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domenica 21 novembre 2021

LA SANZIONE (parte prima)


Stava con il naso incollato al vetro della grande finestra, al trentaduesimo piano dell’imponente e lussuoso palazzo. La spessa cappa di smog si diradò per un attimo e lui riuscì a scorgere, in basso, l’ampio viale brulicante di automobili e di persone, queste ultime affaccendate e frenetiche come tante formiche. Nell’ufficio non penetrava alcun rumore, neppure smorzato, e l’atmosfera era di quiete assoluta.
L’uomo si sedette alla sontuosa scrivania, ne osservò compiaciuto il piano del tutto sgombro di carte. Sospirò, poi accese un sigaro. Ne aspirò soddisfatto alcune boccate e inondò l’ambiente di fumo. Proprio in quel momento squillò l’interfono. Premette un tasto.
“Sì? Dimmi Melody…”
“Ingegnere, ma io mi chiamo Franca…”
“Preferisco chiamarti Melody. Allora?”
“Come vuole lei, ingegnere. C’è il dottor Boschi, vorrebbe parlare con lei.”
“Riccardo? Il mio amico Riccardo? E c’è bisogno di farsi annunciare? Accompagnalo subito da me!”
“D’accordo, ingegnere.”
Dopo qualche istante il dottor Boschi, scortato da una vistosa ragazza, fece il suo ingresso nell’ufficio dell’ingegner Rusconi. Il nuovo venuto, un ometto stempiato infagottato in un abito grigio, appariva un po’ timoroso. Si guardò intorno, circospetto, poi si accomodò su una comoda poltrona, tenendo le mani raccolte in grembo. Era il responsabile della contabilità di tutte le aziende dell’ingegnere ma, al cospetto del potente principale, si sentiva sempre come uno scolaretto al suo primo giorno di scuola.
Rusconi lo squadrò a lungo, poi annuì.
“Un sigaro?” domandò.
“No, grazie. Sai che non fumo…”
“Davvero? Me n’ero scordato. Qualcosa da bere? Melody, vai a preparare due caffè!”
“Certo ingegnere. Però il mio nome…”
“Ancora? Abbiamo già affrontato la questione, no? Sbrigati!”
La ragazza chinò il capo e uscì, ancheggiando suo malgrado.
“Bella ragazza” disse il dottor Boschi, per rompere il ghiaccio. “E deve essere pure brava” aggiunse.
Rusconi scoppiò a ridere.
“Brava? Non sa fare nulla!”
“Ma allora…”
“L’ho assunta perché è ornamentale.”
“Ah!”
Poi l’ingegnere assunse un’espressione seria.
“Novità?” domandò in modo brusco.
Boschi, prima di rispondere, inghiottì un po’ di saliva.
“C’è stata l’ispezione degli uomini del fisco.”
“Bene. Com’è andata?”
“Hanno scoperto quella parte di contabilità in nero. Solo quella, ovviamente.”
“Ottimo, proprio ciò che volevo.”
Il dottor Boschi approvò senza capire.
“Se non fossimo stati avvertiti sarebbe stato un vero guaio” disse.
“Prima o dopo doveva capitare. Adesso per un po’ ci lasceranno in pace.”
“Posso fare una domanda un po’ delicata?”
“Riccardo! Non lo devi neppure chiedere. Tra di noi non ci sono segreti!”
“Non era facile scoprire quelle operazioni illegali, e loro sapevano esattamente che cosa cercare. Chi è stato a fornire quei particolari?”
L’ingegner Rusconi ammiccò, sornione. Poi soffiò una enorme nube di fumo puzzolente in direzione del contabile, che non riuscì a trattenere un accesso di tosse.
“Semplice! Lo stesso che li ha mandati, vale a dire io!”
“Tu?”
“Certo! Non potevamo continuare ad apparire sempre virtuosi. Ciò, alla lunga, avrebbe alimentato troppi sospetti. In una azienda come la mia è normale che ci possa essere qualche irregolarità. Ci dimostreremo pentiti di fronte alle istituzioni, onoreremo il nostro debito, e tutto il resto potrà continuare come prima. Era questo, in realtà, il vero obiettivo.”
“Già, hai ragione. Tuttavia ci sarà una sanzione da pagare.”
“Naturale. E lo faremo, da buoni cittadini. Chi sbaglia paga, no?”
“Abbiamo ricevuto una convocazione dall’Ufficio Centrale del Fisco per discutere la faccenda e definirla. Che faccio? Dico all’avvocato Sbrogli che se ne occupi lui?”
“No!”
“No?”
“Ci andrò di persona, in quel cazzo di Ufficio…”
“Tu? Stai parlando sul serio?” domandò Boschi, piuttosto meravigliato.
L’ingegnere, prima di rispondere, spense il sigaro.
“Certamente, mio caro Riccardo. Sai, a volte mi annoio terribilmente, perché non ho mai nulla da fare. Guarda la mia scrivania, è del tutto vuota! Da anni ormai…”
Proprio allora la segretaria portò i caffè. Il contabile osservò con vivo interesse il posteriore della ragazza, fasciato in un abito aderente.
“Posa qui, Melody” disse brusco Rusconi. “E poi sgomma in fretta che ci stai disturbando. Sciò!”
“Subito, ingegnere…” disse lei, umiliata.
“Ah! Melody! Chiama Aurelio e digli di venire a prendermi tra mezz’ora. Questo lo sai fare, vero?”
La ragazza, sempre più mortificata, annuì e uscì.
“Perché la tratti così male?” chiese il dottor Boschi al suo principale.
L’altro sbuffò, infastidito.
“Ha parlato il paladino delle povere fanciulle indifese! Riccardo, se ti piace così tanto questo modello di donna, perché non te ne compri una? Con tutti i soldi che ti becchi! Taccagno! Vergogna!”
Il viso di Boschi diventò color porpora. L’uomo si rannicchiò nell’enorme poltrona, spaventato.
“Forse è il caso che io vada…” sussurrò.
“Eh? Come dici? Guarda che sono io che ti congedo.”
“Certo, certo…”
Boschi si alzò e, quasi strisciando, raggiunse l’uscita. Rusconi scosse il capo, sconsolato. La maggior parte dei suoi dipendenti erano dei veri buoni a nulla, uomini senza spina dorsale, considerò.
Dopo meno di mezz’ora l’ingegnere stava con il naso incollato al finestrino della lussuosa berlina blindata. Aurelio, il suo autista, cercava di farsi largo in mezzo a un traffico infernale di mezzi, di pedoni e di ombre. Il mantello di smog si era abbassato ed era molto fitto. Anche se era ancora giorno, la vettura procedeva con tutti i fari accesi, nel faticoso tentativo di aprirsi una strada di luce attraverso quell’ambiente da incubo, al quale tutti sembravano comunque assuefatti.
L’ingegner Rusconi azionò l’interfono dell’automobile.
“Aurelio, è così tutti i giorni? In queste strade, dico…” domandò all’autista.
“Uh? Da quanto tempo non esce dal suo quartiere, ingegnere?”
“Non lo so, non ricordo più. Lo sai, quando occorre mi sposto con l’aereo, o con l’elicottero.”
“Già.”
(fine prima parte)

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