunghi e lisci. La giornalista ci donò, per la biblioteca di classe, alcune copie di due suoi libri. Uno parlava del periodo di tempo che lei aveva trascorso alla base americana di Cape Canaveral, insieme agli astronauti che in quel periodo si preparavano per dare l'assalto alla Luna. L'altro era il resoconto della sua esperienza in Vietnam. E fu di questo che ci parlò, sollecitata dalle nostre domande e dai puntuali interventi del Maestro. In conclusione ci raccontò anche di quando era stata ferita, un paio di anni prima, in una sparatoria avvenuta a Città del Messico, (e non in Vietnam!) quando la polizia aveva aperto il fuoco contro gli studenti che manifestavano. Insomma, quella fu per noi una giornata memorabile. Quella giornalista, a noi allora sconosciuta, era Oriana Fallaci.
Il Maestro, nel seguito della sua vita, ha fatto una meritata carriera. Già l'anno successivo all'esperienza con la nostra classe ottenne una cattedra alla scuola media. Nel corso degli anni è diventato docente universitario, importante filologo e critico letterario, nonché apprezzabile storico della lingua italiana, collaboratore di diverse riviste e quotidiani, curatore di rilevanti progetti editoriali.
Qualche anno fa gli ho scritto una mail, alla quale lui ha prontamente risposto. Si ricordava perfettamente l'esperienza giovanile nella piccola scuola di campagna. Rammentava ancora i nomi di alcuni miei compagni di classe, in particolare quelli dei ragazzi più problematici, dei quali mi ha chiesto notizie.
È raro che un semplice insegnante elementare rivesta un ruolo così fondamentale nella formazione educativa e culturale di una persona, di un ragazzino. Per me è stato così e ancora oggi ringrazio il mio Maestro dalla barba nera.