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domenica 17 febbraio 2019

CAMBIAMENTO




Siediti, gli dice.
Stai bene? aggiunge.
L'altro lo guarda, un po' smarrito, poi si siede.
Allora?
Tranquillo, dice l'altro, sto bene, ma non è più come prima.
Che cosa vuoi dire?
Niente, voglio dire che adesso è diverso.
Spiegati meglio, gli dice.
É semplice, adesso è tutto diverso perché sono cambiato.
Nel corso della vita si cambia, è normale, gli dice.
Hai ragione, ma nel mio caso il cambiamento è avvenuto all'improvviso.
Che tipo di cambiamento? gli domanda. In meglio? In peggio?
L'altro sorride. No, non si tratta di meglio o peggio, risponde. Si tratta di diverso.
Ti senti diverso? gli domanda.
Ma sì, ma sì. Ma non diverso nel senso di discriminato, gli risponde. Diverso nel senso di differente rispetto a prima. Sono cambiato, capisci? Sono cambiato.
Bene, e allora in che cosa consiste questo cambiamento? gli dice. Riesci a capirlo?
Credo di sì, risponde, se rifletto credo di proprio di sì.
Mi sembri sempre uguale, gli dice. Se proprio ti osservo con attenzione noto forse una specie di malinconica rassegnazione. Ma si tratta di qualcosa di impercettibile, che sfugge, che non riesco bene a focalizzare. Forse è soltanto un'impressione, aggiunge. Forse non è così, forse mi sbaglio, sono condizionato da ciò che mi hai detto.
No, no, no, non sbagli, dice l'altro. La tua impressione, ma di sicuro è più di una impressione, perché tu mi conosci, è corretta. Io sono diverso, sono diverso perché sono cambiato, sono profondamente cambiato, e la mia trasformazione è avvenuta in un periodo di tempo assai breve. Ecco, è così.
In cosa sei cambiato? gli domanda.
Eh? In cosa sono cambiato? Mi domandi in che cosa sono cambiato perché dall'esterno non traspare nulla, non traspare quasi nulla, se non una specie di malinconia, vero?
Sì, è così, gli dice.
Sono cambiato dentro, ecco dove sono cambiato, dentro, gli risponde.
Dentro, sei cambiato dentro, ma non si tratta del corpo, vero?
No, assolutamente no. Il corpo, il corpo segue la sua strada, che non deve essere per forza la mia, gli risponde l'altro.
Non c'è soltanto il corpo, gli dice. No, c'è anche altro, c'è soprattutto altro.
Vero, hai ragione amico mio, c'è soprattutto altro, gli risponde.
Sì, ma tu non vuoi dirlo, non vuoi dire che cosa c'è dentro di te, gli dice. Che cosa c'è dentro di te che è cambiato, che ti ha reso diverso, diverso ma non discriminato, ma semplicemente differente.
Le emozioni, gli dice l'altro abbassando lo sguardo. Le emozioni, ribadisce con un soffio di voce.
Sono diverse? Sono cambiate? gli dice. Non avere paura, non avere pudore, dimmelo, in cosa sono cambiate le tue emozioni?
No, no, no, io sono sempre lo stesso, io sono rimasto sempre lo stesso, le mie emozioni sono quelle di sempre, gli risponde.
Allora, allora? Non capisco più nulla, gli dice. Hai detto di essere cambiato, adesso mi stai dicendo di essere rimasta la stessa persona di PRIMA. No, non capisco più nulla.
Non ce l'ho più! Non ce l'ho più! QUELLO mi ha privato dello scudo, non ce l'ho più!
Che cosa non hai più? gli chiede.
Ma non capisci? Non ho più lo scudo! Non posso più ripararmi, non posso più proteggermi, tutto mi colpisce! E mi fa male...
Come? Niente scudo? Nessun filtro? Vuoi dirmi che le emozioni ti colpiscono direttamente? Nulla si frappone tra loro e te? gli domanda, sgomento.
Noooo! Nulla!
Oh, povero te... Povero amico mio...

sabato 16 febbraio 2019

LO SCRITTORE




Il telefono. Lo lascio suonare a lungo. Poi, irritato, smetto di scrivere, mi alzo e vado a rispondere.
Si tratta di Stefano, un mio caro amico. Non poteva che essere lui, dal momento che nessun altro mi chiama.
“Ehi! Finalmente ti degni di rispondere!”
“Ciao Stefano, tutto bene?”
“Sì, grazie. Che ne dici di venire con me all’inaugurazione della mostra di Desideri?”
Mi coglie di sorpresa.
“Chi è Desideri?” domando, esitante.
“Ma come! È quel giovane pittore che ti piaceva tanto. Quello delle barche, non ti ricordi?”
“Sì, certo. E quando sarebbe?”
“Questa sera.”
“No.”
“Eh?”
“Scusami, ma non me la sento. In questo periodo sono molto impegnato, credo di essere un po’ stanco.”
“Sarebbe un piacevole diversivo. La pittura non ti interessa più?”
“La pittura mi piaceva molto.”
“Ti piaceva? E adesso?”
“Non lo so…”
“Ehi! Ma stai bene?” Nella voce di Stefano c’è apprensione. Caro, buon vecchio Stefano. Unico amico.
Rido, nel tentativo di rassicurarlo.
“Non preoccuparti, sto benissimo” dico.
“Sicuro?”
“Te lo garantisco.”
“Ascolta, e se passassi a trovarti?” chiede Stefano dopo un attimo di esitazione.
“Perché no? Ti aspetto, vieni anche subito.”
“Arrivo.”
Riattacco con un sospiro. Ormai ho smarrito del tutto la concentrazione. Mi siedo comunque davanti al computer, rileggo distrattamente ciò che ho scritto oggi. Non ne sono molto soddisfatto. Spengo tutto e mi siedo sul divano. So che Stefano mi raggiungerà presto, lui mantiene sempre le sue promesse. In fondo, considero, non mi farà male scambiare due parole. Da troppo tempo non parlo con nessuno. Il contatto umano un po’ mi manca. Ma non troppo.
E dopo meno di un’ora Stefano è seduto di fronte a me. Da come è abbigliato comprendo che neppure lui andrà alla mostra. Ha deciso di sacrificarsi a mio beneficio. Forse non merito tanto.
“Ehi! Ma non apri mai le finestre?”
“Soltanto quando mi ricordo di farlo.”
Noto che il mio amico è un po’ infastidito dall’ambiente buio in cui ci troviamo, il mio studio. La luce centrale è spenta, soltanto una piccola lampada illumina in parte la stanza, creando lunghe e inquietanti ombre. Tuttavia non manifesta la sua contrarietà. Non osa.
“Sei pallido” dice.  
“Può essere, negli ultimi tempi non ho fatto molti bagni di sole.”
Scuote il capo. Disapprova il mio comportamento, ma non osa esprimere rimproveri. Nonostante la nostra sia una solida e antica amicizia, lui ha sempre avuto un po’ soggezione di me.
“A che punto è il libro?” domanda infine.
“Procede.” Stefano annuisce, senza domandare altro.
Come sempre, la mia eccessiva laconicità gli provoca imbarazzo. Si schiarisce la voce. Una, due volte.
“Perché ti sei recluso qui dentro? Per quale motivo non esci mai?” domanda. “È come se tu non vivessi più!” aggiunge, con una schiettezza per lui insolita.
“Ti sbagli, Stefano. La mia vita è piena. Io vivo per raccontare. Tutto il resto, tutto ciò che ho fatto in passato, non mi interessa più. O meglio, quelle esperienze mi sono utili perché le rielaboro di continuo, le trasformo in scrittura. Senza di esse sarei di sicuro più povero, tuttavia le considero sufficienti, e non ne desidero altre.”
“Non ti offendere, però lascia che ti dica che tu non sei mai stato un grande affabulatore. Nel corso della tua esistenza non hai mai raccontato neppure una barzelletta!”
“Hai ragione, ma le parole scritte sono un’altra cosa. Quelle soltanto pronunciate sono leggere e finiscono per risultare vuote, sono come neve al sole.”
Stefano appare nervoso, cambia più volte posizione sulla poltrona. Questi discorsi lo turbano, lo capisco. Ma lui è l’unica persona con il quale possa farli.
“Quindi tu scrivi solo per te stesso? Per raggiungere un appagamento personale?” chiede.
Sorrido.
“Con te non posso mentire, devo dire per forza la verità. No, non scrivo per me stesso, non avrebbe senso. Molti scrittori preferiscono nascondersi dietro a tale affermazione. In realtà, non sono sinceri. Vedi, io conosco perfettamente quali siano i miei pensieri. Potrei limitarmi a elaborarli, ad attingervi, come fanno tutte le persone che non scrivono, poiché non esiste una ineludibile necessità di trasformarli in parole scritte. No, il fatto è che io, come tutti, sento il bisogno di condividerli, di spartirli con altri esseri umani. E cerco di farlo nel migliore dei modi, dando loro una formulazione definitiva…”
“Immutabile…” mi interrompe Stefano.
“Esatto, vedo che hai capito.”
“Sì, ma allo stesso modo non comprendo questo tuo disogno di isolamento…”
“Devi sapere che il processo di distillazione dei pensieri richiede quiete e tranquillità. Soprattutto, obbliga a un’assenza temporanea dal mondo. L’immersione nella creatività deve essere totale e sfibrante. Non sempre si riesce a raggiungere lo scopo finale.”
“Sono sbalordito. E preoccupato. Non pensavo che…”
Sorrido di nuovo. La sincera angustia di Stefano mi intenerisce.
“Sai che ti dico? Parlare con te mi ha fatto bene. È servito a ricaricarmi. Mi sento riposato.”
Stefano mi osserva, guardingo.
“E quindi…”
“Non vedo l’ora di riprendere a scrivere!”
Il mio amico si porta le mani al volto.